Leggendo le discussioni aperte in seguito alla notizia dell'assassinio di Anna Politkovskaja, mi è tornato in mente un articolo che lessi tanto tempo fa. Ero ancora molto giovane allora e mi colpì molto. E così, siccome io cerco sempre si conservare le cose interessanti, sono andato a ricercare quella rivista e ho trovato l'articolo in questione. L'ho riletto e mi è sembrato molto pertinente, attuale e condivisibile.
Lo riporto di seguito integralmente.
«CHI HA UCCISO BAMBI?»
Quali rapporti ha il crimine con la politica? Apparentemente nessuno. Il crimine è una violazione dichiarata di quelle stesse leggi che la politica custodisce e promuove. Eppure non c'è idealista, per quanto ingenuo, che non sappia quanta bella roba ci sia dietro questa fredda distanza concettuale. Non solo perché, come si usa dire, la politica si fonda su un atto "criminale" (il regicidio, la Resistenza, la Rivoluzione); quanto perché il crimine moderno non esiste separato dalla politica. Ne cerca la protezione, almeno quanto la politica cerca la sua spregiudicatezza. La politica è il delitto, esattamente come il delitto è politico.
Che cosa conta un politico, mettiamo un ministro, che non sappia - al momento opportuno - far tacere qualcuno, mettiamo un giornalista, che lo minaccia o lo ricatta? E che cosa vale un grande criminale. mettiamo un palazzinaro o un banchiere, che non abbia coperture politiche?
Lo scandalo della cosiddetta "questione morale" non è che esistano politici-criminali e criminali-politici, ma che si possa far finta di credere a una politica senza crimine (diciamo pure: senza macchia e senza paura).
Usare uomini armati, teste di cuoio o killer professionisti, per raggiungere i propri scopi politici (e/o criminali) non rappresenta l'eccezione, ma la regola nel comportamento sociale.
Quello che la "grande stampa" e la "grande opinione pubblica" vorrebbero presentare come lo "scandalo" è in realtà, da Machiavelli ed Al Capone, la "norma" cui si ispira qualsiasi seria lotta per il potere (per la vita).
Ecco perché appare risibile e ingenua l'illusione di quegli onesti che respingono la "criminalità" in nome della politica, o addirittura che respingono la "politica" perché inquinata di criminalità. Costoro sono come quei cittadini, che vivono in mezzo alla metropoli, fanno la doccia tutte le mattine, e poi, a sera, dopo il lavoro, sognano la "pace dei campi", i "cibi naturali" e il "buon tempo antico".
Per timore di guardare essi si accecano. E, per timore di vivere consapevolmente, preferiscono lasciarsi morire lentamente, dolcemente, siano o no, in cuor loro, figli dei fiori, delle farfalle o della mamma.
Ma certo egualmente sciocchi sono quelli che - prendendo alla lettera "politica" e "criminalirà" - si danno da fare per mostrarsi moderni, e racchiudono la loro idea della forza in un qualche modesto deposito d'armi (o di discorsi).
Ne ammazza più l'iziozia che la morte stessa.
Per questo è meglio riflettere bene sulla domanda di quel furbacchione di Malcom Mc Laren: chi ha ucciso Bambi?
Infatti, probabilmente, Bambi è ancora vivo.
(1981, Vincenzo Sparagna)