La famosissima fiaba conosciuta da tutti i bambini russi grazie a una proposizione magica: «È il luccio che comanda, è Emelja che rimanda…» cioè in russo: «По щучьему велению, по Емелину хотению…».
La fiaba di Emelja (Emeljan – Емельян), lo stolto che fece una buca nel ghiaccio, nell’acqua vide un luccio e l’afferrò con la mano. Ma quello non era un semplice luccio ma un pesce magico che cominciò a parlare con voce umana: Tieni bene a mente quel che ti dirò. Ogni volta che avrai un desiderio devi dire: «È il luccio che comanda, è Emelja che rimanda…». Da allora cominciano le avventure dello stolto Emelja. La fiaba è deliziosa, saggia e edificante come tutte le fiabe popolari. Nelle fiabe popolari è posto come non plus ultra della sapienza che noi dobbiamo decifrare e renderci conto. Il testo italiano nella traduzione di Aldo Canestri l’ho preso dal libro edito nel 1976 dalla Casa Editrice “Progress” Mosca che era specializzata in libri russi nelle lingue straniere. Il testo l’ho riscritto per il nostro forum perché suppongo che in internet non ci sia affatto. Va detto che questa fiaba fu più volte filmata come il film a soggetto o come cartone animato. Il più famoso film «È il luccio che comanda» («По щучьему велению») tratto dalla fiaba fu girato moltissimi anni fa, nel 1938, dal regista Aleksandr Ròu.
«È IL LUCCIO CHE COMANDA» «ПО ЩУЧЬЕМУ ВЕЛЕНИЮ»
Fiaba russa popolare Русская народная сказка
C’era una volta un vecchio e aveva questo vecchio tre figli: due erano intelligenti e il terzo, Emelja, era stolto. I due fratelli maggiori erano sempre a lavorare e Emelja, invece, se ne stava tutta la giornata sulla stufa e non voleva saper altro.
Un giorno i due fratelli maggiori andarono al mercato e le cognate vollero mandare Emelja per acqua:
- Emelja, va’, ci occorre dell’acqua.
E Emelja dall’alto della stufa:
- Non mi va …
- Vacci, vacci. Emelja, se no i fratelli tornano dal mercato e non ti portano i regali.
- E va bene, ci vado.
Emelja si calò giù dalla stofa, si vestì, prese le secchie e l’accetta e andrò al fiume.
Nel ghiaccio Emelja fece una buca, attinse l’acqua, mise le secchie accanto a sé e prese a guardare nella buca. Nell’acqua vide un luccio. Colse l’attimo buono e con destezza lo afferò con la mano:
- Eh, ne viene una zuppa saporita!
Ma d’improvviso il luccio parlò con voce umana:
- Emelja, rimettemi in acqua: ti sarò utile.
Emelja rise:
- Utile a cosa? No, no, ti porto a casa: le cognate avranno di che fare la zuppa di pesce. E una zuppa di quelle saporite!
Il luccio lo implorò di nuovo:
- Emelja, Emelja, rimettimi in acqua: farò tutto quel che desideri.
- E va bene, solo che prima devi dimostrarmi che non mi imbrogli, poi ti rimetterò in acqua.
Il luccio gli chiese:
- Emelja, dimmi, che cosa desideri?
- Voglio che le secche se ne vadano da sole a casa senza che l’acqua si versi …
Il luccio gli disse:
- Tieni bene a mente quel che ti dirò. Ogni volta che avrai un desiderio devi dire:
È il luccio che comanda,
È Emelja che rimanda …
Ed Emelja ripete:
È il luccio che comanda,
È Emelja che rimanda …
- Andate, secchie! A casa!
Appena finito di parlare, le secchie da sole s’incamminarono per la salita. Emelja rimise il luccio nell’acqua e tenne dietro alle secchie.
Le secchie camminavano per le strade del vilaggio, la gente si meravigliava e Emelja dietro e per giunta ridacchiava. Le secchie entrarono nell’isba e si allinearono da sole sulla panca. Emelja, invece, si arrampicò sulla stufa.
Passò del tempo e le cognate dissero a Emelja:
- Emelja, cosa fai lì coricato? Va’ un po’ a spaccare legna.
- Non mi va …
- Se non spacchi la legna, i fratelli quando tornano dal mercato non ti portano i regali.
Emelja non aveva nessunissima voglia di lasciare il calduccio della stufa. Ma si ricordò del luccio e piano, senza farsi sentire, disse:
È il luccio che comanda,
È Emelja che rimanda …
- Tu, ascia, va’ a spaccar legna e tu, legna, vieni nell’isba e entra nella stufa …
Passò dell’altro tempo e lo zar venne a sapere delle prodezze e delle malefatte di Emelja e mandò il suo più importante cortigiano:
- Portami qui alla reggia lo stolto Emelja, se no ti faccio mozzare la testa.
Il Gran cortigiano comprò una passa, prugne secche, panpepato e andò al vilaggio. Entrò nell’isba dove viveva Emelja e cominciò a chiedere alle cognate quali erano le cose che piacevano a Emelja.
- Al nostro Emelja piace quando gli si usa gentilezza e tenerezza, quando gli si promette un caffettano di panno rosso: allora fa qualunque cosa gli si chiede.
Il gran cortigiano diede a Emelja l’uva passa, le prugne secche, il panpepato e gli disse:
- Emelja, Emelja, cosa fai lì sulla stufa? Vieni con me dallo zar.
- Sto bene anche qui, al calduccio …
- Emelja, Emelja, lo zar ti regala un caffettano di panno rosso e il cappello e gli stivali.
Emelja ci pensò su un po’ e poi disse:
- E va bene, va’ avanti e io ti vengo dietro.
Il Gran cortigiano se ne partì e Emelja se ne stette per un po’ sulla stufa e poi disse:
È il luccio che comanda,
È Emelja che rimanda …
- Muoviti, stufa, portami dallo zar!
Qui l’isba scricchiolò in ogni angolo, il tetto ballò, una parete si staccò e la stufa da sola uscì fuori, poi si mise sulla strada e partì per la reggia.
Lo zar guardò alla finestra e si meravigliò:
- Che prodiglio è mai questo?!
Il Gran cortigiano gli rispose:
- È Emelja che è arrivato sulla stufa.
Lo zar uscì dal palazzo sulla scalinata e chiese a Emelja:
- Emelja, come mai ci sono tante lamentele contro di te? Ne hai messa sotto, di gente!
- Sono loro che si buttavano sotto la slitta!
In quel mentre la figlia dello zar, la principessa Maria, stava osservando dalla finestra lo stolto Emelja la vide e disse senza farsi sentire:
È il luccio che comanda,
È Emelja che rimanda …
- Voglio che la principessa si innamori di me.
E aggiunse:
- E tu, stufa, torna a casa …
Nella reggia intanto si sentivan urli e pianti. La principessa Maria voleva vedere Emelja, non poteva vivere senza di lui, chiese al padre di darla in moglie a Emelja. Lo zar, tutto dispiaciuto per questo fatto, sconsolato, chiamò il Gran cortigiano e gli disse:
- Va’ e torna con Emelja, vivo o morto, se no ti faccio mozzare la testa.
Il Gran cortigiano comprò vini dolci e vivande varie e se ne partì per il villaggio, entrò nell’isba e cominciò a rimpinzare Emelja. Emelja bevve, mangiò, si ubriacò e si buttò a dormire. Il Gran cortigiano lo caricò sulla carrozza e lo portò dallo zar. Lo zar ordinò di portare subito una botte con cerchi di ferro. Dentro questa botte furono messi Emelja e la principessa Maria, poi la botte fu incatramata e getata in mare.
Passò del tempo: Emelja si svegliò e vide che era buio e non si poteva rigirare.
- Dove mai mi trovo?
E una voce gli rispose:
- Che molestia e che noia, Emelja caro! Ci hanno incatramati dentro questa botte e ci hanno gettati nel mare azzurro.
- E tu chi sei?
- Sono la principessa Maria.
Allora Emelja disse:
È il luccio che comanda,
È Emelja che rimanda …
- Venti, scatenatevi, portate la botte sulla sabbia asciutta, sulla sabbia gialla …
I venti si scatenarono. Il mare ondeggiò, si mosse. Le onde gettarono la botte sulla sabbia asciutta, sulla sabbia gialla, Emelja e la principessa Maria uscirono dalla botte.
- Emelja, dove vivremo adesso? Dovresti costruire una isba per abotarci.
- Non mi va …
Maria insisteva e allora Emekja disse:
È il luccio che comanda,
È Emelja che rimanda …
- Voglio un palazzo di pietra col tetto d’oro …
Appena lo ebbe detto, apparve un palazzo di pietra col tetto d’oro. Tutt’intorno c’era un giardino verde e fiorito e cantavano gli uccelli. La principessa Maria ed Emelja entrarono nel palazzo, si sedettero alla finestra.
- Emelja caro, non potresti diventare un bell’uomo?
Emelja non stette a pensarci a lungo:
È il luccio che comanda,
È Emelja che rimanda …
- Voglio essere un bel giovane, bello come è bello il sole.
Ed Emelja diventò bello che non c’è favola che tenga né c’è penna che a descriverlo pervenga.
In quel tempo lo zar era a caccia e passando da quelle parti vide il palazzo, lì dove prima non c’era mai stato niente.
- Che è quell’usurpatore che senza il mio volere ha costruito sulle mie terre questo palazzo?
E mandò per sapere chi ci abitava. I cortigiani corsero al palazzo, si fermarono sotto la finestra e cominciarono con le domande. Emelja rispose loro:
- Dite allo zar che è mio ospite, io stesso gli dirò tutto.
Lo zar accettò l’invito. Emelja gli andò incontro, lo condusse al palazzo, l’invitò a tavola. Si misero a banchettare. Lo zar mangiava, beveva e si meravigliava a non finire:
- Chi sei, bel giovane?
- Rammenti di quello stolto Emelja, che venne da te sulla stufa e che tu ordinasti di rinchiudere dentro una botte incatramata, con tua figlia, che poi facesti gettare in mare? Sono io quell’Emelja. Adesso se volessi potrei far precipitare in rovina tutto il tuo regno.
Lo zar si spaventò a morte. Cominciò a chiedere perdono:
- Sposa mia figlia, caro Emelja, prendi il mio regno, ma risparmiami la vita!
Fu apparecchiato un banchetto coi fiocchi, da lasciarci la bocca e gli occhi. Emelja sposò la principessa Maria e prese a governare il regno.
Ora la favola è finota, è finita, terminata. Bravo te che l’hai sentita, bravo me che l’ho raccontata.
Traduzione dal russo di Aldo Canestri
Ultima modifica di Zarevich il 16 Dic 2017 16:46, modificato 7 volte in totale
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