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«La GABRIELEDE»
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«ГАВРИИЛИАДА» «La GABRIELEDE» o «La GABRIELADA»  
Il poema di Aleksandr Pushkin con il soggetto romantico dell’ Annunciazione.

In verità d’una giovane ebrea La salute dell’anima m’è cara.
A me vieni, vezzoso angelo mio, Di pace accogli la benedizione.
La bellezza terrena io vo’ salvare! Del sorriso di vaghe labbra pago, Al Re dei cieli ed a Cristo Signore Sulla devota lira canto versi.
Di queste umili corde finalmente La incanteranno forse i sacri canti, E le scenderà in cuore il Santo Spirito; Dei cuori egli è signore e delle menti.
Sedici anni, innocente sommissione, Ciglio scuro, di due virginee poma Elastica movenza sotto il panno, Gamba d’amore, denti in perlea fila... Ebrea, perché dunque hai tu sorriso E t’è corso incarnato per il volto? No, cara, veramente hai preso abbaglio: Non già te stessa, Maria ho descritto.
Nel deserto, lungi da Gerosolima, Da diletti e da giovani galanti (Che a perdere la gente guarda il Diavolo), Una bellezza a tutti ancora ignota Senza bizze menava calma vita.
Il suo consorte, un uomo rispettabile, Vecchio bianco, cattivo carpentiere, Era il solo artigiano del villaggio.
E giorno e notte, avendo gran travaglio Colla livella, о colla fida sega, О coll’ascia, assai poco aveva l’occhio Ai vezzi dei quali era possessore, Ed il segreto fiore, cui per sorte Era assegnato ben diverso onore, Non osava sul gambo ancor fiorire. Lo sposo col suo vecchio annaffiatoio Non lo irrorava all’ora mattutina;
Qual padre colla giovane viveva, Le dava da mangiare - e nulla più.
Ma, fratelli, dai cieli su quel torno L’Altissimo piegò benigno sguardo Sul bel fianco e sul grembo verginale Della sua schiava — e, da una voglia preso. Fermò nella profonda sua saggezza Di benedire sì degno verziere, Quel verziere scordato e solitario, Con larghezza d’arcane ricompense.
I campi muta notte involge ormai; Nel suo cantuccio Maria dolce dorme. Disse l’Eccelso, - e la fanciulla sogna: Davanti a un tratto le s’è aperto il cielo Nel proprio immensurabile profondo; In splendore ed in gloria intollerabili Nubi d’angeli s’agitano, fervono, Volano serafini innumerabili, Toccano corde d’arpe cherubini, Son seduti gli arcangeli in silenzio, Coll’ali azzurre riparando il capo E, di brillanti nuvole ammantato, Sta dell’Eterno innanzi a loro il trono. E splendente d’un tratto Egli si mostra... Ognun si prostra... Tace il suon dell’arpa. Maria, china la testa, appena spira, Trema a verga, e la voce ode di Dio: «Vanto delle Nei giorni quando a un infiammato sguardo Sentiamo agitazione nelle vene, Quando l’uggia delle deluse brame Ci ravvolge e ci fa pesante il cuore, E dovunque ci insegue e ci tormenta Un solo oggetto di pensieri e pene, - Tra i nostri amici giovani, newero?
Noi cerchiamo e troviamo un confidente. Con lui lo strazio arcano degli affetti Nel linguaggio dell’estasi volgiamo. E quando poi abbiamo preso al volo L’attimo alato di celesti ebbrezze E alla gioia sul letto voluttuoso Piegato la bellezza vergognosa, Quando è scordato il tormento d’amore E più nulla ci resta da bramare, - Affine d’avvivare il suo ricordo, Col confidente amiamo ancor cianciare.
Anche tu, Dio! sapesti il suo tumulto, Anche tu ardesti tal e quale noi.
La creazione intera al Creatore, Gli inni celesti, eran venuti a noia, - Salmi d’amore andava componendo, Cantava forte: «Amo, amo Maria, Triste trascino l’immortalità... Dove son l’ali? Volerò a Maria E poserò sul seno della bella!... » Con quanto gli riusciva d’inventare. — Amava l’orientale, acceso stile.
Indi col favorito Gabriele
Il proprio amore in prosa dichiarava. La chiesa i lor discorsi ci ha nascosto, L’evangelista è stato malaccorto! Ma riferisce tradizione armena Che l’Eccelso non risparmiando lodi, L’arcangelo si prese per Mercurio, Constatato che aveva ingegno e senno, - E all’or di notte lo mandò a Maria.
Diverso onore voleva l’arcangelo: Gli era già andata bene in altri incarichi; Trasmettere notizie e bigliettiniFrutti pure, lui ci ha la sua fierezza.
E il glorioso, celando il proprio intento, Divenne suo malgrado compiacente Di Dio... ruffiano, detto alla terrestre.
Ma, antico infesto, veglia Satanasso! Riseppe, andando a giro per il mondo, Che Dio gli aveva mire su un’ebrea, Una bellezza la quale doveva Salvarci dalle pene dell’inferno.
Il Maligno provò grande dispetto - Si dà da fare. Intanto il Padreterno Siede nel cielo, dolce malinconico, Il mondo scorda, non governa nulla - E tutto senza lui va alle ballodole.
E Maria che fa? Dove si trova
La triste sposa del vecchio Giuseppe? Di tristi idee nel suo giardino, piena, D’ozio innocente ella trascorre il tempo E aspetta ancora il sogno incantatore. Dall’anima non Pesce il caro volto, Col mesto cuore all’arcangelo vola.
Tra fresche palme, al canto del ruscello, La mia bellezza va fantasticando;
La fragranza dei fiori non le è grata, Non la rallegra il mormorio dell’acque...
D’un tratto vede: mirabile serpe, Per l’allettante squama rilucendo, Tra le rame le dondola davanti
E dice: «O tu dei cieli favorita!
Non fuggire, - son l’umile tuo schiavo... ». Possibile? Oh portento dei portenti!
Chi tal parla alla semplice Maria,
Chi dunque è questo? Ahimè, s’intende, il Diavolo.
La sua beltà, la pompa dei colori, Saluto, fuoco dei perfidi sguardi, A Maria le piacquero sull’atto. Per ricreare l’ozio del suo cuore, Su Satana posando l’occhio dolce, Ella imprese un discorso periglioso«Chi sei, serpente? Al lusinghiero accento, Alla bellezza, allo splendore, agli occhi - Riconosco colui che la nostra Èva Seppe attirare all’albero segreto Ed al peccato volse l’infelice. L’inesperta fanciulla tu perdesti, E la razza d’Adamo insieme e noi. Nell’abisso dei mali sprofondammo. Non ti vergogni?».
«I preti v’ingannarono, Èva non l’ho perduta, ma salvata!». «Come! e da chi?».
«Da Dio».
«Nemico invero! ». «Egli la amava... ».
«Attento a come parli! ». «Ardeva... ».
«Taci! ».
«... per lei di passione. In tremendo periglio ella versava».
«Tu menti! ».
«Veriddio! ».
«Non sacri giuri! ». «Ma pure ascolta...».
E qui pensò Maria: Che è ben fatto in giardino, solo a sola, Le calunnie del serpe star a udire, Ed è il caso di credere al Demonio? Ma il Re dei cieli mi protegge ed ama, Egli è buono: non vorrà certo perdere La sua schiava, - e perché? per un discorso? Eppoi non lascerà che me la facciano, Ed anche il serpe in fondo appare onesto. Dov’è il peccato о il male? bagatelle! - Pensò come s’è detto e prestò orecchio Scordando un po’ l’amore e Gabriele. Il Maligno, svolgendo tronfiamente La risonante coda, arcando il collo, Scivola dalle rame - e le è davanti; Fuoco di brame in petto a lei spirato, Dice:
« Con il racconto di Mosè Non converrà per nulla il mio racconto: Volle, inventando, lui blandir gli ebrei, Mentì sfacciato, - e gli dettero retta. Iddio premiò la sua sommessa mente, Col che Mosè divenne un gran notabile, Ma io non sono storico di corte E non mi serve il posto di profeta!
Dovrebbero, tutte l’altre bellezze, Invidiare la fiamma dei tuoi occhi, Ché tu sei nata, umile Maria, Per istupire i figliuoli d’Adamo, Per imperare sui leggeri cuori, Con un sorriso renderli beati, Trarre di senno con una parola, Amare e non amare, a tuo capriccio... Tal tua sorte. Qual te la giovane Èva Nel suo giardino, semplice e gentile, Ma senza amore in tristezza fioriva; Soletti, faccia a faccia, uomo e pulzella Sulle rive dei chiari fiumi d’Eden Calmi menavano innocente vita. Monotoni e noiosi i loro giorni. Ombra boschiva, giovinezza od ozio, Niente l’amore in loro suscitava;
Mano in mano passeggia, mangia e bevi; Il giorno sbadigliavano e, la notte, Non giochi appassionati о gioie vive... Orsù, che te ne pare? Iniquo despota, Degli ebrei l’iddio, cupo e geloso, Della donna d’Adamo innamorato, Se la serbava tutta per se stesso...
Che grande onore e che delizia somma! Lassù nei cieli, come dire in bando, Prega che ti riprega ai piedi suoi, Lodalo, ammira la sua gran bellezza, Non osando furtive occhiate ad altri Od una parolina ad un arcangelo;
Ecco la sorte di colei che Dio Si prende per amica, alla fin fine. E poi? Per tale noia e tale strazio Compenso, il canto di sacristi rauchi,
Candele, uggiose preci di vecchine, Fumo d’incenso, immagine ingioiata Ad opera di qualche imbrattatele... Ma che bello! Invidiabile destino!
Ebbi pietà della mia bella Èva; Decisi, ad onta e scorno del Creatore, Rompere il sonno di pulzella e giovane. Come andò la faccenda l’hai sentito? Due mele, a ramo magico pendenti (Felice segno, simbolo d’amore) Le aprirono un’oscura fantasia.
Oscuri desideri si destarono; Ella conobbe la propria bellezza, E dolci sensi, e palpito di cuore, E del giovane sposo la nudezza!
Li vidi! Dell’amore - la mia scienza -
Io vidi l’incantevole principio. In folto brolo s’appartò la coppia... Sguardi, mani, colà rapidi errarono... Tra le gentili gambe della sposa, Indaffarato, muto ed inesperto, Cercò Adamo dell’estasi l’ebbrezza; Ricolmo tutto di furioso fuoco, Egli indagò la fonte di delizia E, bollendo nel cuore, vi si perse...
E, senza tema dell’ira divina, Èva, sparsa i capelli, tutta in fiamme, Appena, appena le labbra movendo, Ad Adamo col bacio rispondeva, D’amor piangendo immemore giaceva Sotto le palme, - e la giovane terra Coi suoi fiori gli amanti ricopriva.
Beato giorno! Il consacrato sposo Carezzava la moglie mane e sera, E ben poco chiudeva gli occhi a notte. Come fiorito fu il lor ozio allora!
Al sollazzo, lo sai, Dio pose fine E la coppia privò del paradiso.
Li discacciò da quella cara terra, Dove senza fatiche a lungo vissero
E trassero innocenti i propri giorni, Di pigra quiete riparati in seno. Ma di gioia l’arcano io loro apersi E della giovinezza i lieti dritti, Languore, estasi, lacrime beate, E baci ardenti, e tenere parole. Dimmi adesso: davvero son fellone? Per me, davvero, Adamo è sventurato? Non mi sembra, ed infine so soltanto Che con Èva sono rimasto amico».
Cessò quello. Maria tacendo aveva Ascoltato il fallace Satanasso.
«Forse,» pensava «dice il vero il Perfido; L’ho udito, che con gloria, con onori, Felicità non compri, né con oro;
Ho udito dire ch’è mestieri amare... Amare! E come e quando e per che modo... E intanto la sua giovane attenzione Ogni cosa coglieva in quei racconti: Gli effetti e le cagioni singolari, La lingua ardita e le libere scene...
(Di cose nuove tutti siamo amanti). E l’oscuro principio, a grado a grado, Di perigliose idee le venne chiaro, E d’un tratto non vi fu più serpente - E nuova apparizione le è davanti: Un bel giovane vede ora Maria. Ai di lei piedi, senza far parola, Lo splendore degli occhi a lei volgendo, Chiede eloquentemente qualche cosa, Con una mano le presenta un fiore, L’umile panno coll’altra gualcisce, Sotto la veste ratto la introduce, E scherzoso un leggero dito sfiora
dolci arcani... A lei tutto è mirabile, Tutto le sembra nuovo, tutto strano, - Ed intanto rossore non pudico
Le verginali gote ravvivava, Languido ardore ed impaziente spiro
suo giovane petto sollevava.
Tace: ma d’improvviso più non resse,
Si serrarono gli occhi risplendenti, Al Maligno piegando il capo in petto, Oh Dio!... gridò, con che cadde sull’erba...
Cara amica! alla quale io consacrai Il primo sogno di speranza e brama, О bellezza alla quale fui già caro, Vorrai tu perdonarmi i miei ricordi? I miei peccati, i giovanili spassi, Le sere quando nella tua famiglia Davanti all’importuna e fiera madre Ti tormentavo con ansia segreta E istruivo le tue beltà innocenti? Alla docile mano avevo appreso A ingannare il distacco doloroso E ad addolcire Гоге silenziose, La verginale pena dell’insonnia. Ma fu perduta la tua giovinezza, Sparve il sorriso dalle smorte labbra, La tua bellezza fu diacciata in fiore... Potrai tu perdonarmi, о cara mia! Re del vizio, a Maria nemico perfido, Innanzi a lei tu fosti assai colpevole; Ah, che il libertinaggio anche tu amavi... Sapesti con diletto criminoso Istruire la sposa dell’Altissimo, Stupire l’innocenza coll’audacia. Sii fiero della tua dannata gloria!
Cogli dunque... ma presso, presso è l’ora! S’oscura il giorno, spento è il raggio occiduo. Tutto tace. E sulla fanciulla stanca Frusciando, ecco, si libra alato arcangelo, Nunzio d’amor, dei cieli figlio splendido.
Di spavento, veduto Gabriele, La bella donna il viso si coperse... Sorgendo, si sconcerta il cupo Diavolo E dice: « О tu, beato tracotante, Chi t’ha chiamato? Perché abbandonasti L’etere eccelso e la celeste corte?
Perché turbare tacito diletto, Le faccende di coppia sensitiva?».
Ma, aggrottando geloso ciglio, l’altro Schernevole ed altero a ciò risponde: «Folle nemico di beltà celeste, Malo arnese, bandito disperato, Seducesti la tenera Maria,
Ed osi ancora farmi le domande! Ribelle schiavo, impuro, fuggi lesto, О ti farò tremare a verga a verga! ». «Non tremo io già dei vostri cortigiani, Umili servitori dell’Altissimo, Né dei ruffiani del celeste Re! » Il Maledetto disse e, d’odio acceso, Mordendo il labbro, fronte riccia, torvo, L’arcangelo colpì proprio nei denti. Suona un grido, vacilla Gabriele Ed il manco ginocchio a terra piega; Ma tosto sorge con novello ardore E a Satanasso un colpo inopinato Dà per la tempia. Quello geme pallido - E si lanciano l’uno in braccio all’altro. Gabriele né il Diavolo ha la meglio: Avvinti essi s’avvolgono pel prato, Bazza puntata sull’avverso petto, Allacciate, incrociate gambe e braccia, E a forza о coll’astuzia della scienza Ciascuno l’altro vuole trascinare.
Rammentate quel campo, non è vero? О amici, dove un tempo, a primavera, Lasciando Fatile, giocavamo liberi E ci dilettavamo in fiere lotte.
Stanchi, scordate dispute e discorsi, Così lottavan gli angeli tra loro. Il re infero, un pezzo di tipaccio, Stronfiava invano col destro nemico, E da ultimo, per farla finita, Abbatté a quello il suo piumato casco, Il casco d’oro, ornato di diamante. Per la soffice chioma indi impugnatolo, Lo calca indietro con possente mano Verso terra. Davanti a sé Maria Vede i giovani vezzi dell’arcangelo
E trepida per lui tacitamente.
Già rompe, il primo, già l’inferno plaude; Per buona sorte il lesto Gabriele
Dette al nemico in quel fatale posto (Superfluo in quasi tutte le battaglie),
Nel membro altero per cui pecca il Diavolo. Cadde il Maligno, ed implorò mercede E appena al buio inferno trovò via.
Al tumulto, alla portentosa pugna Guarda la bella quasi senza spiro;
Quando, la propria impresa, poi, compiuta, Benigno a lei l’arcangelo si volse,
Fuoco d’amore le si sparse in volto E le si colmò il cuore di dolcezza.
Gran Dio, com’era bella l’ebreina!...
Arrossì il nunzio e alieni sentimenti
Così dichiara in parole divine: «Ti saluto, innocente о tu Maria!
L’amore è teco, о bella tra le donne;
E beato il tuo frutto benedetto:
Salverà il mondo, evertirà l’inferno... Ma, ti confesso con aperto cuore, Suo padre è mille volte più beato! ». E, davanti a Maria inginocchiato, Le stringe intanto tenero la mano...
Bassi gli occhi, la bella sospirava, E il nostro Gabriele la baciava.
Arrossiva e taceva ella turbata,
E l’arcangelo osò toccarle il petto... «Lasciami dunque!» mormorò Maria,
E in quella fu da un bacio soffocato D’innocenza il postremo grido e lagno...
E adesso? Che direbbe Dio geloso? Bellezze mie, non ve ne date pena, О donne, voi d’amore confidenti, Ché voi sapete con felice astuzia Del fidanzato l’attenzione illudere E dei conoscitori l’occhio attento, E sulle tracce d’un gradito fallo
Dell’innocenza spargere i colori...
Dalla madre la figlia pazzerella Di sommesso pudore prende esempio
E false pene, e del finto timore Fa la parte nella fatale notte;
Ed al mattino, un poco raggiustata,
Pallida sorge, appena muove, è languida. Sposo, beato, loda Dio la madre, E il vecchio amico bussa alla finestra.
Già Gabriele con felice nuova
Vola traverso i cieli di ritorno.
Il confidente l’impaziente Dio
Accoglie con saluto beatifico:
«Che c’è di nuovo?». «Ho fatto il mio potere, Le ho palesato tutto». «Ed ella?». «E pronta! ». E il Re dei cieli, senza fare motto,
Sorse dal trono e col cenno dei cigli Tutti disperse, come il dio d’Omero Quando domava gli infiniti figli;
Ma la fede di Grecia è spenta ormai, Zeus non c’è più, ci siamo fatti furbi!
Inebriata del dolce ricordo, Nel suo cantuccio tacita Maria Sul gualcito lenzuolo riposava.
Arde l’anima di dolcezza e brama, Il giovan petto agita nuova fiamma. Chiama sommessamente Gabriele, Al suo amore apprestando arcano dono, Con il piede respinge la coperta, China, e sorride, l’occhio soddisfatto, E, nella vaga nudità felice, Di sua beltà stupisce lei medesima. Ma nel frattempo in dolce fantasia La bella pecca, languida, adorabile, E beve coppa di tranquilla gioia. Perfido Satanasso, puoi ben ridere!
E ve’! piumoso, a un tratto, d’ala bianca, Gentil colombo vola alla finestra, Che dapprima su lei svolazza e gira E va tentando liete melodie,
Poi ratto vola in mezzo ai suoi ginocchi, Sulla rosa si posa e trema tutto, Le dà di rostro, razzola, s’aggira, E a beccuccio e zampini si dà attorno. Lui, per l’appunto Lui! - Maria comprese Che nel colombo ne accoglieva un altro; Stretti i ginocchi, prese ella a gridare, A sospirare, a tremare, a pregare, Dette in pianto: il colombo pur trionfa, Nella fiamma d’amore freme e tuba, Poi cade, preso da leggero sonno, Ombreggiando coll’ala il fior d’amore.
E volato. La stanca, ora, Maria
Pensa: «Guarda un pochino bei giochetti! Uno, due, tre! - ma come mai faranno!
E stato un gran lavoro veramente: Son toccata in un solo e stesso giorno Al Maligno, all’arcangelo ed a Dio».
L’Altissimo, secondo l’uso, poi Riconobbe il figliuolo della giovane, Ma Gabriele (l’invidiata sorte!) Non cessò d’apparirle di soppiatto; Come molti, si consolò Giuseppe, Colla moglie restò senza peccato, Amò quale suo figlio Gesù Cristo, Per il che dal Signore fu premiato!
Amen! E come finirò la storia?
Scordate tutte le capestrerie, Io t’ho cantato, alato Gabriele, Di queste umili corde ho consacrato A te il fervido, il salutare canto: Proteggimi, da’ retta alle mie preci! Fin qui fui grande eretico in amore, Folle devoto di giovani dee, Malo arnese, fellone, amico al Diavolo... Tu benedici il pentimento mio!
Sarò fedele ai buoni intendimenti, Farò senno: ho veduto Elena, appunto; Della dolce Maria è bella al pari!
Quest’anima è per sempre a lei soggetta. Ai miei discorsi tu presta l’incanto, Rivelami il segreto di piacere, Brama d’amore accendile nel cuore, Se no mi do a pregare Satanasso!
Ma fugge il tempo, ed esso di canizie Il mio capo inargenterà pian piano, E gravi nozze con piacente donna M’uniranno davanti ad un altare. О di Giuseppe bel consolatore! Io ti prego, piegando le ginocchia, Di cornuti presidio e protettore, Io ti prego, mi benedici allora, Umiltà dammi allora e noncuranza, Dammi pazienza sempre rinnovata, Calmi sonni, fiducia nella sposa, Pace in famiglia e amore per il prossimo!

1821

  

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Descrizione: «La GABRIELEDE» o «La GABRIELADA»
Il poema di Aleksandr Pushkin con il soggetto romantico dell’ Annunciazione. 
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