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«IL GABBIANO» («Ciajka»)
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Messaggio «IL GABBIANO» («Ciajka») 
 
La riduzione cinematografica del teatro di Cechov è un affare sballato o una cosa pregiudicata. Tutti concordano nel riconoscere che Cechov non è filmabile. Cechov è solo il teatro, una realizzazione scenica con tre pareti. Il novantanove per cento delle versioni filmiche non sono riuscite. Nel cinema si perde tutto.
Margarita Tèrekhova, l’attrice teatrale e la più amata attrice di Tarkovskij, ha debuttato come regista cinematografico. Il suo primo film è proprio la piece di Cechov “Il Gabbiano”.
“Il Gabbiano” («Чайка»), la più enigmatica e la più indecifrabile piece di Cechov ha visto la sua versione filmica.
Oggi io ho guardato questo film.
http://www.kinoros.ru/db/movies/632/index.html?1164480400202
Provo ammirazione per Margarita Terekhova

Trigòrin: E questo cos’è?
Nina: Un gabbiano. L’ha ucciso Konstantin Gavrilych.
Trigòrin: … Mi è venuto in mente un soggetto … un soggetto per un racconto breve: sulla riva del lago vive, sin dall’infanzia, una fanciulla come voi. Ama il lago come fosse un gabbiano, è felice, libera come un gabbiano. Per caso, poi, arriva un uomo la vede e, non sapendo che fare, la uccide, ecco: proprio come questo gabbiano …

CECHOV FILMATO
https://www.arcarussa.it/forum/viewtopic.php?p=10257



Ultima modifica di Zarevich il 26 Giu 2017 18:45, modificato 4 volte in totale 

IL GABBIANO film di Margarita Terekhova 1.jpg
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Zarevich
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Messaggio Re: "Il Gabbiano" 
 
Ma erano già state realizzate delle riduzioni cinematografiche di questa piece in passato, in Russia?
Ho scoperto che diversi registi europei, compreso un italiano (Marco Bellocchio, nel 1979) si sono cimentati in questa impresa.

Riporto qui il testo di un interessante articolo su Cechov nel cinema.

L'incommensurabilita' di Cechov nel cinema
Molti film sono stati tratti dalle opere teatrali e dai racconti di Cechov, ma con esiti molto diversi.
di Francesco Censon e Francesco Dafano

Come disse Enrico Ghezzi in un “Fuori Orario” dedicato al film russo La Signora con il cagnolino, tratto dall’omonimo racconto, Cechov è forse lo scrittore più naturalmente cinematografico; così “concentrato e filmico” che è quasi impossibile renderlo sul grande schermo.
Le ragioni che fanno del teatro di Cechov la radice del teatro contemporaneo sono note. L’“azione indiretta” – secondo la denominazione dell’autore – è una tecnica teatrale che agisce per sottrazione: toglie rilevanza all’intreccio e trasparenza ai personaggi rendendo preminente l’atmosfera. Così facendo permette un’intuizione percettiva del carattere dei personaggi da un accumularsi di indizi, in modo simile a come comprendiamo le altre persone nella vita di ogni giorno. Questa è una delle caratteristiche del “naturalismo” del teatro di Cechov, la capacità di creare man mano la coscienza dell’intimo dei personaggi della piece senza che sia possibile individuare quale azione o quali parole ce l’ha reso chiaro.
Inoltre il mutamento di prospettiva nella recitazione fu cosi forte che il teatro di Cechov stimolò la nascita di un nuovo tipo di interpretazione basata sull’interiorizzazione, il metodo del regista russo Konstantin Stanislavskij; metodo che tramite l’Actor Studio di Elia Kazan e Lee Strasberg ha profondamente influenzato il cinema americano.

Ciclicamente infatti il cinema ha cercato di trasferire su celluloide questa materia che tanto parrebbe appropriata alla sua forma. Eppure un esito, che sembra così ovvio e a portata di mano, non si riesce ad ottenerlo, come se le opere dello scrittore russo che più sembrano predestinate a questa sorte – i drammi appunto - sfuggissero all’obiettivo della cinepresa.
Dal grande e prolifico autore sono stati tratti, nel corso di mezzo secolo di storia del cinema, circa venti film. E’ interessante notare come i soggetti per le pellicole siano stati trasposti sempre dalle stesse quattro o cinque opere.
Si cominciò nel 1944 con Tempesta d’estate, adattamento del racconto Una partita di caccia, diretto da quel Douglas Sirk che, dodici anni dopo, avrebbe toccato l’apice del genere melodrammatico con Come le foglie al vento. Il film tenta di essere stilisticamente europeo pur nascendo a Hollywood, ma nella trasposizione si perde tutta l’atmosfera che regnava nel racconto; la storia comunque si delinea in maniera avvincente e la critica alla classe dirigente rimane ben visibile. Il problema sta proprio nello stile adottato da Sirk, troppo ridondante, che sfocia qualche volta di troppo nel melodramma a lui tanto caro.
La seconda trasposizione cinematografica di un’opera di Cechov risale al 1952. Tratto da due racconti, La morte di un Impiegato ed Esami di Promozione, vede Totò come protagonista diretto da due mostri sacri della commedia all’italiana, Steno (Stefano Vanzina) e Mario Monicelli. È Totò e i re di Roma , un film particolare, gradevole e, a dispetto delle attese, classico. Seppure trasposte in chiave farsesca, le novelle non perdono il messaggio che le caratterizza. La bravura dei registi, pur non mantenendo uno stile uniforme e, a volte, saltando troppo da un registro ad un altro, sta proprio nella delicatezza e nella leggerezza con cui vengono affrontati i temi della sconfitta, della morte e della superstizione. Totò ha modo di dare sfogo a tutto il suo repertorio tanto macchiettistico che misurato, sapendo essere umano e commovente. Si noti, come curiosità, che questo è l’unico film in cui recitarono insieme Alberto Sordi e Totò.

Negli anni si susseguono versioni de Il matrimonio, La cicala, La signora dal cagnolino, Tre sorelle, Il canto del cigno, Zio Vanya. Alcuni di questi titoli sono stati trasposti, con alterna fortuna più volte, come La Steppa o Zio Vanya.
Una mensione a parte la meritano le varie trasposizioni de Il Gabbiano. La prima risale al 1968, da parte di Sidney Lumet. Il film ripercorre pedissequamente la struttura dell’opera teatrale, rispettando ogni inflessione e ogni pausa. Pur mantenendo l’intensità di alcuni momenti, viene però definito “accademico”.
Undici anni più tardi ci riprova un italiano, Marco Bellocchio, che ambienta la commedia nella campagna veneta. Il film è sceneggiato dal regista, che lo infarcisce di rimandi psicoanalitici, giocando con le caratteristiche dei protagonisti, ma sottolinea anche il rapporto tra vecchio e nuovo, le relazioni tra generazioni e il potere che l’esperienza e la consapevolezza possono dare.
L’ultima versione cinematografica de Il Gabbiano risale al 2003, con il film francese La petite Lilli. In questo caso la trasposizione è quanto mai libera, poiché sono rispettati solo i primi tre atti del testo teatrale per fare poi spazio all’interpretazione del regista, Claude Miller. La storia è trasposta ai nostri giorni, il finale non coincide con l’originale, lo stesso regista conferma “Non era sufficiente prendere Il Gabbiano e trasferirlo sullo schermo. Volevo capire perché lo facevo.[…] Volevo modificare la parte finale soprattutto perché avevo voglia di dare il mio punto di vista alle cose che mettevo in scena.[…] Mi sembrava presuntuoso riportarlo così com’era anche perché non potrebbe funzionare con personaggi contemporanei.”
La rivisitazione, in questo caso, non è solo formale ma anche e soprattutto contenutistica. Al centro del film non c’è più il rapporto tra generazioni o l’amore impossibile, ma una riflessione sul cinema stesso che prende solo i personaggi principali dell’opera teatrale separandoli dalla loro stessa storia e, forse, sminuendoli.

Il quadro della ineffabilità cinematografica del nostro autore si fa più chiaro: i film meglio riusciti sono spesso quelli trasposti dai racconti più che dalle opere teatrali vere e proprie. Abbiamo una riprova ed una eccezione che conferma la regola, in quattro dei casi più significativi degli ultimi quaranta anni.
La Signora con il cagnolino (Urss 1960, adattamento e regia di Josif Chejfic) è annoverato, afferma Morando Morandini, come “uno dei migliori film cechoviani in assoluto” riuscemdo a dare forma cinematografica alle tonalità della novella e all’ambiente dell’epoca.
Vi sono poi le due celebri opere cechoviane di Nikita Michalkov: Partitura incompiuta per pianola meccanica, del 1976, che porta sul grande schermo il primo dramma giovanile e inedito di Cechov, detto Commedia senza titolo o Platonov, e il celebre Oci ciornie, del 1987, che è l’intrusione di tre racconti - Una moglie, L’anniversario, Anna al collo - sulla falsariga sempre de La Signora con il cagnolino.
Tutti questi tre esempi di film sicuramente riusciti hanno però il fatto o di non essere lavori teatrali ma tratti dalle novelle o di essere stati notevolmente manipolati. Michalkov ha fatto entrambe le cose, oltre a miscelare originalmente i racconti ha cambiato radicalmente il finale del Platanov, trasformando l’omicidio del protagonista in un tentativo comicamente fallito di suicidio e chiosando con una toccante scena di amore coniugale.
Veniamo all’unico caso di trasposizione filmica fedele di una piece di Cechov che ha riscosso apprezzamenti unanimi. Nella sua pellicola Vanja sulla 42ª Strada, del 1994, Louis Malle ha rinunciato a quasi ogni pretesa di adattamento al mezzo, riducendosi il film a null’altro che la rappresentazione delle prove del dramma. Eppure questo Zio Vanja è coinvolgente come una rappresentazione dal vivo e suggestivo nel modo in cui allude proprio al metodo di Stanislavskj: ad esempio due degli attori conversano dei loro problemi e d’un tratto ci accorgiamo che stiamo ascoltando le prima battute del dramma.

In tal modo abbiamo definito una sorta di formula dell’incommensurabilità del teatro di Anton Cechov per il grande schermo: i suoi drammi rimangono o al di qua del cinema, semplice ricostruzione - pur egregia - della rappresentazione scenica come nel caso di Vanja sulla 42ª Strada o de Il Gabbiano di Sidney Lumet, oppure il cinema se ne appropria efficacemente ma lo porta ben oltre il suo autore, come è accaduto per il Platonov di Partitura incompiuta per pianola meccanica di Nikita Michalkov. Tertium non datur … ancora.


(fonte: http://www.railibro.rai.it/articoli.asp?id=301)
  



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