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«LA MASLENITSA CIOE’ IL CARNEVALE RUSSO»
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Messaggio «LA MASLENITSA CIOE’ IL CARNEVALE RUSSO» 
 
Maslenitsa (settimana grassa ) e’ la festa del ritorno della primavera che risale direttamente ai tempi pagani. La si festeggia durante l’ultima settimana prima il Velikij post (la Grande Quaresima). I bliny si cuociono per tutta la settimana, la loro forma rotonda rappresenta l'immagine magica del sole.  Ogni giorno di Maslenitsa ha il suo proprio nome. L’ultimo giorno di Maslenitza coincide con la domenica del perdono  (proschennoje voskresen’e ). Ognuno chiede perdono agli altri per i propri peccati. Tutti si genuflettono verso gli altri ed esprimono un sincero auspicio con questa particolare frase: "Dio ti perdonerà". Nell’ultimo giorno di Maslenitsa la gente brucia il fantoccio di paglia (simbolo dell’inverno).
Alena
  



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Messaggio «LA MASLENITSA CIOE’ IL CARNEVALE RUSSO» 
 
E' molto carina la rappresentazione della Maslenitsa che Nikita Mikhalkov fece nel film "Сибирский Цирюльник" (il Barbiere di Siberia).
  



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Messaggio «LA MASLENITSA CIOE’ IL CARNEVALE RUSSO» 
 
Mi meraviglio di te Myshkin!!!!!!!!!!!!!!!!
Pensavo che avessi un buon gusto!!!!! Mr. Green  Mr. Green  Mr. Green
La Maslenitsa di  Nikita Mikhalkov è stata concepita per un pubblico "americano"!!!!!! Smartass

(Il Barbiere è secondo me il peggior film di Mikhalkov)
  




____________
Miayyyy! Myrrr....rrr....
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Laughing E il mio articolo sulla Màsleniza nessuno lo legge?
  



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Mi sa che mi è sfuggito... dove lo hai inserito?
  



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Io aveva cercato di allegarlo qui, ma non ci sono riuscito. E non so come fare ancora. Datemi una dritta...
  



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Messaggio «LA MASLENITSA CIOE’ IL CARNEVALE RUSSO» 
 
La Màsleniza o il Trionfo della Vita

La festa più importante e più gioiosa del calendario pagano slavo è proprio l’addio al gelido inverno quando con la caratteristica uscita di una processione su slitte si annuncia che questa è l’ultima scivolata sulla neve che fra poco (si spera!) si sarebbe sciolta. Se abbiamo poi ben compreso lo spirito dello smierd, la fine dell’inverno è per questo suo mondo una grande liberazione. E sì! La luce ritorna, le tenebre si ritirano e la vita continua…
Inverno in russo è una parola femminile mentre Gelo è maschile e perciò quando l’inverno, ossia Zimà, sta per finire, rimane ancora il testardo Nonno Gelo, ossia Ded Moròz, che deve ancora decidersi a lasciare questo mondo! E infatti Nonno Gelo occorre sempre sopportarlo un po’ più a lungo. E affinché non rimanga troppo tempo e rovini la terra, la donna dello smierd prepara la gelatina (kisèl) di avena e il più vecchio della famiglia (fra vecchi ci si capisce meglio!) con un cucchiaio di questa gelatina in mano si china sulla “gattaiola” (la finestra del lupo in russo volkovòe oknò/волковое окно) e ne pone un bel po’ all’esterno e dice: “O Gelo, o Gelo! Vieni a mangiare questa gelatina! O Gelo, o Gelo! Non colpire la nostra (anche tua, cioè!) avena, il lino e la canapa e non spaccare il terreno!” e così dopo qualche giorno ecco che sui grandi laghi del nord si ode uno strano e terribile scoppiettìo mattutino. Non bisogna temere però! E’ soltanto il ghiaccio che comincia finalmente a fendersi in superficie per il disgelo. Ora sì! che si può cominciare a tirare un sospiro di sollievo e, come si diceva a Sorocì in Bielorussia, si possono portare le galline a bere nello stagno! Anche i tetti cominciano a piangere mentre lasciano gocciolare l’acqua dagli spioventi…
Insomma, è finita la vita per Zimà e per Nonno Gelo! Devono ritornarsene ambedue nelle loro case oscure del sottosuolo!
La prima ad andarsene, come abbiamo detto, è Zimà. La gente lo sa e le prepara la festa dell’addio: Fa un bel pupazzo di legno o di paglia, lo pianta in mezzo ad un campo e mette la vecchia e bruttissima Zimà alla gogna di tutti! Presto sarà bruciata!
L’inverno nella mitologia slava era abbinato alla Morte chiamata, questa, in vari modi: Marena, Morena, Mara e simili, nomi tutti derivati dalla radice indoeuropea *mor- morire (evidentemente è la stessa radice di moròz, Gelo) e quindi non fa meraviglia se aggiungiamo qui che non solo durante l’anno, e proprio d’inverno, si commemorassero più volte gli antenati. Siccome poi nello stesso periodo si celebrava la Màsleniza⁄Масленица, secondo le nostre ricerche non possiamo escludere che questa festività, oltre ad essere una delle feste più popolari e più partecipate della Rus’, era la grande festa della stirpe, ossia in onore del nume Rod e giustamente si collegava agli antenati. Una conferma a questo nostro modo di vedere ci viene dal fatto che proprio in questi giorni in cui nessuno era sicuro che il Sole sarebbe ritornato a riscaldare, si cercava rifugio presso le tombe affinché i defunti intercedessero presso gli dèi e la vita sulla terra riprendesse con nuovo vigore. D’altronde la Battaglia del Cielo fra gli dèi neri e quelli bianchi era ormai in corso e nessun avrebbe potuto modificarne l’esito, se non si aiutava l’auspicato vincitore sacrificandogli quanto era rimasto di meglio dell’anno passato.
Fra le popolazioni slave del Medioevo il Sacrario della Stirpe dove si pregava e si facevano i sacrifici comuni occupò sempre un posto molto importante. Di solito questo kapìsc’c’e (ricordate che questo tempio si chiama così in russo?) si trovava in un posto centrale oppure non molto discosto dai villaggi che serviva. Normalmente tutto circondato da pietre lucide aveva una forma circolare tipica (rimandiamo per una descrizione più particolareggiata ai testi di V.V. Sedov o di J. Hermann o di quello scavato a Pskov dalla prof.ssa Labutina una ventina di anni fa) con un‘orientazione dell’accesso al tempio verso sudovest in modo che chi entrasse guardava sempre verso il Sole Nascente a comprova dell’importanza della venerazione slava di questo astro. Notevole è la forma del sacrario simile ad un fiore con sei petali e forse per questo l’iris (Iris germanica sp.) era considerato un fiore divino. Un simulacro (kumir) fatto di un tronco intero di quercia era posto al centro ed intorno vi ardevano dei fuochi con altri kumiry eretti ed il complesso era vegliato dai volhvy e dai loro aiutanti.
L’archeologia aiuta poco a localizzare questi sacrari slavo-russi, specialmente se corrispondono nell’organizzazione spaziale a quelli maggiori scavati ad Arkona, sull’isola di Rügen, o nei dintorni di Novgorod dove oggi c’è il Convento di Peryn (Perun!), ma nella grande pianura nascosti nei boschi dovettero essercene molti. Fra i simulacri ritrovati invece dagli archeologi in area “russa” c’è quello famoso, ora nel Museo di Cracovia, rinvenuto alla metà del XIX sec. presso il fiumiciattolo Zbruc’, affluente del Dnepr non molto lontano da Kiev. Questo però è un obelisco di pietra carpatica di tipo egiziano alto ca. 3 metri a sezione quadrata con quattro facce umane ricavate sui quattro lati. Ogni lato poi è diviso in almeno tre file di sculture: quella superiore è dedicata al dio stesso, quella mediana agli uomini, e quello inferiore al mondo degli inferi (l’interpretazione è di B.A. Rybakov). Delle quattro figure rappresentate sempre con un cappello sulla testa due sono femminili e due maschili e ognuna di esse ha i propri simboli distintivi ben evidenti. Questa descrizione però non ci dice quali dèi il simulacro rappresenti né se è quello di un solo dio con quattro sembianze diverse oppure di quattro dèi separati. D’altro tipo sono i sacrari fra gli alberi della foresta che, come d’altronde nel resto d’Europa, si trovavano esclusivamente celati nei querceti o presso i crocicchi dei sentieri che attraversano la foresta.
Comunque sia, possiamo immaginare come, prima dell’arrivo del Cristianesimo, la grande processione raccogliesse la gente da ogni izbà e si dirigesse verso il Sacrario comune, posto da qualche parte su una collina artificiale nel nord oppure all’interno della foresta, da qualche parte fra il Bacino del Pripjat’ e i declivi dei Carpazi, a pregare solennemente per il ritorno della vita ossia a celebrare la Màsleniza.
Le descrizioni delle cerimonie collettive pagane che ci rimangono risalgono… al XVII sec. e qualcuna addirittura al secolo scorso! E’ riferito ancora di sacrifici cruenti di animali e, pensate!, persino di uomini! Dunque il Paganesimo è ancora al di là di essere sconfitto! Ad ogni modo, alla fine tutti gli animali offerti agli dèi erano consumati in un grande convito sacro in cui si serviva da bere e da gustare cibo inebriante allo scopo di chiudere la celebrazione in solenni pratiche orgiastiche. A prova di ciò si sono ritrovate nelle aree archeologiche attribuibili presumibilmente a questi conviti sacri, in cui  si sono trovate numerose ossa raccolte alla rinfusa, ma prevalentemente di animali a partire dal cavallo, dal toro, dalla capra etc. fino a giungere a ossa anche umane parzialmente bruciate!
Per quanto riguarda i sacrifici umani, nelle Cronache se ne parla spesso, già a partire dal 983 d.C. quando san Vladimiro, dopo una sua vittoria contro i nomadi Peceneghi, volle ringraziare gli dèi con il sacrificio di un giovinetto. Si tirò a sorte e venne fuori il nome di uno dei figli dei suoi variaghi. Questi però, essendo cristiano, si rifiutò di cedere uno dei suoi ragazzi e prese in giro i volhvy che erano andati da lui per prendersi il figlio. Il variago affermò che era molto stupido adorare dei pezzi di legno che oggi erano lì in piedi, ma che domani diventavano semplice legno marcio! A questa grave offesa agli dèi slavi i volhvy e gli uomini mandati da Vladimiro dettero fuoco alla casa e il variago con i suoi finì sotto un mucchio di cenere fumante e facendo sì che il sacrificio fosse comunque compiuto.
Venivano sacrificati anche uccelli come il gallo quale animale solare ed anche questo è testimoniato da più di una fonte fino al XVI sec. Ad esempio, i Variaghi che discendevano il Dnepr diretti a Costantinopoli, nel X sec. d.C. sostavano su un’isola del fiume molto dopo Kiev, Berezan’, e lì sacrificavano il gallinaceo ringraziando gli dèi per essere giunti a pochi passi dal mare, sani e salvi!
    Tuttavia i documenti moscoviti più tardi, non danno dei nomi particolari a quelle cerimonie invernali e neppure una è ricordata con quello di Màsleniza, ma ciò non toglie che quest’ultima festa non fosse proprio una delle più solenni del Paganesimo Slavo visto il grande interesse a cristianizzarla che ebbero in seguito sia la Chiesa Russa che gli stessi sovrani moscoviti.
Al principio del nostro lavoro abbiamo visto come un villaggio nascesse da un gruppo di migranti che lascia la terra d’origine e ha colonizzato una terra nuova. Se però abbiamo creduto che costoro si muovessero in modo isolato e senza concerto con gli altri rimasti indietro, abbiamo ricevuto l’impressione sbagliata. In realtà (l’abbiamo accennato) questi colonizzatori erano dei veri pionieri che, una volta saggiata la nuova situazione e accettatala, mandavano a chiamare i loro congeneri, “della stessa stirpe”, affinché seguissero nella nuova destinazione (come novoselzy) al più presto.
Alla fine tutti i migranti discendevano, diciamo così, da un’unica “ondata migratoria” e si sistemavano, per quanto possibile, in villaggi non distanti l’uno dall’altro mentre si tenevano in continuo contatto-scambio proprio attraverso quei sacrifici nel kapìsc’c’e comune! E quale maggiore celebrazione poteva esserci per rinsaldare i legami famigliari, se non quella dell’antenato divinizzato e rappresentante di tutta la stirpe (Rod)?
Màsleniza perciò era la festa, per così dire, della famiglia, viste le descrizioni che ci sono state tramandate e come tale va considerata, senza staccarla dalle precedenti Radunizi. Nei villaggi infatti non c’erano solo le Veci per decidere qualcosa di importante, ma anche le grandi adunate con gli altri villaggi “affini per origine” nei casi di decisioni più gravi che richiedevano una collaborazione più allargata. Così riaffermando l’appartenenza allo stesso Rod, Màsleniza doveva essere una di queste  adunate dove occorreva pregare tutti insieme, se si voleva continuare a vivere. Oltre a ciò non possiamo non immaginare che il villaggio slavo orientale con le vecchie usanze e i vecchi costumi portati dalla valle dell’Elba, e questo è importante, non tenesse conto delle stratificazioni con le nuove culture incontrate nella Pianura Russa e perciò, allo stesso tempo, non difendesse la “slavità” della propria gente.
Aggiungiamo che proprio in difesa di questa “identità slava” la grande famiglia possedeva una gerarchia molto complicata e molto rigida facente capo al patriarca, vivo o “risuscitato” nel ricordo di ogni Ràduniza. Ad esempio, la donna che entrava nella nuova famiglia per matrimonio dipendeva rigidamente dalla suocera, più che dal marito, e le sue relazioni con le altre donne, sorelle o cugine del marito, erano improntate ad una certa soggezione persino quando queste le erano inferiori di età. Naturalmente la soggezione spariva non appena le nasceva un figlio o le cognate andavano in sposa altrove. E questo era necessario affinché la nuova generazione rimanesse sempre “slava”. Non possiamo in questa sede “immergerci” nel sistema parentale slavo poiché esso è complicato ed ha termini particolari per ogni membro che in italiano (e in molte altre lingue europee) non ci sono più (erano già scomparsi in latino!) e consigliamo perciò il nostro lettore più curioso di riferirsi al lavoro del linguista Kolesov o di Bienveniste, se vuole maggiori chiarifiche.
Torniamo allora alla Màsleniza. Ci sono varie dispute sull’origine di questa parola. La maggior parte degli studiosi russi insistono sulla derivazione da maslo ossia burro, in russo, riferendosi al fatto che il piatto tradizionale per questa festività erano le bliny spalmate o fritte nel burro! In realtà però le bliny sono un piatto venuto più tardi dal mondo mediterraneo nella cucina dello smierd medievale e perciò hanno poco a che fare con la Màsleniza slava, salvo la forma circolare tradizionale di questa specie di frittella (nota nel mondo romano-cristiano come Placenta, in Germania Pfannkuchen, in Inghilterra come Pancake e in Ungheria come Palaczinta derivata dalla pasta di frumento non lievitata usata nel rito romano per farne le ostie).
Nella forma invece i cibi caratteristici di questa festa erano, e continuarono ad essere, quelli a forma di sole e, in special modo, i kalacì (panini rotondi dolci di frumento che abbiamo già incontrato) o il karavài (la grande pagnotta rotonda detta anche ruota di pane) con ripieno di tvorog e naturalmente le uova!

Ricetta per le bliny o blinciki
(ridotta da La Cucina Tradizionale Russa di Carla Muschio, Xenia 2002)

Ingredienti: Farina, zucchero o miele, burro, uova, lievito o pasta acida (o pasta madre), sale, latte
Procedura: Riscaldare il latte sciogliendovi la pasta acida (o pasta madre), aggiungere il miele il tuorlo dell’uovo e il burro. Aggiungere metà della farina e amalgamare. Coprire l’impasto con un canovaccio bagnato e lasciare crescere per circa 2 ore. La pasta raddoppierà e quindi aggiungere il resto del latte, sempre tiepido, e il resto della farina. Aggiungere il bianco dell’uovo montato a neve e impastare di nuovo. Far lievitare per circa un’altra ora. Con le mani farne delle spianatine circolari e friggere nella padella con burro. La padella deve essere molto calda prima di cuocere le bliny. Il burro deve soltanto tenere ben unto il fondo della padella e quindi va aggiunto con parsimonia, ma spesso. Le bliny si cuociono almeno tre per ciascun commensale previsto e si impilano su un piatto di legno presentandole tiepide a tavola.

Se accostiamo questa festa ad analoghe celebrazioni presenti nella zona danubiana non slava (Valacchia), Màsleniza potrebbe significare unzione (sempre dalla radice *maz- di maslo, ma per mazat’, ungere) o meglio forse colei che unge ricordando così che una vergine era incaricata dell’unzione del simulacro della divinità col grasso dell’animale sacrificato e che l’animale doveva essere probabilmente il porco. Perché proprio il grasso e non la carne sanguinolenta? Per la semplice ragione che il lardo è quella parte che brucia meglio e più in fretta, portando in alto verso la divinità l’odore dell’arrosto col quale il dio si nutre, mentre il sangue, simbolo della vita, facendolo colare sul suolo è restituito alla Madre Umida Terra.
Ci sono molti indizi a favore del sacrifico del porcellino (porosjònok). Accenniamone alcuni.
1.    Il porco ancor oggi non viene ucciso mai dallo smierd o da sua moglie che lo hanno allevato con amore perché questo animale è sacro ed è un loro amico. Ed infatti l’urlo del verro mentre viene ucciso è uguale a quello di un uomo nella stessa situazione estrema. Per questo s’incarica di solito il vicino… A nostro avviso questo ricorda che l’uccisione sacrificale era appunto esclusiva del volhv.
2.    Il porco non veniva mai salato scorticandolo, ma rimaneva con pelle e peli, come infatti non si farebbe mai con un uomo da sacrificare.
3.    Il grasso di porco diventò uno degli articoli di esportazione della Rus’ e quindi era tenuto in gran conto anche dal punto di vista del suo valore economico oltre che culinario. Con il Cristianesimo lo si usò anche per friggere, visto che non si poteva più offrirlo agli dèi.
4.    Le vesciche o le budella del porco, tese, si usavano come lastre di vetro per le finestre, ma in realtà erano un segno della presenza protettiva in casa dell’animale.
Dunque i porci (insieme agli altri maschi di animali d’allevamento e cioè il toro e il caprone) quasi esattamente come nell’antichissimo rito romano dei Suovetaurilia si portavano in processione al kapìsc’c’e dove li attendeva il volhv per scannarli, concludendo il solenne rito con un gran convito e con una festa sfrenata dove si consumavano quelle carni ormai santificate.
Màsleniza perciò era una festa popolare e partecipatissima, ma anche di grande risonanza politica e culturale. Prova ne sia il fatto che alcune volte sia Pietro I che Caterina II inaugurarono di persona la Settimana della Màsleniza a Mosca e a San Pietroburgo. Naturalmente la teatralità richiesta nelle due capitali russe del XVII-XVIII sec. era tutt’altra rispetto alla licenziosità con la quale la Màsleniza si svolgeva nei villaggi e ciò, come abbiamo detto, era condannato dalla Chiesa Russa…
Se dunque la nostra interpretazione è giusta, ecco che, ad esempio, i nuovi matrimoni che avevano avuto luogo poco prima dell’inverno o durante quei giorni stessi, alla Màsleniza richiedevano ora tutta una serie di visitazioni che andavano fatte dalla nuova nuora ai suoceri, dal genero ai nuovi capi del villaggio, dalle madri alle figlie e ai figli, dai nipoti ai nonni etc. etc. sfruttando proprio questo momento dell’anno che annunciava la “liberazione” dalle ristrettezze della stagione brutta ormai alle spalle dopo la vittoria sul Karaciùn. E non era anche il giusto periodo per visitare villaggi lontani, prima che arrivasse la terribile rasputiza/pacпyтицa? Il prossimo scioglimento della neve e la formazione del fango micidiale avrebbe impedito a chiunque di mettersi in cammino, se avesse indugiato oltre.
Allora, ripetendo ancora una volta che alla fine dell’inverno c’era la Raduniza dove si ricordavano i defunti, la settimana seguente si apriva solennemente la Màsleniza.
Purtroppo a causa della sovrapposizione successiva di feste cristiane non è possibile fissare delle date precise e così, sebbene si faccia coincidere Màsleniza col Carnevale cristiano, tale coincidenza non è propriamente legittima, né congruente. Inoltre non si deve credere che tutti avessero un calendario e fissassero le date, come si fa oggi. Tenere il computo del tempo era un compito del volhv che sapeva quando chiamare a celebrare nei giorni opportuni. Il contadino al contrario contava i giorni o li definiva a seconda dei lavori da fare e a seconda del tempo che qui, nel nord della Pianura Russa, di solito è abbastanza ripetitivo.
Una delle nostre fonti (I. Pankeev) pone l’inizio della festa di regola a due mesi lunari dalla Pasqua e con ciò spiega perché la settimana di Màsleniza si è trasformata per la Chiesa Ortodossa in Settimana del Formaggio (Syrnaja Nedelja) ossia in cui è permesso mangiare prodotti caseari (come il maslo, il burro), prima del Gran Digiuno Pasquale…
Comincia dunque di Lunedì con il cosiddetto Incontro con l’Onorevolissima Màsleniza (Vstrecia). Continua il Martedì, chiamato il Dì degli Ammiccamenti (Zaigrysci), il Mercoledì invece c’è la Ghiottona (Làkomka) e il Giovedì è il Giorno Pazzo (Razgul). Ancora il Venerdì abbiamo la Sera con la Suocera (Tjòsc’ciny), il Sabato con la Visita alla Nuora (Zalòvkiny posidèlki) e si chiude con la Domenica ossia il Giorno dell’Addio (Prosc’cjònyi Den’) fra tutte le famiglie che ritornano ora alle loro case.
A parte questa ripartizione temporale è quasi sicuro che nell’antichità medievale la festa durasse più di una settimana visto che la Chiesa Ortodossa risulta averla ridotta per decreto patriarcale… perché troppo sacrilega! Vediamo un po’.
La prima giornata di allegria è già il sabato anteriore, la vigilia della Vstrecia, che appartiene tutta ai ragazzi. Questi sono subito mandati a costruire con la neve le montagne lungo le quali poi scivolare, le cosiddette e notissime Montagne Russe! E non solo! Chiameranno a gran voce Màsleniza e diranno: Tanti auguri col formaggio, col burro e con i kalacì e con le uova bollite! (in russo: С cыром, маслом, калачòм и печённым яйцòм!). La cosa più notevole è che questa “chiamata” era fatta gridando dai tetti delle case a cavalcioni sull’ohlupen’ per essere più vicini al cielo!!
In piazza sono state montate le altalene e le grandi giostre girevoli e sono arrivati gli Skomorohi (artisti di strada) con i loro vari spettacoli di destrezza e animali ammaestrati…
Naturalmente si sono preparati dei carri allegorici in cui (sul più grande di questi) siederà la grassa bojara (nobildonna antico-russa) che sarà trainata per le strade del villaggio. Abbiamo già detto della statua di paglia che è stata piantata in uno spiazzo, quella di Zimà-Marena. Resterà lì in attesa di essere bruciata all’ultimo giorno.
Le visite famigliari invece, ci sono già a partire dai primi giorni, dal lunedì.
Alla fresca sposa viene concesso di far visita ai suoi accompagnata dal suo uomo proprio adesso. E’ anche il tempo delle visite dei mediatori (svat e svaha) di matrimonio che  verranno in visita in questi giorni e intorno ad un tino pieno di birra si parlerà di come organizzare il prossimo matrimonio (v. oltre).
Nel caso poi che la fresca sposa non fosse ancora incinta, si coglie l’occasione della Màsleniza per tentare con una cerimonia speciale accompagnata da un’invocazione alle Rozhenizy e alle Bereghinii (altre divinità collegate con la nascita e con gli antenati di sesso femminile) di favorire il concepimento. Le donne interessate, infatti, si recavano in una fonte sacra e, tiratesi su le gonne, si immergevano fino alla vita, sperando nell’azione fecondatrice dell’acqua e invocando le Bereghinii. Talvolta si invita qualche znaharka che se ne intende, per somministrare qualche pozione particolare…

Il rimedio “cristiano” della suocera per la nuora non ha ancora partorito
(raccolto da G. M. Naumenko (op. cit.), 1998)

Si prendano dei mirtilli, si schiaccino e si ponga il succo in una tazza di coccio insieme a del latte. Si mescoli per bene. Da questa tazza berranno insieme figlio e nuora e dopo aver bevuto i coniugi la  romperanno insieme calpestandola per terra con i piedi di entrambi, mentre i genitori di lui cantano:
Quanti sono i cocci, altrettanti sono i figli e le figlie della nostra (nome della donna)! Andate a letto in due e alzatevi in tre. Fatelo ogni notte, figlio e figlia cari!
Con l’introduzione del Cristianesimo fu proibito però fare all’amore mentre era in corso il Grande Digiuno di Pasqua! E così, se si calcolava che il neonato era stato concepito in quel periodo, il pop non lo battezzava!

Nella zona fra Vladimir-sulla-Kljazma e Vjatka si era cristallizzata (naturalmente rammodernata) la processione di Màsleniza dietro una slitta di dimensioni insolite… fino alla fine del XIX sec.! Su questa slitta enorme sedeva appunto la bojara impersonata da un uomo travestito che reggeva nelle mani un corno pieno di mjod e tanti panini dolci (kalacì) da regalare agli astanti. E’ la parodia ridicola di Màsleniza, la ricca, rispetto all’emaciata e magrissima Zimà, la povera. La bojara è invitata casa per casa per conversare e godere di quello che le si offre di buono e quindi questo carro (si legge “trainato da 77 cavalli”…!) deve sostare numerose volte mentre attraversa il villaggio. Sulla slitta trova posto anche una piccola banda di musici che suona e invita la gente a cantare e a ballare in strada… Poi, chissà perché, la bojara viene sostituita sul carro da un uomo, anche lui grasso e ben pasciuto, il quale strimpellando la balalaika e accompagnato da altri uomini che impugnano le scope e fan chiasso per le strade e devono e mangiano da quello che gli altri carri in processione hanno caricato per la festa.
In realtà tutta questa cerimonia non è altro il ricordo del poljudie in formato minore in cui i nobili locali (bojari), per incarico del Knjaz di Kiev, durante il primo Medioevo “russo” venivano a prelevare il tributo casa per casa. Anzi! L’ostilità fra mir e gorod, alla quale abbiamo già dedicato alcune righe di questo lavoro, è parodiata ancor in chiave più chiara dalla città di neve (snezhnyi gorod) che è stata costruita durante queste festività da qualche parte e che ora viene posta sotto assedio. Naturalmente la città di neve è distrutta e gli assedianti hanno la meglio…
Nel frattempo si è presentata nel teatro di piazza la compagnia degli Skomorohi che ora prendono in giro il potere, senza tema di rappresaglie, e la festa continua fra grandi bevute e spettacoli di vario genere.
Una cosa notevole che la tradizione ci lasciato è che la gente del mir in questa occasione vuole che tutti indistintamente partecipino alla gioia comune e sta sempre attenta a chi manca nella piazza poiché, se qualcuno non è venuto, vuol dire che si trova in qualche tragica situazione e bisogna aiutarlo. Anche questo si fa…
Per tornare alla nuova sposa normalmente era proprio per Màsleniza che costei visitava la propria suocera per imparare (si diceva: Imparare a fare e a capire – poucit’ umu-razumu) ed era un grande onore per lei, quando la suocera le mostrava la batteria da cucina e le insegnava come usarla.
Come già in parte sappiamo, la batteria era abbastanza povera in confronto ad una odierna, ma funzionale e sufficiente per preparare i piatti del giorno e cioè le famose bliny!  Abbiamo già dato una ricetta per queste frittelle o crêpes e quindi non ci ripeteremo, ma qui vogliamo evidenziare un particolare e cioè che, affinché anche la nuora avesse una parte giusta nella loro preparazione, la farina era portata proprio da quest’ultima! E siccome le bliny potevano esser fatte anche con farina di grano saraceno, ecco che la nostra sposa doveva saper fare sia quelle bianche (con frumento) sia quello rosse (con grano saraceno)!
Come sempre capita, ci sono poi quelle case dove non ci sono suoceri perché morti o altro. E allora sono gli altri suoceri che in questi giorni vanno a trovare il nuovo nucleo famigliare per insegnare alla sposa come cucinare e preparare il menu di Màsleniza.
Tutte queste sono rigorose regole di comportamento imprescindibili…

Consigli come cuocere le bliny
(da I. Pankeev (cit.), 1998)

Le spezie da mettere nella pastella delle bliny è diversa a seconda del luogo, ma il modo di cuocere invece è simile ovunque nella Pianura Russa. Dunque, quando la pastella è cresciuta per l’ultima volta, non bisogna più mescolarla, altrimenti rischia di “cadere” quando la si prenderà per cuocerla. Bisogna ora disporre di una piccola padella che è stata previamente riscaldata nella pec’ka e ben unta con burro. In questa si lascerà scivolare una dose di pastella. Non appena comincia a sollevarsi e a colorarsi, la si ungerà con burro dalla parte superiore e si lascerà cuocere e ricuocere rivoltandola con amore. Tutto questo è ideale farlo in una pec’ka e non su un braciere di carboni ardenti, come talvolta si faceva in passato. Tiratane via una, si rifà l’operazione ungendo di nuovo la padella e con un’altra cucchiaiata di pastella. La padella ogni tanto va pulita, ma non lavata né raschiata. Semplicemente usando sale e burro. Il sale si scioglierà parzialmente nel burro caldo e con esso si tergerà il fondo della padella. Ripetere poi con solo sale a freddo e poi con uno straccio pulito togliere via il sale e la padella è di nuovo pronta.

Il Martedì seguente ai cosiddetti Zaigrysc’i (civetterie, ammiccamenti) si fanno gli inviti – reciproci – a venire a sedersi (besedy) nel proprio giardino dove ci sono divertimenti per i giovani e cibo per tutti. Questo rientrava nello spirito slavo che non consentiva che alla fine dell’anno ci fossero troppe disparità fra membro e membro, fra famiglia e famiglia e quindi si dava fondo a tutte le provviste, senza avarizia e rivolgendosi a tutti, senza distinzione. Certo i vicini erano le persone più importanti e  da tener buoni e così si sceglievano i giovani che avevano più “faccia tosta” per invitarli. Sulla soglia i ragazzi venivano accolti con dolci (prjaniki, specialmente) e bevande di frutta, ma già si sapeva che l’invito sarebbe stato rifiutato. Il che era soltanto un modo obbligato di comportamento e non voleva assolutamente dire che non ci sarebbe stato lo scambio di visita, specialmente se c’era già del tenero fra ragazzi e ragazze delle due case.
Per il ghiottone però il Mercoledì era il giorno più “appropriato”: la Làkomka. In questo giorno le grandi riunioni erano presso l’izbà della suocera più anziana dove c’erano a volte anche i parenti della sposa e qui si raccoglievano (gli ospiti che arrivavano portavano infatti da mangiare e da bere) cibi per tutti gli appetiti e dolci per tutti i palati.

Tvorozhnìc’ki per la Làkomka

Ci si procuri del tvorog freschissimo e lo si batta col pestello nel miele. Si aggiungano spezie molto aromatiche e un pizzico di pepe o analogo prodotto piccante. Mescolare il tutto ben bene e addensarlo con la farina. Se la massa risulta troppo densa, allungare con latte. A parte si preparano delle paste biscotto che ricoperte dal tvorog si servono molto fredde.
N.B. Il Tvorog è una specie di ricotta di latte vaccino o caprino molto simile al Quark tedesco.

Poi comincia il grande divertimento e le grandi bevute che coinvolgeranno finalmente tutti gli adulti nella festa generale, maschi e femmine, proprio al Giovedì! In questo giorno tutto è permesso, giocare, bere, mangiare a crepapelle, fare all’amore in pubblico, prendere in giro tutti in modo volgare, offendere vecchi e giovani, parenti e anziani, senza problemi e mettendo in evidenza i difetti ridicoli di ciascuno. Chi vuole si travestirà degli abiti dell’altro sesso e si comporterà di conseguenza fra le risate di tutti.
I forzuti, per esempio, si misurano nelle numerose lotte a suon di pugni, con scommesse e premi. Nudi fino alla cintola, nello spazio lasciato dal cerchio degli spettatori e dei fans, se le danno di santa ragione riscaldandosi nel freddo pungente finché uno dei due non scivola o cade e tutta la folla intorno a loro urla esaltando il vincitore e gufando il perdente. Niente di male! I due contendenti si abbracciano e si baciano e insieme a tutti gli altri vanno a bere, commentando errori e colpi bassi in allegria. La serata (o la nottata) infatti deve finire nelle situazioni più scomposte e nell’ebbrezza più generale…

La ricetta del piatto più buono della strjapuha
Le kulebjaki, ossia le torte ripiene salate (pirogì)
(da O.V. Platonova e E.A. Topoleva, 1984)

Dice un proverbio russo antico: L’ibzà non è bella per gli angoli che ha, ma per le torte ripiene che offre! (in russo: Не краснà избà углàми, а краснà пирогàми!). Una di queste torte salate sono le kulebjaki che non possono mancare sulla tavola di Màsleniza!

Preparare della pasta lievitata. Bollite delle uova, ai quali poi togliete i rossi. La pasta poi, mescolatela con un po’ di latte e coi rossi d’uovo. Dopo averla ben lavorata, lasciate la pasta a sé a crescere al calduccio. Con un matterello la spianerete sulla madia di casa in lunghe strisce larghe due palmi. A parte avrete preparato il ripieno di carne di porco. La carne deve essere stata bollita e macinata con spezie delicate (ukrop) e poi soffritta con cipolle per qualche minuto nel burro. Si aggiunge il bianco d’uovo bollito tagliato a pezzettini e un pizzico di pepe o altro surrogato piccante. Si procede a spalmare questa farcitura per bene sulle strisce di pasta spianata. Si ripiega la pasta in modo da rinchiudere tutta la farcitura su ogni striscia. Mettere nella pec’ka e controllare di tanto in tanto la cottura. Il tutto sarà pronto quando immergendo uno stecco di paglia in una striscia lo vedrete venir fuori asciutto. Tirare fuori dalla pec’ka e tagliare ora le strisce di traverso separando ogni pezzo dall’altro.

Tutti intanto stanno aspettando la vittoria del dio della luce e dell’avvento di Koljada (come questo dio talvolta è chiamato) e qualche gruppo di giovani già canta e suona chiamando: “Koljada, signore e padrone, vieni dunque!”
Finalmente il volvh annuncia ufficialmente che la battaglia del dio bianco sul dio nero è stata vinta dal primo e quindi ora è certo… si vivrà! Tutti esultano e corrono in casa a prendere il mazzo di paglia già preparato che ingrosserà il falò per bruciare nel campo, dove è rimasta per tutto il tempo, l’effigie di Zimà-Marena!
E’ giunto anche il tempo di salutare i propri morti, i navi, quasi a dire che ormai i vivi devono tornare fra poco al mondo normale. ”I morti vadano con i  morti e i vivi restino con i vivi!” è il motto. Tuttavia i navi vanno trattati bene e quindi si sono cotti dei dolcetti apposta per loro che si poseranno sulle tombe rispettive e in loro compagnia si consumerà l’ultimo pasto di Màsleniza, tutti in letizia per la rinascita del mondo!
Tutti si salutano e si chiedono perdono l’un l’altro, prima di separarsi, perché si deve vivere senza spiacevoli pendenze. Poi ognuno prende la via di casa non senza ripetere la cerimonia dell’ultimissima cena in casa propria prima di andare a riposare e qui ora il figlio con la madre, la sorella col fratello si abbracceranno e si baceranno esultando per l’arrivo del nuovo Sole! Anzi! Nella regione di Jaroslavl’, non lontano da Mosca, a questo punto si cantava una vecchia canzone in cui si invocava il Knjaz ad essere un po’ più indulgente coi “suoi” smierdy!
Non ci interessa qui registrare e raccontare tutte le diverse manifestazioni di una festa allegra e senza freni perché, se lo facessimo, avremmo bisogno di moltissime più pagine. Il nostro intento al contrario è di sottolineare lo spirito di comunità e il rito del consumo di cibo e di bevande al massimo grado. Alla fine dell’anno niente di quanto si è accumulato deve restare poiché sta per cominciare un anno nuovo e tutti si devono ritrovare allo stesso punto di partenza per il nuovo ciclo vitale…
Se la festa sembra essere tutta slava per le varie rassomiglianze con altre feste simili nella Slavia Occidentale, in realtà si può identificare la Màsleniza (in parte, naturalmente) persino con la celebrazione di Lada, dea che abbiamo già incontrato. Chi, se non Lada e suo figlio, può annunciare meglio l’arrivo della stagione della luce? Infatti Lada è la dea della bellezza, madre di Lel’, il Dio dell’Amore analogo a Cupido, ma… questa dea è lituana! Presso i Lituani, infatti, esiste col nome di Didi Lada ossia la Grande Lada, Dea dell’Amore. Didi e Lada invece appaiono nella mitologia slava raccolta da A.A. Korinfskii come dèi separati nelle celebrazioni di primavera di Tula, oltre però non osiamo speculare…
E siccome abbiamo raccontato come l’orso veniva portato in giro nel villaggio, non possiamo che concludere con una breve descrizione della famosa e popolare Commedia dell’Orso eseguita a Màsleniza.
Il Poles’e, ossia le Paludi del Pripjat’, è pieno ancora oggi di orsi (Ursus arctos sp.) e la gente di queste parti ogni tanto ne cattura qualcuno oppure sorprende dei piccoli orsetti rimasti orfani. Non si possono uccidere e perciò sono allevati quasi come animali domestici. Anzi! Più a nord, a Smorgon in Bielorussia, c’era un vero e proprio allevamento di orsi ammaestrati che, si diceva, fosse sponsorizzato (nientedimeno!) dai principi Radziwill (-Sforza) ancora in piena età rinascimentale!
Ad ogni buon conto gli Skomorohi che vivevano di solito in tribù nel Poles’e ne portavano in giro qualcuno per fare una specie di spettacolo sacro della Battaglia del dio nero contro il dio bianco. All’orso era dato persino un nome di qualche caro defunto e, con le zanne e gli artigli ben limati in modo da non essere troppo pericoloso, il conduttore (vozhak) lo portava di festa in festa e di villaggio in villaggio. L’orso era al guinzaglio con un anello infilato nelle narici e una catena come uno schiavo vinto in battaglia, ma ben rispettato e trattato con delicatezza, e nello spettacolo il suo avversario era la capra, la dèa che Karaciùn avrebbe voluto che non partorisse il nuovo sole, come già sappiamo. In realtà la capra poi era un ragazzo che indossava una maschera di legno nero con un bel paio di corna e una lingua penzolante e appuntita, pure di legno. La capra fingeva di attaccare l’orso e il vozhak con qualche colpo di tamburo (strumento che portava legato in vita e riproduceva il suono del tuono) sollecitava l’animale a rizzarsi in tutta la sua altezza e la musica sembrava ritmare i suoi movimenti. “Ecco, l’orso ora danza!” Diceva il vozhak e la gente applaudiva. Poi il cappello-maschera del ragazzo veniva appeso capovolto alla zampa dell’orso che andava in giro fra gli astanti per raccogliere il compenso per il suo spettacolo ormai finito!

  



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Messaggio «LA MASLENITSA CIOE’ IL CARNEVALE RUSSO» 
 
Molto bene, Aldo!  Ho letto con gran piacere questo articolo in forma di racconto ben scritto sulla Maslenitsa. E' sempre molto interessante leggerti  Wink
Ho anche scoperto, con mia meraviglia, che la preparazione dei bliny è assai più elaborata e ricca di ingredienti di quella dei bliny che conosco io, preparati in modo molto più semplice e assolutamente non lievitati. Mi piacerebbe sapere se quello è l'antico modo di preparare i bliny, oggi non più usato, oppure semplicemente uno dei vari modi. E in questo chiedo il parere anche dei nostri cari amici russi.
  



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Messaggio «LA MASLENITSA CIOE’ IL CARNEVALE RUSSO» 
 
Questo è un capitolo del mio prossimo lavoro che esce fra qualche settimana e si chiama VITA DI SMIERD, Cibo e Magia nel Medioevo Russo, Atena 2007. Appena saranno nelle mie mani le copie mie di diritto, te ne invierò una in omaggio! Va bene?
  



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Messaggio «LA MASLENITSA CIOE’ IL CARNEVALE RUSSO» 
 
Accetto molto volentieri, caro Aldo! Grazie! Ma bisogna assoultamente farne avere una copia anche al nostro Zarevich. Posso fargliela avere io dopo averlo letto, non è un problema.
  



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marturano ha scritto: 
Ricetta per le bliny o blinciki
(ridotta da La Cucina Tradizionale Russa di Carla Muschio, Xenia 2002)

Ingredienti: Farina, zucchero o miele, burro, uova, lievito o pasta acida (o pasta madre), sale, latte
Procedura: Riscaldare il latte sciogliendovi la pasta acida (o pasta madre), aggiungere il miele il tuorlo dell’uovo e il burro. Aggiungere metà della farina e amalgamare. Coprire l’impasto con un canovaccio bagnato e lasciare crescere per circa 2 ore. La pasta raddoppierà e quindi aggiungere il resto del latte, sempre tiepido, e il resto della farina. Aggiungere il bianco dell’uovo montato a neve e impastare di nuovo. Far lievitare per circa un’altra ora. Con le mani farne delle spianatine circolari e friggere nella padella con burro. .....


Se non sbaglio si chiamano "bliny na opare".

Myshkin ha scritto: 
Mi piacerebbe sapere se quello è l'antico modo di preparare i bliny, oggi non più usato, oppure semplicemente uno dei vari modi.


E' uno dei vari modi. Le  ricette dei bliny sono molte. Alcune ricette si possono trovare qui. http://eda.pagan.ru/eda/pirog/010.php

Alena
  



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Messaggio «LA MASLENITSA CIOE’ IL CARNEVALE RUSSO» 
 
Grazie Alena!  Smile
  



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Messaggio «LA MASLENITSA CIOE’ IL CARNEVALE RUSSO» 
 
Myshkin ha scritto: [Visualizza Messaggio]
Accetto molto volentieri, caro Aldo! Grazie! Ma bisogna assoultamente farne avere una copia anche al nostro Zarevich. Posso fargliela avere io dopo averlo letto, non è un problema.

E a me? Io chi sono? Figlio di nessuno??? Mr. Green
  




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Miayyyy! Myrrr....rrr....
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A te una bella raccolta di Tex Willer, o qualche noir di Raymond Chandler! Mr. Green
  



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Messaggio «LA MASLENITSA CIOE’ IL CARNEVALE RUSSO» 
 
Aldo, ho cominciato ha leggere il tuo testo sulla maslenica iersera e m'è molto piaciuto (infatti, conosci la Russia mooooooooooolto ma mooooooooolto bene, moooooooooooooooooooooooooooooooooolto meglio di me che vivo all'estero), ma è anche vero che per goderselo bene ci vuole abbastanza tempo e noi nel nostro secolo veloce non sempre ne disponiamo. Non è una richiesta a te di scrivere testi piú corti, brevi o concisi che dir si voglia, soltanto la costatazione d'un fatto. Rinnovo i complimenti e le grazie per i tuoi preziosi interventi.
  




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Огненный ангел
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