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«ROMA» COME UNA RIVELAZIONE...
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«РИМ» КАК ОДНО ОТКРОВЕНИЕ...
«ROMA» COME UNA RIVELAZIONE...

Quanto conoscete Gogol? Beh, certo, conoscete il suo poema «Le Anima Morte», che eccita l'anima di ogni russo, conoscete l'esilarante commedia teatrale «L'ispettore generale» con una scena muta alla fine, conoscete la fantastica storia «Il Naso» o la triste storia «Il Cappotto». Ma Gogol ha un piccolo lavoro di cui pochi hanno sentito parlare e pochi hanno letto. Nikolai Gogol visse in Italia per circa dieci anni e lì scrisse il racconto «Roma» nel 1842 con il sottotitolo «Frammento». «Roma» è infatti un estratto dal romanzo incompiuto «Annunziata». Gogol in questa storia rifletteva la sua impressione del suo soggiorno in Italia. Sono lieto di presentare qui questa piccola opera di Gogol con la speranza che gli italiani trovino quest'opera tradotta in italiano e la leggano. Vi consiglio vivamente di farlo! Non so chi abbia tradotto in italiano la storia di Roma e quale editore italiano l'abbia pubblicata, ma in ogni caso vi divertirete a trovare questo libro nelle librerie italiane o in biblioteca. Dovete leggere questo lavoro di Nikolai Gogol e spero che vi lascerà un'impressione duratura. Penso che in seguito scriverete le vostre impressioni sulle pagine del nostro forum «Arca Russa».

Il giovane principe, nato e cresciuto nella vecchia Roma, parte per studiare a Parigi. Una città europea progressista stupisce e cattura un giovane con la sua genialità, passioni bollenti, scienze, politica. Ristoranti, caffè, negozi, teatri: tutto brillava, faceva cenno. Lezioni di professori, discorsi di oratori, predicatori, pubblicisti assorbirono avidamente la mente del giovane principe romano. Ma gradualmente inizia a desiderare Roma. Il principe torna a Roma. Ha provato una vera felicità quando è tornato in Italia. È affascinato dai palazzi maestosi, dai templi lussuosamente dipinti, dalle colonne di marmo delle chiese che si ergono. Gli piacciono le strade strette e buie che portano al Pantheon. La vecchia Roma è fatiscente, ma anche in questo il principe vede la grandezza monumentale, la vera bellezza, lo splendore di affreschi, gallerie, sculture, la vera bellezza dell'eterna Roma. Il «Frammento» inizia con una descrizione entusiastica dell'Annunziata albanese, che colpiva di bellezza antica dai capelli alla punta dei piedi. Alla fine della storia, il principe incontra casualmente una ragazza al carnevale. Ammira la sua maestosa bellezza, il calmo splendore che emana da lei. Purtroppo al lettore non è dato sapere come potrebbe finire la storia di due giovani. Ma ognuno può inventare la propria versione ...

Zarevich

  

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Zarevich
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Nikolaj Gogol’ Николай Гоголь
«ROMA» «РИМ»
Casa Editrice «Biblioteca Statale della Letteratura Straniera» Mosca 2009 (Pagine 288)
Издательство «Всероссийская Государственная Библиотека Иностранной Литературы» Москва 2009

La Biblioteca della Letteratura Straniera di Mosca ha la propria Casa Editrice in cui si pubblicano i vari cataloghi e la varia letteratura bibliotecaria della Biblioteca ma anche le belle lettere e la prosa d'arte, più spesso in due lingue. Vorrei presentare il libro edito nel 2009 per il 200mo anniversario della nascita di Nikolaj Gogol’. Il libro è uscito in due lingue, IN RUSSO e IN ITALIANO. Il libro si chiama «ROMA» «РИМ». È una raccolta in cui sono entrati la novella «ROMA» di Gogol’ ed anche le lettere «romane» di Gogol’ scritte negli anni 1837-1838. Oltre alle opere di Gogol’ stesso nel libro sono entrati i testi di Pavel Muràtov, Aleksej Kara-Murzà dedicati all’argomento «Gogol’ a Roma» («Гоголь в Риме»). Traduttori dal russo all’italiano: Tommaso Landolfi, Ettore Lo Gatto, Nadia Cicognini, Sara Villani. Cercate proprio questo libro pubblicato a Mosca nel 2009.



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Casa Editrice «Biblioteca Statale della Letteratura Straniera» Mosca 2009 (Pagine 288) 
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Zarevich
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Nikolaj Gogol (Николай Гоголь) è uno dei pochi scrittori che ha visitato le tre capitali sacre di Mosca, Roma e Gerusalemme nel suo infinito peregrinare, uno scrittore che ha vissuto questi «pellegrinaggi» con una forza e una profondità speciali. Delle tre città, Roma è senza dubbio la più amata: Gogol vi trascorse quattro anni e mezzo, completò la prima parte di «Le Anime morte» («Мёртвые души»), realizzò e revisionò molte opere. Si sa che inizialmente Gogol intendeva scrivere un intero romanzo «romano», intitolato «Annunziata». Tuttavia, nel 1841 cambiò il suo nome in «Madonna dei fiori», e un anno dopo fu pubblicato il racconto «Roma». Il cambiamento del titolo indicava che il tema era cambiato e il baricentro della narrazione si era spostato: la storia non parlava di una donna, ma di una città. Gogol ha usato i toponimi nel titolo delle sue opere prima, ad esempio, in «Mìrgorod» («Миргород», 1835) e «La Prospettiva Nèvskij» («Невский Проспект», 1835). «Roma» chiude questa riga. E se concordiamo sul fatto che un'opera d'arte è sempre un'immagine del mondo, la storia di Gogol si rivelerà non solo uno studio del genio romano del luogo, vestito della forma di un'opera letteraria, ma anche ideale.
  

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Zarevich
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Caro Zarevich! Hai fatto molto bene a scrivere di questa piccola perla di Gogol, quantunque incompleta; tutti quelli che amano Gogol dovrebbero leggere questo breve racconto, scritto durante il suo lungo soggiorno a Roma.
Credo che non siano in molti a conoscerlo, ed è un peccato, perché ne vale sicuramente la pena. A me piacque tantissimo, lo si può considerare come un’ode all’Italia, in cui lo scrittore dimostra tutto il suo amore per il bel paese e per il popolo italiano, ed in particolare per Roma e il suo popolo. Secondo le sue stesse parole, “Tutta l’Europa è fatta per essere vista, mentre l’Italia è fatta per viverci”.

Non tutti sanno che Gogol scriveva anche in italiano; ricordo una lettera, inviata da Gogol ad una sua allieva in Russia durante il suo soggiorno in Italia, scritta interamente in italiano, veramente notevole.

Io credo che il racconto Roma sia di grande interesse per gli italiani, perché ci sono delle osservazioni sull’Italia che sono oggi più attuali che mai, e potrebbero essere state scritte ai giorni d’oggi.  Se avrò tempo, cercherò di ricopiare qualche passaggio chiave di queste osservazioni.

A quanto ricordo, la traduzione che ho io, che fa parte di una raccolta Einaudi delle opere di Gogol, era eccellente, curata da Igor Sibaldi, e mi sento di consigliarla senza dubbio.  Sono tuttavia disponibili altre edizioni, pubblicate nel tempo, successivamente, di altri traduttori.
  



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E tutto ciò era sparito e trascorso così d’un tratto, e tutto s’era freddato, come lava spenta, e gli era toccato persino di vedersi gettar via dalla memoria dell’Europa, come vecchio ciarpame inutile. In nessun luogo ormai, neppure nelle riviste, la misera Italia mostrava più la sua fronte scoronata, priva com’era d’ogni significato politico, e con esso anche d’ogni influsso sul mondo.

E possibile, pensava egli, che la sua gloria non risorga mai? Possibile che non vi siano i mezzi di restituirle il passato splendore? E rammentò quel tempo in cui, ancora all’università, a Lucca, egli andava vaneggiando d’un rinnovellamento della gloria trascorsa, e come questo pensiero fosse il prediletto dei giovani d’allora, e come intorno a qualche bicchiere essi, bonari e semplici di cuore, usavano sognarne, e vide, ora, quanto miope fosse quella gioventù, e quanto miopi fossero, del pari, i politici, che rimproveravano al popolo la negligenza e la pigrizia. Ora egli avvertì, turbandosene, il gran Dito divino, dinanzi al quale l’uomo è ridotto in polvere, il grande Dito, che dall’alto traccia gli avvenimenti universali. Esso aveva suscitato, da quella terra, il suo cittadino discacciato, il povero genovese, che poi assassinò, lui da solo, la patria sua, rivelando al mondo una terra sconosciuta e nuove, più ampie vie. S’era allargato l’orizzonte del mondo, e d’uno slancio enorme cominciarono a fervere i movimenti dell’Europa, le navi corsero attorno al globo, muovendo le possenti energie del settentrione. Il Mar Mediterraneo restò vuoto; come il letto d’un fiume in secca, si ritrovò in secca l’Italia, elusa. Ecco Venezia che riflette nelle onde dell’Adriatico i suoi spegnentisi palazzi, e d’una straziante compassione è penetrato il cuore dello straniero, quando l’avvilito gondoliere lo sospinge sotto i deserti muri e le balaustre distrutte dei muti balconi marmorei. E’ ammutolita Ferrara, che ora spaventa con la cupezza del suo palazzo ducale. Guardano desolate, su tutta l’estensione dell’Italia, le sue torri pendenti e i suoi prodigi d’architettura, venutisi ora a trovare in mezzo a una generazione che è ad essi indifferente. Un’eco sonora si ode nelle vie un tempo chiassose, e il povero vetturin accosta dinanzi a una sudicia osteria, installatasi in un magnifico palazzo. In panni di mendicante s’è ritrovata l’Italia, e son cenci polverosi e brandelli della sbiadita veste regale che le penzolan di dosso.

Nell’impeto d’una sincera compassione egli era pronto addirittura a versar le lacrime. Ma un pensiero confortante, maestoso, gli giungeva spontaneo nell’anima, ed egli sentiva, con un diverso e più alto sentire, che non era morta l’Italia, che s’avverte il suo eterno e irresistibile imperio su tutto quanto il mondo, che eternamente alita su di essa il suo grande genio, il quale già in principio aveva legato nel petto suo le sorti dell’Europa, e aveva poi portato la croce fin nelle cupe foreste europee, e su quelle terre remote aveva afferrato con il raffio della civiltà quel loro uomo selvatico, mostrandogli per la prima volta il ribollire del commercio universale, dell’astuta politica e di tutta la complessità delle molle dello stato, e s’era elevato poi in tutto lo splendor dell’intelletto, incoronandosi la fronte del sacro serto della poesia, e poi, quando già ogni influsso politico dell’Italia cominciava a scomparire, s’era dispiegato sopra al mondo interno coi suoi trionfali prodigi – con le arti, che avevano donato all’uomo ignoti godimenti e sentimenti divini, mai suscitatisi prima d’allora nel grembo dell’anima sua. Da quando poi anche il secolo dell’arte s’è concluso e ad essa son divenuti freddi gli uomini immersi nei calcoli, esso alita e si spande sopra al mondo negli ululanti urli della musica, e sulle rive della Senna, della Nevà, del Tamigi, della Moscova, del Mar Mediterraneo, del Mar Nero, sulle mura di Algeri, e su lontane, fino a poc’anzi selvagge isole, rombano applausi estasiati, incontro agli altisoni cantanti. Infine, è con la sua stessa vetustà e con le sue macerie ch’esso impera, ancor oggi minaccioso, sul mondo: questi solenni prodigi architettonici son rimasti, come spettri, a rimproverare all’Europa il suo minuto lusso cinese, il gingillante sminuzzamento d’ogni pensiero. E appunto questa unione portentosa di mondi trascorsi, e il fascino del loro congiungersi con una natura eternamente in fiore, tutto ciò esiste al fine di destare il mondo, acciocché all’abitante del settentrione appaia talvolta come in un sogno questo meridione, e fantasticandone egli venga strappato all’ambiente della sua vita frigida, dedita a occupazioni che rendono l’anima insensibile, e strappatosene, nell’inatteso sfolgorìo d’una prospettiva che fugge via lontano, o d’una notte colossea sotto la luna, d’una Venezia meravigliosamente morente, e nell’invisibile e celestiale splendore e nei caldi baci d’una aria portentosa, egli possa essere almeno una volta in vita sua un uomo meraviglioso…

  



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Nel testo si possono distinguere tre tipi di tempo verbale:
1) tempo d'azione - racconta gli eventi legati all'azione immediata della storia (dalla decisione del principe di recarsi al carnevale alla scena finale sul Gianicolo; circa due ore in totale);
2) tempo di trama: il periodo di tempo totale che copre il testo; include episodi retrospettivi inseriti (una storia sull'infanzia dell'eroe, anni di studio, ecc.);
3) tempo narrativo: il tempo impiegato dal lettore per leggere la storia. La storia dura solo poche ore e si svolge in inverno, durante il carnevale. Anche se non viene nominato l'anno esatto, parliamo della seconda metà degli anni Trenta dell'Ottocento, poiché il testo dice che la Rivoluzione di Luglio (1830) trovò protagonista proprio a Lucca, durante i suoi anni da studente. Come siamo riusciti a scoprire, una delle fonti della storia è un disegno raffigurante un corteo di carnevale nel 1839. Quell'anno l'ultimo giorno del Carnevale romano cadeva il 12 febbraio. Il culmine del carnevale romano erano gli undici giorni prima dell'inizio della Quaresima: durante questo periodo le autorità consentivano di indossare costumi e maschere di carnevale. L'azione inizia nel pomeriggio, quando il principe, trascinato da un'allegra folla carnevalesca, vede una bellissima sconosciuta, Annunziata. Lui la perde subito di vista e, sporco di farina, torna a casa per cambiarsi, e si cambia d'abito in una fretta spaventosa, così da poter di nuovo correre al Corso a cercare la bella prima che «l'Ave Maria», suonata un'ora prima. e mezzo dopo, annuncia la fine del divertimento carnevalesco.

  




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