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Ho trovato, scorrendo velocemente la rete, questo articolo dal sito: http://www.literary.it/dati/pdv/de_...ko_cantore.html

Vorrei sapere che se ne pensa...se, cioè, questo è più "obiettivo". Prometto, comunque, di buttarmi su libri e giornali anche del passato.... Sempre con molta cordialità!!!


Il poeta russo ha fatto pervenire un testo teatrale inedito
Evgenij Evtushenko cantore dei mali del mondo
"Ai nostri testi non abbiamo creduto", aveva denunciato crudamente Zenja, diminutivo di Evgenij A. Evtushenko, il grande poeta russo erede solitario di V. Majakovskij e di B. Pasternak. È un celebre verso della poesia Perdita, dal volume "Arrivederci, bandiera rossa. Poesie degli anni Novanta" (Tascabili Newton, Roma 1995, pp. 100), un libro prezioso, venduto anche in Italia in centinaia di migliaia di copie al prezzo simbolico di mille lire.

In quest’opera l’enfant terrible della letteratura russa mette definitivamente da parte ogni residua forma di pudore e di ritegno, per urlare tutta la propria sofferenza, il proprio sconforto: "Guardo la bandiera e piango", e pare quasi di udirlo singhiozzare, affranto. Nella raccolta troviamo molti dei ‘versi vietati’ risalenti addirittura a qualche decennio addietro, quando il giovane Zenja, carico di entusiasmo e di buona volontà – per quanto vittima anch’egli del ‘tarlo dell’idealismo’ – aveva confessato in un’altra poesia del 1975: "Stato, ho cercato di amarti, | volevo esserti utile sul serio, | ma sentivo che sparivo del tutto se, | come al bastone il cane, ti ubbidivo."

Un clamoroso successo editoriale che riassume senza equivoci la filosofia del Maestro di Zima, caposcuola della "letteratura del disgelo" fin dagli anni di N. Chruscev, e – a mio avviso – precursore, col suo costante impegno letterario, dei tentativi politici successivi di dare vita ad un "socialismo dal volto umano". Un obiettivo accarezzato all’inizio in maniera forse inconsapevole, che avrebbe potuto prendere corpo restituendo innanzitutto una nuova coscienza al popolo russo: in tale prospettiva Zenja offrì, senza risparmio, il proprio contributo sul piano culturale ed etico-civile. Ricordiamo le battaglie da lui combattute per l’istituzione della casa-museo di Pasternak e per la pubblicazione, in patria, del capolavoro di quest’ultimo "Il dottor Zivago", nonché le prese di posizione in favore di dissidenti come Solgenitsyn e Sinjavskij. Un impegno a tutto campo, malgrado le popolazioni dell’Est europeo, stremate e annichilite dalla lunga glaciazione staliniana, mostrassero chiari sintomi d’aver smarrito una qualsiasi fede in ideali che non fossero strettamente legati al soddisfacimento dei bisogni materiali primari.

Nel volgere di poche primavere, la coraggiosa ascesa al potere di Michail Gorbaciov – con le rivoluzionarie riforme istituzionali ed economiche varate nel nome della "perestrojka" – alimentò di colpo quel sogno a lungo represso, ritenuto ora legittimo e non più utopistico. In quanti ancora credevano nel "socialismo", si radicò la convinzione che fosse possibile creare, per la prima volta nella storia dell’umanità, un mondo nuovo, insomma inaugurare una terza via e aprire un varco in un brutale contesto internazionale diviso fra capitalismo e comunismo, ove i due "blocchi" – quello filoamericano e quello filosovietico – dopo essersi "spartiti" tacitamente il pianeta, continuavano il loro macabro balletto di morte declamando agli ingenui "favole sulla fratellanza".

Evtushenko scese apertamente in campo al fianco di Gorbaciov, per tener fede al suo antico insegnamento: "Un poeta in Russia è più che poeta", ed anche: "La poesia non è una professione. È uno stile di vita". Nel 1989, eletto deputato, attaccò violentemente il monopolio del partito comunista battendosi contro la ‘nomenklatura’ burocratico-militare e contro le restrizioni in campo culturale esistenti in Unione Sovietica. L’obiettivo, condiviso dal padre della perestrojka, era cambiare lo Stato "rimanendo nello Stato".

Oggi l’ex-superpotenza fondata da Lenin, divenuta autentica terra di conquista per le grandi multinazionali economiche, si offre allo sguardo in un panorama desolante: "inflacciditi | dal proprio degrado", i russi si trascinano in "uno stato smembrato | in pezzetti divorabili", aveva cantato il poeta già nel 1972 e poi nel 1995, in diverse poesie incluse in "Arrivederci, bandiera rossa", dimostrando strabilianti capacità divinatorie e profetiche.

Il 20 aprile 1986 – quando ebbi l’enorme fortuna, e l’insperato onore, di ospitare a Cassino per un’intera giornata il mio Maestro Zenja – si era nel pieno dell’era Gorbaciov. Più che entusiasmo, Evtushenko sprizzava da tutti i pori un’incredibile voglia di lottare, la bramosia di riscattare col lavoro più duro gli antichi rimproveri, che gli venivano mossi da varie parti, d’essere un bambino "viziato dal successo" e "protetto dal potere".

Intuii che Zenja si portava dentro, ben nascosto dietro certi atteggiamenti beffardi e un po’ bruschi, un ingiustificato complesso di colpa, come confesserà in "Fukù!": "Sono vergognosamente sano e salvo, | dalle ferite | forse non abbastanza decorato. | Non mi hanno ancora ucciso e c’è un motivo: | non sono troppo saggio per questo onore." (Garzanti, Milano 1989).

L’appuntamento era stato fissato per le prime ore del mattino all’Hotel Raphael di Roma. Dopo una puntatina al mercato di Porta Portese, si partì subito alla volta di Cassino, ove il viaggio si concluse dopo aver sostato per ore fra le lapidi del Sacrario Militare Polacco e fra gli ori del Monastero, in una domenicale atmosfera da picnic che – per la verità – indispettì non poco l’illustre ospite. Al memorabile evento ho dedicato il volume, in versi e in prosa, "Nel tempo. A Zenja" (Dismisuratesti, Frosinone 1998, pp. 72). Il mio modesto omaggio riporta puntualmente, accanto alle acutissime riflessioni sulla letteratura contemporanea, i timori e le speranze del poeta sul futuro dell’Urss: confidenze che egli volle rivelarmi come ad un fratello sincero, riscontrabili nei suoi successivi lavori, dai citati "Fukù!" e "Arrivederci, bandiera rossa" alle prove narrative di "Ardabiola" (1991), fino a quello che, a parer mio, rimane il capolavoro assoluto sugli anni del tentato golpe del 1991, opera recante l’esplicativo sottotitolo "fiaba russa".

Nel 1993 usciva, infatti, "Non morire prima di morire" (Baldini&Castoldi, Milano 1993, pp. 496). Evtushenko raccolse febbrilmente, in un impetuoso furore creativo, tutte le energie disponibili per "raccontare" – in uno sterminato romanzo- pamphlet autobiografico e, insieme, collettivo – le donchisciottesche avventure d’un ‘illuso’ paladino della libertà e della giustizia, in un paese ferito a morte da intrighi internazionali e da orge di palazzo. Il tono combattivo e dolente, a tratti brutale e sarcastico, altre volte d’una dolcezza infinita, appartiene – osservò Giulietto Chiesa nella Prefazione – allo stesso genere della biliosa "perfidia esopica" da cui Zenja era costretto a difendersi. È un ‘canto spezzato’ dal pianto sconsolato per la recente epopea tragica del popolo russo: una storia che inizia – azzarderei – dal punto esatto dove si interrompe "Il dottor Zivago". In tal senso, "il golpe dell’agosto 1991 è, in fondo, soltanto un pretesto", concorda Chiesa. Rispetto al periodare fluido, disteso e contemplativo di Pasternak, la poetica di Evtushenko non poteva non assumere i ritmi serrati e corrosivi dettati dagli avvenimenti e, soprattutto, dall’aver vissuto in prima persona, a distanza di breve tempo, quegli eventi. Scopriamo in questo "poema in prosa" anche le atmosfere fantastiche, surreali e comico-satiriche de "Il Maestro e Margherita" di M. Bulgakov, come pure gli echi inconfondibili del "realismo magico" alla Màrquez. La storia "matrigna" di cui scrissi nel mio "Noùmeno e realtà" (1979) – secondo Montale di nulla "magistra" – veste qui i panni dimessi della fabula, nel titanico conato di illuminare vicende assurdamente imprevedibili. "Non morire prima di morire" è un grandioso capolavoro, un affresco geniale che consacra senza tema di smentite Evgenij A. Evtushenko fra i massimi protagonisti della letteratura universale di tutti i tempi.

La grandezza di quest’opera consiste nel fatto che Zenja scruta e narra le drammatiche vicende di cui è stato supremo testimone non con la saccenteria di chi pretende di sapere o di giudicare. Al contrario, l’autore descrive se stesso come un semplice cittadino capitato per caso in mezzo alle fatidiche "sette batoste" della canzone popolare siberiana citata in apertura, insomma come un temerario e frastornato Charlot che si aggira fra le macerie dell’ex-impero sovietico e fra gli spettri di una umanità annichilita e senza speranza, tutto osservando in un funereo e allucinato "gioco delle parti".

Evtushenko, fedele al personaggio sempre ribelle, irrequieto e insoddisfatto che la critica ha creato intorno a lui, è uno scrittore fertile e versatile, più che mai aperto al nuovo, alla ricerca e alla sperimentazione. Come è noto, egli è autore anche di testi teatrali di enorme successo: la prof. Evelina Pascucci – la bravissima traduttrice di quasi tutte le sue opere – mi ha fatto pervenire di recente una vera e propria "bomba". Si tratta dell’opera teatrale inedita "Se tutti i danesi fossero ebrei", già messa in scena con clamorose ovazioni nei maggiori teatri europei e americani, ma in Italia ancora non rappresentata. Ci troviamo in presenza dell’ennesimo capolavoro di Zenja, ricco di estrosi colpi di genio e di strabiliante potenza immaginativa. Il mio intento, ottenuto il consenso dell’autore grazie alla fattiva collaborazione della traduttrice, è far sì che quest’opera venga rappresentata a Cassino in prima nazionale, dalla "Compagnia Universitaria Teatrale" o da altro ente. È un affettuoso omaggio questo che Zenja ha voluto donarci, ed il mio compito, ora, è renderne partecipe quel pubblico di giovani che lui ha sempre amato e a cui si sente immensamente legato.

  



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Chiedo ancora scusa - poi mi metto a fare cose di ... casa... - , ma ho trovato questa intervista abbastanza recente, di "Repubblica". Anche qui chiedo, cortesemente, un'opinione... Grazie !!!

http://www.repubblica.it/2007/12/se...evtushenko.html


ESTERI Parla il letterato he da anni si oppone al governo:
il passaggio alla democrazia non è facile
Evtushenko, poeta contro il Cremlino

"Un potere volgare che nessuno attacca"
di FIAMMETTA COCURNIA

 
Evghenij Evtushenko

"CERTO, quel che è successo in Russia negli ultimi giorni, durante la campagna elettorale, mi addolora. Mi addolora pensare che l'opposizione sia stata trattata in un modo così volgare, dispersa così. Mi addolora anche ammettere che non capisco perché sia accaduto e a che scopo, visto che il partito del governo non poteva che vincere, sempre e comunque. Così, da poeta e da cittadino mi interrogo e chiedo a voi: "La responsabilità è davvero soltanto di Putin?""

Evghenij Evtushenko, mito della poesia russa che tante volte nella sua vita ha scagliato i suoi versi contro il Cremlino in nome della libertà, oggi abbassa la voce per parlare di Russia nel giorno di Putin. Da un lato c'è l'entusiasmo e la speranza per quelli che lui chiama i devjanostiki, i ragazzi degli anni Novanta, che tornano a riempire gli stadi quando lui si esibisce, giovinetti cresciuti a pane e poesie dalle nonne mentre i padri facevano i soldi. Dall'altra c'è questo tarlo di un Paese che si era aperto e ora sembra tornare ai vecchi costumi. "Nessuno potrà impedirmi di dire che in quel che accade oggi c'è una grande responsabilità dell'Occidente e in particolare degli Stati Uniti, della loro politica estera e militare".

Eppure, Evghenij Aleksandrovic, i russi oggi hanno votato quasi come ai tempi di Breznev, quando sulla scheda era indicato solo il Pcus.
"Per carità, io non voglio affatto giustificare il Cremlino. Come ho detto, tanta volgarità è esagerata, e per di più ingiustificata poiché inutile. Penso che sia anche un fatto di inerzia, ognuno si comporta come sa. Il passaggio da un sistema autoritario come è stato quello sovietico ad uno radicalmente diverso, realmente democratico, non può essere facile e senza intoppi. Richiede tempo e forze nuove".

Gli spazi per le voci diverse sono stati del tutto chiusi, c'è stata una campagna elettorale all'insegna del monopolio assoluto.
"Sì, è vero, anche a me è stato chiesto di partecipare a una serata di lettura poetica a Mosca per sponsorizzare un partito, ora non dirò quale. Ho risposto gentilmente, ma ho rifiutato. Io sono un senza partito e non posso mettere i miei versi al servizio dell'uno o dell'altro, ho spiegato. Loro mi hanno detto che potevo declamare le poesie che volevo, liberamente, ci sarebbe stato solo il logo del partito da qualche parte sul muro. Ma io, come potevo?"

Magari poi l'avrebbero aiutata per le sue future iniziative.
"Beh, certo, come dicono gli americani, i pranzi gratis non esistono".

Ma come mai sostiene che i paesi occidentali sono responsabili, almeno in parte, delle scelte interne del Cremlino.
"La Russia non è un Paese appeso in cielo. Tutto quello che accade oggi nel mondo è intimamente connesso. Le basi militari americane spuntano come funghi nei Paesi ex satelliti dell'Urss, e perfino in quelli che un tempo facevano parte dell'Unione Sovietica. Il nostro giardino di casa è infestato dalle armi americane e si parla di dispiegarne sempre di più. In fin dei conti la Russia, oggi come oggi, non ha basi militari in nessun paese del mondo, ma deve fare i conti con quelle altrui piazzate dietro l'angolo. E c'è di più: i Paesi occidentali continuano a fare la lezione a Mosca, ogni incontro al vertice è occasione per sottolineare che la Russia non è abbastanza democratica. Ma poi, da che pulpito viene la predica. Ditemi voi il nome di un Paese che sia un vero esempio di democrazia, un modello di cui da cittadino del mondo io possa andare fiero. Che ognuno riconosca le sue colpe, per ricominciare. In queste condizioni, mi permetto una licenza poetica: se Andrej Sakharov fosse oggi il presidente della Russia non potrebbe ignorare, nemmeno lui, un tale contesto. Purtroppo, è quasi naturale che il Cremlino reagisca nel modo che gli è più congeniale".

Dunque, a questo punto, non possiamo far altro che aspettarci il riflusso.
"Io sono convinto che tutto sia ancora possibile, ma non dipende solo da Mosca. Con ogni probabilità, neppure Putin ha ancora preso nessuna decisione definitiva. In qualche modo, possiamo ancora disegnare il nostro futuro. L'importante è capire che ognuno deve fare la sua parte. Poi ci vuole tempo. Il tempo di permettere ai giovani devjanostiki, la prima generazione di russi che è cresciuta fuori della gabbia, di affacciarsi in prima persona sulla scena politica".


(3 dicembre 2007)

  



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Come dicevo, giornalai mai che si legga un/a giornalista
  



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Mi sembra di capire che Evtushenko abbia cambiato vestito e voltato le spalle al comunismo solo verso la fine, in coincidenza col suo declino, e che questo non basti a farne un dissidente, considerando che i veri dissidenti - o in ogni caso quelli che venivano considerati tali -  ricevevano ben altri trattamenti dal regime.
Forse adesso presentarlo come un Solzhenitsyn o uno Shalamov è un po' forzato e non corretto.
  



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SLAVA'S SNOWSHOW
 
A grande richiesta torna allo Strehler SLAVA’S SNOWSHOW, uno spettacolo emozionante e poetico, adatto a pubblici di ogni età. Un incantevole gioco teatrale di musica, immagini, suoni e eccellente abilità mimica. Come afferma lo stesso SLAVA, il clown russo autore e interprete dello show, rimanda ad un teatro rituale e magico, costruito sulla base delle immagini e dei movimenti, sui giochi e sulla fantasia; un teatro che sta tra commedia e tragedia, assurdità e spontaneità, crudeltà e tenerezza.
Lo spettacolo, tra colori sgargianti, musiche, bolle di sapone, palloni colorati e coriandoli di neve, con il suo dolcissimo protagonista che indossa una buffa tuta gialla da lavoro e grandi pantofole rosse, ha portato la figura del clown fuori dal circo e dentro ai teatri, senza perdere di vista l’idea fondamentale dell’interazione con il pubblico che sta alla base della clownerie e della stessa performance.
Con SLAVA’S SNOWSHOW il protagonista riporta in vita la tradizione circense del clown traendo ispirazione dai migliori rappresentanti del filone: la tristezza poetica dei clown di Leonid Engibarov, la raffinata filosofia della pantomima di Marcel Marceau, l’umanità e la comica amarezza dei grandi film di Chaplin.
Lo spettacolo raccoglie le gag e i numeri più suggestivi della lunga carriera di SLAVA: presentato per la prima volta a Londra nel 1993, gli è subito valso il Time Out Award. SNOWSHOW è uno spettacolo in continuo divenire, in continuo movimento, perché sfugge a qualsiasi tentativo di limitazione della propria libertà.

Acquista su internet
Biglietti a partire da 10 euro

Orario Spettacoli

locandina
Teatro Strehler
dall'11 al 30 aprile 2008

Slava's Snowshow
di SLAVA

creazione e messa in scena di SLAVA
scene di Viktor Plotkinov, Viktor Kramer e SLAVA
luci e costumi SLAVA

In collaborazione con SLAVA & Gwenael Allan
www.slavasnowshow.it
Tournèe italiana organizzata da
ATER - Associazione Teatrale Emilia Romagna
prezzi  
SERIE FESTIVAL

Platea:
Intero, Euro 37,00
Ridotto card Gio/Anz, Euro 21,00
Balconata:
Intero, Euro 28,50
Ridotto card Gio/Anz, Euro 18,00



SPETTACOLO IN ABBONAMENTO
Vai alla pagina degli abbonamenti

Informazioni e prenotazioni
NUMERO UNICO BIGLIETTERIA 848800304 (chiamata ad addebito ripartito)
Per chi chiama dall'estero tel. +39 0242411889.
Da lunedì a sabato 10-18.45; domenica 13-18.30; festività (solo nei giorni di spettacolo) 10-17



Gruppi e pubblico organizzato
Per informazioni su biglietti e abbonamenti per i gruppi organizzati, pomeridiane per le scuole, spettacoli educational, E20 rivolgersi al Servizio Promozione Pubblico e Proposte Culturali.
e-mail:

  



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Zarevich
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