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«LE FIABE DI LUDWIG BECHSTEIN»
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Messaggio «LE FIABE DI LUDWIG BECHSTEIN» 
 
I tre musicanti

C’erano una volta tre musicanti che sonavano il violino, il flauto e la tromba, e giravano di paese in paese a sonare i loro strumenti divertendo la gente. Così guadagnavano un po’ di soldi , e avevano anche spesso l’occasione di stare allegri.
Un giorno arrivarono in un villaggio dove si teneva una festa, e furono subito inviati a parteciparvi per far ballare la compagnia e allietare tutti con le loro musiche. Quando ebbero finito, il padrone di casa li invitò a sedere a tavola con gli altri a mangiare e a bere, e i tre non se lo fecero dire due volte.
Mentre mangiavano chiacchierando coi loro commensali, udirono uno degli ospiti che diceva:
- In mezzo alla foresta c’è un castello incantato dove succedono cose stranissime. È deserto, eppure le finestre sono illuminate le tavole sempre imbandite. Inoltre si dice che là dentro siamo racchiusi tesori immensi.
- E perché nessuno va a prenderli? – chiese uno dei tre.
L’altro lo guardò con gli occhi sgranati.
- Sei matto? – esclamò – ti ho detto che quel castello è incantato e vi hanno preso alloggio spiriti terribili. Chi si è azzardato ad entrare ne è uscito mezzo morto e non ha mai voluto dire che cosa vi avesse veduto. No, no, io penso proprio che sia meglio girare al largo!
Quando furono rientrati nella loro camera alla locanda, dove dormivano tutti e tre insieme, i musicanti incominciarono a discutere animatamente.
- Perché non proviamo? – diceva uno. – Se i tesori esistono davvero, e noi riusciamo a impadronircene, sarebbe la fortuna per tutti e tre.
- D’accordo – replicava un altro. – Proviamo. Ma io proporrei di non andare tutti e tre insieme; tentiamo uno per volta, così abbiamo tre possibilità di riuscita. Incomincerà il più vecchio di noi.
Convenuto così, finalmente si addormentarono.
Il mattino dopo il maggiore dei tre, che suonava il violino, prese il suo strumento e s'avviò da solo in mezzo alla foresta. Giunto proprio nel folto vide finalmente il castello, che era circondato da un muro, aveva torri e fossati, ma il ponte levatoio era abbassato e il portone spalancato come se egli fosse atteso.
Sebbene avesse molta paura, si decise a entrare, ma non appena fu nel cortile il portone si chiuse alle sue spalle con grande fracasso. Allora la paura gli aumentò, ma oramai non poteva più tornare indietro. Perciò andò avanti cautamente guardandosi intorno. Salì un grande scalone di marmo, quindi attraversò una fila di saloni, ma non incontrò anima viva.
Ovunque regnava il più assoluto silenzio.
Finalmente giunse in una cucina dove un bel fuoco scoppiettava nel camino e sulle fiamme era disposta una gratella. Mentre guardava con occhi sgranati, una fetta di carne finissima uscì dalla dispensa e andò direttamente a posarsi sulla gratella. “Il servizio è proprio completo” pensò il giovane. E istintivamente prese ad avviarsi verso una delle sale da pranzo.
Subito mani invisibili stesero sulla tavola una tovaglia candidissima e disposero piatti e posate per due persone. Poi dalla cucina, volando nell’aria, entrarono in processione piatti colmi di cibi prelibati che vennero a posarsi sulla tavola.
Allora il giovane mise lo strumento alla spalla e suonò una delle sue più belle arie: poi disse inchinandosi:
- Buon appetito.
Quindi sedette e incominciò a mangiare. In quel momento una porta si aprì silenziosamente e nella sala entrò un omino piccolissimo, vestito di rosso, con una barba bianca lunga fino ai piedi e una faccina grinzosa. L’omino ricambiò con un cenno l’inchino del giovanotto, poi sedette a tavola senza dire una parola.
Quando si posò sulla tavola il vassoio con l’arrosto, il violinista lo prese e lo presentò gentilmente al vecchietto; questi sorrise e si tagliò una fetta di carne; ma mentre stava per metterla nel patto, la carne gli sfuggì e cadde sotto la tavola. Subito il giovane si chinò per raccoglierla, ma in quel preciso momento l’omino scattò e gli balzò sulla schiena. Con un bastone nocchieruto incominciò a suonare botte da orbi; infine con un poderoso calcio in fondo alle reni lo fece addirittura volare fuori dal castello.
Quando si riebbe, il violinista si rialzò a fatica e, barcollando, raggiunse la locanda.
Al mattino dopo i compagni lo tempestarono di domande, ma egli, ancora indolenzito, si limitò a dire:
- Be, sì qualcosa c’è: qualcosa di duro…ma andate a vedere voi!
La stessa sorte tocco anche al secondo musicante, quello che suonava la tromba.
Infine venne il turno del terzo, che era un flautista. Anch’egli arrivò nel castello e si sedette a tavola. Ma, vista la sorte dei suoi compagni, aveva deciso di star molto attento a quel che faceva.
Venne l’omino e fu servito l’arrosto. Il giovane gli porse il piatto, e quando la fetta di carne dell’omino cadde sotto il tavolo, anch’egli si chinò per raccoglierla, però si accorse della mossa che il vecchietto faceva per saltargli addosso. Allora si voltò di scatto, gli afferrò la barba e la tirò così forte che si stacco e gli rimase in mano. L’omino disperato lo supplicò:
- Ti prego, ridammi la barba! In cambio ti rivelerò ogni incantesimo e sarai ricco e felice.
Ma il giovane, che nello stringere quella barba si sentiva pieno di forze, rispose:
- Prima rivelami gli incantesimi e poi ti darò la barba.
- Vieni con me – disse infine il vecchietto rassegnato, e cominciò a scendere scale strettissime, che si aprivano fra le pareti della roccia, fino a quando non giunsero in una vasta spianata. L’attraversarono e si trovarono sulla sponda di un fiume.
L’omino levò di tasca una bacchetta e con quella toccò le acque, che come per incanto si fermarono a monte, mentre quelle a valle scivolarono via lasciando il fondo asciutto. I due lo attraversarono, e non appena ebbero raggiunta l’altra riva il torrente riprese a scorrere con un terribile scroscio tra mulinelli vorticosi. Dall’altra parte c’era un giardino meraviglioso, talmente bello che il flautista credette di essere nel paradiso terrestre: prati d’erba verdissima, ruscelli dove guizzavano pesci rossi, dorati, argentei; dappertutto fiori, uccelli dalle penne d’oro, farfalle multicolori, percolatati, siepi fiorite.
Gli uccelli trillavano festosamente, le farfalle gli svolazzavano intorno come per dargli il benvenuto.
Il giovane cercava di persuadersi che non stava sognando, e seguiva sempre il vecchietto, il quale si diresse verso un grande e magnifico castello che sorgeva proprio in mezzo al giardino. Entrarono e anche qui attraversarono saloni sfarzosi e ammobiliati splendidamente, ma tutti deserti e silenziosi.
Infine giunsero in una camera dove, proprio nel centro, stava un grande letto con le cortine abbassate.
[la principessa] L’omino le sollevò e il flautista vide una fanciulla bella come un angelo, ma immersa in un sonno profondo come la morte. Era vestita di bianco e aveva i capelli neri sciolti sulle spalle. Accanto a lei, in una gabbietta, trillava un uccellino, ed era questo l’unico segno di vita in quel silenzio pauroso.
- Ecco – disse l’omino – questa è una principessa che con un incantesimo ho fatto addormentare così. Il castello e il giardino le appartengono, ma non potrà goderli fino a quando non si sveglierà. E non si sveglia da secoli, perché nessuno, fino ad oggi, era riuscito a trovare la strada per giungere fin qui. C’ero io, che facevo buona guardia! Non appena qualche importuno si avvicinava e ardiva entrare in casa mia, lo accoglievo a bastonate e poi lo buttavo fuori. La barba mi dava tanta forza che sarei riuscito a picchiare anche un gigante. Ma adesso tu me l’ hai strappata e io non posso nulla contro di te. Devo cederti tutto: il castello, il giardino, e anche la principessa.
- Va bene, va bene, ma adesso fammi il piacere di svegliarla! – impose il giovane che teneva sempre ben stretta la barba nel pugno.
- Non posso – replicò il vecchietto. – Puoi farlo solo tu. Prendi l’uccellino che sta nella gabbia e strappargli la penna rossa che ha sul petto, proprio sopra il cuore. Poi bruciala, raccogli la cenere e mettila sulle labbra della principessa.
Il giovane fece ciò che gli era stato detto: strappò la penna rossa all’uccellino, la bruciò, e delicatamente mise la cenere sulle labbra della fanciulla addormentata. La principessa sospirò profondamente mentre le sue palpebre palpitavano: infine spalancò gli occhi. Vide il giovane e gli sorrise, poi scese dal letto fresca e vivace.
- Grazie, mio liberatore – disse con una voce musicale. – Tu sarai il mio sposo e da questo momento tutte le mie ricchezze ti appartengono.
- Adesso che tutto è finito bene, ridammi la mia barba! – ingiunse l’omino.
- Riavrai la tua barba, non dubitare – disse – ma soltanto quando ci saluteremo. Io e la principessa ti accompagneremo per un tratto.
Arrivati sulla riva del torrente, il musicante disse:
- Dammi la tua bacchetta, perché debbo dividere le acque per passare.
Il vecchietto scosse la testa. Allora il giovane fece l’atto di gettare la barba nel fiume.
- Ferma, ferma! – gridò il vecchietto disperato. – Tieni!
Il giovane prese la bacchetta e con quella toccò le acque che si aprirono, poi disse:
- Prego, và avanti tu. Ma non appena l’omino fu sull’altra riva, egli toccò di nuovo le acque che ripresero a scorrere.
La disperazione del vecchietto fu immensa: correva sulla riva piangendo e strillando.
Allora il giovane toccò la barba con la bacchetta e la barba volò dall’altra parte. Ma quando l’omino chiese anche la bacchetta rispose:
- Questa la tengo io, così non potrai ripassare il fiume mai più. Tu di là e noi di qua; vedrai che straremo benone.
In quanto agli due musicanti, dopo aver atteso invano il loro compagno, conclusero:
- Ne ha prese troppe e non ha più il coraggio di farsi vedere.

di Ludwig Bechstein
  



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La principessa incantata

C’era una volta un povero calzolaio che aveva due figlioli: il maggiore si chiamava Elmerico ed era maligno e prepotente; l’altro si chiamava Gianni e aveva un carattere mite.
Il padre, chissà perché, aveva scambiato la prepotenza di Elmerico per coraggio, e la sua malignità per furberia, mentre la mitezza di Gianni gli sembrava soltanto stupidità. Perciò stimava moltissimo il maggiore, mentre si vergognava un po’ del secondo. Un giorno in cui era andato all’osteria udì parlare alcuni clienti.
- Vi assicuro che è così – diceva uno. – La figlia del re è stata rapita da uno stregone che la tiene prigioniera in un castello pieno di tesori. Chi riuscirà a superare tre prove imposte dallo stregone, sposerà la principessa e diventerà padrone di tutte quelle ricchezze.
“Ecco un’impresa fatta apposta per il mio Elmerico”, pensò subito il calzolaio. “Coraggioso e intelligente com’è, supererà le tre prove e libererà la principessa; la sposerà e diventerà re. Corro subito a dirglielo”. E infatti, ritornò a casa in gran fretta e narrò tutto al figliolo. Elmerico, naturalmente, decise di partire subito, e il calzolaio, per dargli un equipaggiamento degno di lui, vendette persino le suppellettili di casa, e riuscì a comprargli un bel cavallo e anche un’armatura.
Al mattino successivo il giovane balzò in sella e salutò tutti:
- Non appena avrò sposato la principessa manderò una carrozza d’oro tirata da sei cavalli a prendere voi e quello sciocco di Gianni.
Spronò il cavallo e partì di gran corsa. Galoppa, galoppa, Elmerico giunse ben presto a una foresta selvaggia che circondava il castello dello stregone. Il viaggio, fino a quel momento, era stato facile e il giovanotto, convinto che fosse merito suo, cresceva via via in baldanza e in prepotenza. Scacciò col frustino gli uccelli che cantavano sugli alberi; fece passare il cavallo proprio sopra un formicaio fatto a cupola, schiacciando le formiche; vide un alveare appeso a un ramo e con un colpo di spada lo fece volare in pezzi; e infine, passando vicino a un lago dove nuotavano dodici anatroccoli, li chiamò offrendo loro del cibo e quando furono vicini, ne uccise undici mentre il dodicesimo riuscì a salvarsi a stento.
Finalmente giunse davanti al castello, ma il portone era chiuso.
Elmerico allora scese da cavallo e incominciò a sferrare gran calci alla porta. A un tratto una finestrella si socchiuse e una vecchina si affacciò:
- Che cosa vuoi? – chiese.
- Sono venuto a liberare la principessa. Ho fretta!
- Io no – commentò la vecchietta. – Torna domattina alle nove.
La finestra si richiuse e, sebbene pieno di rabbia, Elmerico dovette rassegnarsi e passò la notte nel bosco. La vecchietta lo aspettava e aveva in mano un cestello pieno di miglio. Gettò a manate il miglio in mezzo all’erba folta poi disse:
- Raccogli tutti questi granellini; fra un’ora tornerò e il lavoro dovrà essere terminato.
Rientrò nel castello ed Elmerico borbottò:
- Roba da pazzi! Quella vecchia scherza. Non incomincio nemmeno.
Andò a fare una passeggiata e dopo un’ora ritornò. La vecchina lo aspettava:
- Così non va bene – disse severamente. – Vediamo la seconda prova.
Tolse di tasca dodici chiavette d’oro e le gettò in uno stagno.
- Va a ripescarle – disse. – Fra un’ora tornerò.
Elmerico, rimasto solo, si mise a ridere.
- Dovrei ripescare le chiavette? – commentò. – E’ perché, allora, quella vecchia le ha buttate? E’ un lavoro inutile.
Andò a fare una passeggiata e dopo un’ora ritornò. La vecchia lo aspettava.
- Così non va bene, non va bene – ripeté con la faccia scura.
Lo prese per mano ed entrarono nel castello. Salito un lungo scalone, si trovarono in una sala alla cui estremità c’erano tre figure uguali, tutte coperte di veli.
- Una di quelle è la principessa – disse la vecchia. – Scegli, ma pensaci bene prima di dire qual è. Tornerò tra un’ora.
- Scelgo quella di destra! – gridò il giovane sicuro di sé.
Allora le tre figure gettarono i veli: quella di mezzo era la bellissima principessa; le altre, due orribili draghi.
Il drago di destra afferrò Elmerico e lo gettò dalla finestra: non appena toccò terra egli diventò un sasso.
Intanto a casa i genitori aspettavano sempre la carrozza, ma non la vedevano comparire. Un giorno Gianni disse:
- Babbo, lascia che provi anch’io.
- Povero scioccherello! – rispose il padre scrollando la testa. – Se Elmerico, che è tanto intelligente, non è riuscito, come potrai riuscire tu?
Ma Gianni insistette tanto che finalmente ottenne il permesso. Tuttavia il padre, che aveva già speso tanto per il figlio maggiore, non possedeva più un soldo, e il ragazzo dovette partire a piedi e senza armi.
Cammina, cammina, giunse nella foresta che circondava il castello. Di animo mite com’era, ringraziò gli uccelli per i loro dolci gorgheggi, evitò con cura il formicaio e anzi aiutò le formiche a ricostruire il nido distrutto; collocò un bel mazzo di fiori accanto all’alveare, e visti altri dodici anatroccoli che nuotavano nello stagno, sbriciolò nell’acqua gli avanzi della sua colazione.
Finalmente giunse davanti al castello e bussò al portone con garbo. Quando la finestrella si aprì, si tolse il berretto e salutò:
- Buona signora, scusate il disturbo. Vorrei provare a superare le tre prove …
- Bene, figliolo: ti aspetto domattina alle nove.
L’indomani quando Gianni ritornò, la vecchina gettò il miglio fra l’erba e disse:
- Raccoglilo entro un’ora.
Poi se n’andò. Gianni incominciò, ma era un’impresa disperata: dopo tre quarti d’ora stava per abbandonar l’opera, quand’ecco apparire fra l’erba una fila interminabile di formiche. Ciascuna portava un granello di miglio e in un attimo il cestino fu pieno.
- Bene, bene – disse la vecchietta quando tornò.
Getto le dodici chiavi d’oro nello stagno e aggiunse:
- Ripescale entro un’ora.
Gianni stava domandandosi come avrebbe fatto, quando vide giungere i dodici anatroccoli che portavano una chiave d’oro nel becco. A uno a uno s’accostarono alla riva e gliela porsero. Così anche questa prova fu superata e finalmente la vecchia lo introdusse nella sala dov’erano le tre figure velate.
- Una di esse è la principessa. Scegli bene – raccomandò.
Gianni studiò a lungo le tre figure, ma erano proprio identiche! Come fare? In quel momento dalla finestra entrarono alcune api che incominciarono a ronzare intorno alla figura centrale.
- Scelgo quella di mezzo – gridò il giovane.
I veli caddero e quella di mezzo era proprio la principessa che portava una corona di fiori sulla testa; perciò le api si erano avvicinate a lei, fuggendo dai due draghi che puzzavano di pesce e di zolfo.
Gianni era così riuscito a rompere l’incantesimo e grazie a lui i sassi sotto le finestre ridiventarono giovanotti: fra essi c’era Elmerico.
La principessa ringraziò il suo salvatore e spedì subito un servo ad avvertire il re. Alle nozze, che furono celebrate con grandi feste, parteciparono anche i genitori dei due giovani, giunti in una carrozza d’oro.
Ma la carrozza era stata mandata da Gianni non da Elmerico!

di Ludwig Bechstein
  



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Il librone degli incantesimi

C’era una volta un mago che era molto abile nel fare gli incantesimi. Da molti anni ormai abitava in una capanna in mezzo al bosco ed era molto infelice perché, sentendosi ormai vecchio e vicino a morire, non sapeva a chi trasmettere l’arte della sua magia.
Un giorno vide, per caso, due bambini che giocavano in un prato: erano un fratellino e una sorellina, piccoli, vispi e belli. “Ecco i bambini che fanno al caso mio! Li prenderò e insegnerò loro l’arte della stregoneria”, pensò subito il mago. E, fabbricata una rete di capelli, li catturò e li portò nella sua capanna.
I piccoli, spaventatissimi, avrebbero voluto fuggire, ma il mago li sorvegliava molto attentamente e non si allontanava quasi mai da casa; soltanto qualche volta si divertiva ad andare a pescare. Un giorno che il mago era andato al fiume a pescare, la sorellina buttò le braccia al collo del fratello e piangendo disse:
- Il mago se ne andato a pescare; fuggiamo prima che torni!
Ma il fratellino, che era più saggio, le rispose:
- Non hai sentito che terribili minacce ci ha fatto l’altro giorno prima di uscire? Eppoi quel mago è così sapiente che, con le sue magie, ci ritroverebbe subito! No, no! Aspettiamo un po’: per ora non possiamo proprio far nulla!
Passò qualche giorno e il mago di nuovo a pescare e i bambini rimasero soli nella capanna. A un tratto il fratellino guardò in alto e vide sullo scaffale un grosso librone nero.
- E’ certo il Librone degli incantesimi – disse il fratellino.
E, appena lo ebbe preso in mano, continuò:
- Guarda qui! Ci sono scritti tutti gli incantesimi che servono al mago per le sue stregonerie…ho deciso – disse dopo un po’ alla sorellina che lo guardava meravigliata – ogni volta che il mago andrà a pescare, io mi metterò in un angolo e cercherò di imparare qualche formula magica. Così, quando ne avrò imparate molte, forse troveremo il modo di scappare.
Il bambino per una settimana intera, studiò il Librone degli incantesimi e, poiché aveva buona memoria, imparò molti segreti della magia. Al mattino del settimo giorno, quando, come al solito, il mago se ne andò a pescare, il fratellino disse:
- E’ arrivato il momento giusto! Grazie al cielo ho imparato alcuni incantesimi che potranno esserci utili in caso di pericolo.
E presisi per mano, uscirono dalla capanna e scapparono lungo il sentiero del bosco. Il mago intanto, seduto sulla sponda del fiume, si affaticava per nulla: i pesciolini si avvicinavano all’esca, la mangiavano con delicatezza, ma quando il mago dava uno strappo alla lenza, scappavano da tutte le parti e nessuno rimaneva attaccato all’amo! Arrivò la sera e il mago tornò a casa tutto infreddolito e di cattivo umore. Appena entrato nella capanna, si guardò attorno, ma non vide i bambini. Scrutò in tutti gli angoli, cercò sotto la tavola e sotto il letto, ma erano proprio spariti!
- Me la pagheranno cara! – urlò più che mai infuriato. - Olà venga a me la mazza magica!
Subito la mazza magica gli saltò fra le mani e gli indicò la direzione che i bambini avevano preso. Il mago si mise a correre; oramai stava per raggiungerli i piccoli, quando il fratellino disperato provò a ripetere una formula magica:
- Libro, Librone, per il sangue del drago, per la barba del mago, trasformami all’istante in un bel lago.
Immediatamente il fratellino fu trasformato in un lago azzurro, e la sorellina in un pesciolino che guizzava allegramente nell’acqua. Giunto sulla riva del lago, il mago lo guardò con sospetto. Non era mago per nulla, e subito immaginò che cosa era successo.
- Voi volete sfuggirmi – brontolò – ma vi acchiappo lo stesso.
E in tutta fretta ritornò a casa per provvedersi di canne e reti e pescare così il pesciolino. Non appena si fu allontanato, i bambini ripresero le loro sembianze. Cercarono un cespuglio folto, vi si nascosero sotto e dormirono fino all’alba. Al mattino ripresero il viaggio camminando per tutta la giornata. Intanto il mago, munito di reti e di lenze, era giunto nel posto dove aveva veduto il lago, ma, con sua grande sorpresa, non lo trovò più. C’era soltanto un prato acquitrinoso dove saltellavano numerosi ranocchi. Tutto infuriato gettò via reti e canne, poi, interrogata la mazza magica e avuta da lei la direzione, riprese l’inseguimento. Verso sera i ragazzi udirono il rimbombo dei suoi passi.
- Siamo perduti! – singhiozzo la sorellina terrorizzata voltandosi indietro.
Ma il fratellino la rincuorò di nuovo:
- Non piangere. Conosco un’altra formula magica e spero che funzioni anche questa volta.
Tracciò un segno nell’aria e disse:
- Libro, Librone, a scorno dello stregone che viene in tutta fretta, mutami in una linda cappelletta.
Subito diventò una cappelletta bianca, di quelle che si vedono spesso lungo le strade di campagna, e la bambina divenne un bellissimo angelo dipinto nella nicchia. Quando il mago arrivò, incominciò a imprecare schiumando di rabbia. Ma come catturare un angelo dipinto? E come distruggere la cappelletta, visto che da sempre gli stregoni hanno paura delle immagini sacre? Inoltre l’angelo teneva una mano alzata in un atteggiamento dolcissimo, ma che a lui sembrava soltanto minaccioso. Egli fece tre o quattro volte il giro della cappelletta e concluse che non gli restava altro da fare che incendiarla.
- Non posso ridurvi in un mucchio di calcinacci – imprecò – ma vi ridurrò in un mucchio di cenere!
Detto fatto incominciò a raccogliere nei dintorni rami ed erba secca e con quelli circondò la cappelletta; ma quando fu per appiccarvi il fuoco si accorse che non aveva fiammiferi. Non gli restava che tornare a casa a prenderli, e subiti si incamminò sbuffando e borbottando.
Non appena fu lontano, il fratellino e la sorellina ripresero il loro solito aspetto e, poiché erano molto stanchi, cercarono un angolo ben riparato e dormirono saporitamente fino all’alba.
Quando il mago, portando i fiammiferi e una grossa fascina, giunse sul luogo dove c’era la cappelletta, trovò soltanto un grosso macigno. Lo stregone furibondo consultò la mazza magica e riprese l’inseguimento finché, verso sera, fu di nuovo alle spalle dei ragazzi.
Il fratellino, appena udì i passi pesanti del mago, tracciò un segno e disse:
- Libro, Librone, per il nido che sta sulla grondaia, mi piacerebbe diventare un’aia tutta piena di grano. E lo stregone, tienilo lontano!
Subito divenne una grande aia su cui troneggiava un grosso mucchio di grano e la bambina divenne un piccolo chicco mescolato a tutti gli altri. Quando lo stregone arrivò urlò di rabbia. Era stato giocato un’altra volta! Poi a poco a poco si calmò e incominciò a riflettere. “Questa volta, invece di arrabbiarmi tanto, farei bene a cercare un rimedio infallibile”, pensò. Infine i suoi occhi mandarono un lampo di trionfo:
- Ho trovato! – esclamò.
[i due fratellini] Pronunciò alcune parole magiche, e subito si trasformò in un gallo nero, che veniva avanti di gran corsa protendendo il becco in cerca del chicco di frumento. Grazie ai suoi poteri magici l’aveva già avvistato e stava per beccarselo quando il fratellino pronunciò mentalmente l’ultima formula magica di cui si ricordava:
- Gallo nero, gallo nero, non avere troppa fretta! Lo sai già quel che ti aspetta, con la volta e il levriero!
Subito a una estremità dell’aia apparve un grosso levriero che, mettendo in mostra due file di denti aguzzi, incominciò a correre verso il gallo. Non appena lo vide, il gallo, tutto spaventato, si diede alla fuga nella direzione opposta, ma dall’altra parte ecco apparire una volpe dal pelo rosso che, con gli occhi infiammati e la bocca aperta, si avventò su lui.
Il gallo non sapeva più da che parte scappare; svolazzava di qua e di là perdendo le penne, e non aveva più in mente né il chicco di grano, né, cosa peggiore, le formule magiche che avrebbero potuto salvarlo.
Fu la volpe ad avere la meglio balzata sul gallo ne fece un sol boccone, leccandosi poi le labbra con molto gusto.
I due bambini ripresero il loro aspetto consueto e da capo si incamminarono verso casa, questa volta allegramente, perché non avevano da temere più nulla. I genitori, che li avevano pianti per morti, li accolsero con gioia e grandi feste. Da quel giorno tutti insieme vissero felici e contenti e del cattivo stregone nessuno udì più parlare.

di Ludwig Bechstein
  



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Messaggio «LE FIABE DI LUDWIG BECHSTEIN» 
 
Ludwig Bechstein Людвиг Бехштейн
«LE NUOVE FIABE DI L.BECHSTEIN»
«НОВЫЕ СКАЗКИ Л.БЕХШТЕЙНА»
Collana: «Souvenir fiabesco» («Сказочный сувенир»)
Illustrazioni di Vladimir Melniciuk
Casa Editrice «Svenas» Mosca 1994 (Pagine 168)
Издательство «Свенас» 1994

Il libro ben illustrato delle antiche fiabe poco conosciute.  
In seguito Ludwig Bechstein (1801-1860) fu impiegato come archivista e poi di bibliotecario a Meiningen. La sua predilezione per la storia e la sua gioia nel curiosare tra vecchie fonti e cronache, sono visibili non solo nelle sue collezioni di favole e leggende sulle fate, che costituiscono il centro della sua produzione letteraria, ma anche nelle sue ballate, racconti e novelle storiche. Come molti scrittori fu letto molto solo dopo la sua morte, che avvenne nel1860 a Meiningen. Le sue fiabe sono «La principessa incantata», «Il capraio e la figlia del re», «Il librone degli incantesimi», «I tre musicanti», «I tre cani», «Cigno appiccica!», «I due malcontenti».

  

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Descrizione: Ludwig Bechstein «LE NUOVE FIABE DI L.BECHSTEIN»
Collana: «Souvenir fiabesco»
Illustrazioni di Vladimir Melniciuk
Casa Editrice «Svenas» Mosca 1994 (Pagine 168) 
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Descrizione: Ludwig Bechstein «LE NUOVE FIABE DI L.BECHSTEIN»
Collana: «Souvenir fiabesco»
Illustrazioni di Vladimir Melniciuk
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Descrizione: Ludwig Bechstein «LE NUOVE FIABE DI L.BECHSTEIN»
Collana: «Souvenir fiabesco»
Illustrazioni di Vladimir Melniciuk
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Zarevich
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