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«CHE COSA È MODERNO?»
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Messaggio «CHE COSA È MODERNO?» 
 
«CHE COSA È MODERNO?» «ЧТО СОВРЕМЕННО?»
(28 gennaio – 25 giugno 2024)

Un nuovo programma di concerti chiamato «Che cosa è moderno?» («Что современно?»). Gli undici concerti del ciclo coprono la musica di quattro secoli, dal XVII al XXI. Sono previste prime russe di opere di Yannis Kyriakides Ein Schemen (L'ombra) e Louis Andriessen Nietzsche Speaks, nonché la prima a Mosca di 33 Variazioni su 33 Variazioni (basate sulle Variazioni di Beethoven sul Valzer di Diabelli) di Hans Zehnder. Il tema chiave del programma è l'emergere e la presenza della modernità ai confini delle diverse epoche artistiche. Il titolo fa riferimento all'omonimo saggio di Giorgio Agamben, in cui il filosofo italiano giunge ad una conclusione paradossale: solo un artista che non è moderno può essere veramente attuale, colui che è in grado di vedere la modernità dall'esterno, nella prospettiva del tempo. Il primo concerto del ciclo avrà luogo il 28 gennaio 2024. L'Ensemble di musica contemporanea di Mosca sotto la direzione di Fyodor Lednev eseguirà il programma “Nietzsche Speaks”: Johann Sebastian Bach - Anton Webern Fuga (ricercata) da “Offerta musicale” BWV 1079 per orchestra da camera. Kurt Weill "Little Threepenny Music" (1928) per banda di ottoni. Arnold Schönberg "Inno a Napoleone Bonaparte" (1942) per lettore, pianoforte e quartetto d'archi. Louis Andriessen “Nietzsche Speaks” (1989, prima esecuzione in Russia) per lettore, fiati, due pianoforti e archi.

  

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Zarevich
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Messaggio Re: «CHE COSA È MODERNO?» 
 
Montale oltre che eccellentissimo poeta si occupò anche di musica

2. Alienazione dodecafonica
La malattia del nostro secolo, tutte le sue storture, la crisi dell’uomo umano
e di conseguenza dell’arte sono forse imputabili ad una unica grande causa,
quella di una cattiva democratizzazione. Teorico di questa tesi è Erich Von
Kahler il quale sostiene che una sostanziale promessa di eguaglianza non ha
avuto altro effetto che un’equazione: siamo tutti uguali, siamo quindi tutti
sostituibili. Per evitare di essere sostituiti è necessario, come per ogni prodotto
destinato a un mercato, essere i più appetibili, per questo sempre più
specializzati, aggiornati, al passo con i tempi. Un’umanità così fatta sarebbe
libera finalmente, «libera da ogni individualità».1
Eppure mai come in questo
secolo, secondo il nostro poeta, si registra
Un’alienazione così vasta […] un universale senso di vuoto e di inutilità. […] Il
problema è che questo vuoto sta diventando un tutto; dà da vivere a molti di noi, a tutti
senza eccezione coloro che esercitano professioni intellettuali; fornisce motivo di
compiacimento ad intere legioni di falliti; provvede comodi alibi a tutti quelli che non
avendo nulla da dire lasciano credere di esprimere l’inesprimibile vacuo di un cuore
alienato.2
Questo stato si riflette naturalmente in ogni espressione del pensiero
umano, persino nella musica. Non ci stupisca allora sentir parlare Montale in
termini di democrazia della tanto detestata dodecafonia:
Questa del tonale cromatico è una fissazione alla quale tutti soggiacciono. Una
volta deciso, dai dodecafonici, che tutte le note dovessero esser usate
democraticamente lo stesso numero di volte senza che ve ne fossero privilegiate (tonica
e dominante) il cammino era aperto alla creazione di una forma indistinta in cui nulla è
subordinato e tutto è necessario.3
La condizione dell’uomo è esattamente come quella del valore delle note
nella dodecafonia: abolita la «dittatura della tonica e della dominante»,
4
ritenute
le note tutte uguali, l’una arbitrariamente sostituibile all’altra, viene meno
qualsiasi tipo di regola di costruzione armonica. Con questa sabbia sonora è
però impossibile ogni cementazione, la creazione di ogni impianto strutturale, il
 
che ridurrebbe una musica di tal genere a essere una musica atmosferica,
colonna sonora incapace di trasmettere alcunché, incapace di persistere nella
memoria e nel tempo. Lì dove sono possibili tutte le armonie non lo è più
possibile nessuna ed il risultato all’orecchio è dissonante, angosciante perché
vagolante in una indeterminazione che non permette alcun appiglio melodico.
In queste musiche contemporanee «Si procede per agglutinazioni e grappoli di
note; generale è l’orrore per una tematica che sia appena riconoscibile»5
perché
la melodia, come il romanzo verista e la pittura figurativa sono tutti simboli di
un mondo, di un uomo ormai in via d’estinzione. L’uomo moderno non può
riconoscersi più in queste espressioni, le trova noiose perché l’orrore più grande
è riconoscersi:
Se l’uomo si vergogna di essere uomo è perfettamente logico che egli espunga
dalle sue manifestazioni […] ogni riferimento alla sventurata condizione umana.6
Premesso questo, diventa più che normale il disgusto degli autori
contemporanei per l’espressione più esplicita dell’umanesimo, per la voce
umana. Le voci non cantano più arie ma producono rumori, al massimo parlano.
Le voci sono amplificate da strumenti, alterate possono essere prodotte
escludendo la presenza stesso dell’uomo sostituito da un nastro registrato. La
parola stessa, trattata anch’essa con la tecnica dodecafonica, è scomposta in
fonemi, maciullata.
Dopo tutto quale ragione c’era per mantenere la voce umana entro limiti umani?
L’uomo non ha più molto interesse per l’umanità. L’uomo si annoia spaventosamente.7
Per Adorno le arti sono un luogo privilegiato in cui è possibile ritrovare i
segni dei tempi che esse incarnano. Se gli uomini non sembrano poi così
differenti da quelli del passato è nell’arte è davvero che la crisi dell’uomoumano si incarna, diventa tangibile, udibile, visibile. La nuova musica nega
ogni carattere di appartenenza, di linearità storica e temporale perché il nuovo
tempo è inafferrabile, incomprensibile. L’opera di Shönberg nasce da una
esigenza di denuncia di perdita di soggettività, di un’alienazione dilagante. Alla
base dell’atonale Pierrot Lunaire del 1912 e della teorizzazione della
dodecafonia e della serialità c’è un’idea scientifica di combinazioni di sequenze
fortemente vincolate.8
In questo sistema celebra il trionfo della razionalità in cui
il compositore che decide di adottare la tecnica dodecafonica sarà costretto a
rispettare regole che si autoimpone limitando da sé la propria libertà
compositiva entro la realizzazione di un numero vasto ma limitato di scelte, di
combinazioni. Non potendo mai ripetere la stessa nota prima che non siano
state esposte tutte le altre il compositore si costruisce una gabbia che potrebbe
essere rotta solo disobbedendo a quella regola autoimpostasi. Per Montale è
ridicolo che ciò possa essere considerata una «scoperta meravigliosa»:
Ma non si può essere originali in questo modo, perdendo il senso comune, dicendo
cose senza costrutto. La dodecafonia impone al musicista di non ripetere mai una nota
nella stessa serie. Sarebbe come se il poeta dicesse: ho usato la effe e in questo verso
non ce la posso più mettere.9
Il controllo razionale di una materia magica, quale la musica, la vittoria
della razionalità sulla sensibilità si pagano a un caro prezzo, con la perdita di
qualsiasi piacevolezza e soprattutto di libertà. La dodecafonia allora diventa un
esempio di quello che sta diventando l’uomo, un’espressione dell’alienazione
non proveniente dall’esterno ma creata scientificamente da l’uomo stesso e da
cui è impossibile uscirne perché inesistente in esso la ragione per farlo. La
dodecafonia è la realizzazione acustica di un disastro, di una catastrofe generale
che l’uomo sta creando per sé. Vanno fatte delle precisazioni. Non è Shömberg
ad essere attaccato da Montale lo descrive come un inconsapevole. È ai suoi
successori che Montale guarda con grande preoccupazione perché, rimasto a
questi solo l’elemento tecnico facilmente riproducibile, non saranno capaci che
ripetere e moltiplicare la eco di un vuoto dilagante
  



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