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«IL FIORELLINO SCARLATTO»
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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
«IL FIORELLINO SCARLATTO» «АЛЕНЬКИЙ ЦВЕТОЧЕК»
«THE SCARLERLET FLOWER»

«Il Fiorellino Scarlatto» («Аленький Цветочек») di Serghej Aksàkov è la versione russa della fiaba tradizionale più conosciuta come «La bella e la bestia». Ho scritto «la versione russa» perché questa fiaba assomiglia alla fiaba conosciuta all’estero, ma in realtà e a dir il vero non è la sua traduzione in russo. La versione russa differisce molto da «La bella e la bestia» per il soggetto tipico russo. La fiaba fu scritta dallo scrittore russo Serghej Aksàkov (Сергей Аксаков, 1791-1859). Negli ultimi anni della sua vita Serghej Aksàkov scriveva il libro «Anni di infanzia di Bagròv nipote» («Детские годы Багрова-внука», 1858) e gli venne in memoria la sua clavigera Pelagheja la quale gli raccontava da bambino delle fiabe. Così lui scrisse a memoria questa fiaba del fiorellino scarlatto. La fiaba fu pubblicata nel 1858 e finora è una delle fiabe più amate dai bambini russi. È l’unica fiaba scritta da Aksakov. Si deve dire che Aksakov è un autore dei romanzi che descrivono con stile limpido la vita patriarcale dei grandi proprietari terrieri come «Cronache di famiglia» («Семейная Хроника», 1856). La fiaba «Il Fiorellino Scarlatto» («Аленький Цветòчек») ha come secondo titolo «La Fiaba della clavigera Pelagheja» («Сказка ключницы Пелагеи»). So che questa fiaba è tradotta in italiano da Stefania Jaconis. Nell’anno 1982 la Casa Editrice di Mosca «Progress» ha pubblicato questa fiaba in lingua italiana.
 
«In un regno qualunque di un paese qualunque viveva un ricco mercante. Egli possedeva ricchezze infinite – merci pregiate, perle, pietre preziose, monete d’oro e d’argento. Aveva inoltre tre figlie, tutte bellissime, soprattutto la minore. Egli amava le sue figliole più di tutte le ricchezze, le perle, le pietre preziose e le monete d’oro e d’argento, perché era vedovo e non aveva chi amare. Il mercante voleva un gran bene alle figlie maggiori, ma amava la figlia minore in modo particolare, perché era migliore e più affettuosa delle sorelle nei suoi riguardi. Un giorno questo mercante stava per partire per un viaggio d’affari, in un regno lontano, e disse alle figlie: - Figliole mie care, figliole mie adorate, per i miei affari devo recarmi in un regno tanto lontano che non so quanto tempo impiegherò…»

«В некиим царстве, в некиим государстве жил-был богатый купец, именитый человек. Много у него было всякого богатства, дорогих товаров заморских, жемчугу, драгоценных камениев, золотой и серебряной казны и было у того купца три дочери, все три красавицы писаные, а меньшая лучше всех; и любил он дочерей своих больше всего своего богатства, жемчугов, драгоценных камениев, золотой и серебряной казны по той причине, что он был вдовец и любить ему было некого; любил он старших дочерей, а меньшую дочь любил больше, потому что она была собой лучше всех и к нему ласковее. Вот и собирается тот купец по своим торговым делам за море, за тридевять земель, в тридевятое царство, в тридесятое государство, и говорит он своим любезным дочерям: - Дочери мои милые, дочери мои хорошие, дочери мои пригожие, еду я по своим купецким делам за тридевять земель, в тридевятое царство, тридесятое государство, и мало ли, много ли времени проезжу, не ведаю...»




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Zarevich
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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
http://alocvet.narod.ru/films/films1/films1.html[/quote]
Ne vidi qualche spezzone la scorsa estate - splendido. Mi sentii come se fossi di nuovo un pargoletto. In Love
  




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Огненный ангел
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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
Mi sono ricordato di avere questo cartone animato, ma non l'ho ancora visto.
Voglio vederlo senz'altro, così mi sentirò anch'io un pargoletto! Mr. Green
  



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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
Mi piacerebbe presentare il libro pubblicato nel 1982 dalla casa editrice «Progress» di Mosca «Il Fiorellino Scarlatto» Serghej Aksakov. È un’edizione russa pubblicata nella lingua italiana. La traduzione dal russo all’italiano di Stefania Jaconis.    

Serghej Aksakov Сергей Аксаков
«IL FIORELLINO ROSSO»
«АЛЕНЬКИЙ ЦВЕТОЧЕК»
Traduzione dal russo all’italiano di Stefania Jaconis  
Casa Editrice «Progress» Mosca 1982 (Pagine 33)
Издательство «Прогресс» Москва 1982



Ultima modifica di Zarevich il 26 Lug 2018 16:00, modificato 2 volte in totale 

Il Fiorellino Rosso 1.jpg
Descrizione: Serghej Aksakov
"IL FIORELLINO ROSSO"
IN ITALIANO
Traduzione dal russo di Stefania Jaconis
Edizioni "PROGRESS" Mosca 1982 
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Il Fiorellino Rosso 2.jpg
Descrizione: Serghej Aksakov
"IL FIORELLINO ROSSO"
IN ITALIANO
Traduzione dal russo di Stefania Jaconis
Edizioni "PROGRESS" Mosca 1982 
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Il Fiorellino Rosso 3.jpg
Descrizione: Serghej Aksakov
"IL FIORELLINO ROSSO"
IN ITALIANO
Traduzione dal russo di Stefania Jaconis
Edizioni "PROGRESS" Mosca 1982 
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Il Fiorellino Rosso 3.jpg







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Zarevich
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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
Il bel cartone animato del 1952, realizzato sulla fiaba di Serghej Aksàkov «Il fiorellino scarlatto» - «Аленький цветочек»
https://www.youtube.com/watch?v=YdyYS6HcR3w


  



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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
Film del 1977 «IL FIORELLINO SCARLATTO» «АЛЕНЬКИЙ ЦВЕТОЧЕК»
https://www.youtube.com/watch?v=tu1oikfVNz4

  



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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
Serghej Aksàkov Сергей Аксаков
«IL FIORELLINO SCARLATTO» «АЛЕНЬКИЙ ЦВЕТОЧЕК» «THE SCARLERLET FLOWER»
Traduzione dal russo all’italiano di Stefania Jaconis  
Casa Editrice «Progress» Mosca 1982 (Pagine 33)

Durante la mia assenza vi ordino di vivere in modo retto e di non bisticciare tra voi. Se così farete, vi porterò in dono le cose che più desiderate: vi do tre giorni per decidere quali doni desiderate e per farmelo sapere. Le figlie pensarono tre giorni e tre notti, dopo di che andarono dal padre e gli dissero quali erano i doni che desideravano. Per prima parlò la figlia maggiore, che s’inchinò davanti al genitore e disse: — Padre mio adorato, non mi portare broccati d’oro e d’argento, né pellicce di zibellino, né perle, ma portami invece una corona d’oro con pietre preziose, splendente come la luna, luminosa come il sole, tale che durante la notte rifulga come fosse giorno pieno. Il mercante rifletté per alcuni istanti e poi disse: — D’accordo, figlia mia cara, figlia mia adorata, ti porterò la corona che desideri. Conosco un uomo, in un paese al di là del mare, che me la può procurare: una principessa che vive in quel paese la tiene in un nascondiglio di pietra. Questo nascondiglio si trova in una montagna di pietra, alla profondità di tre metri, ed è chiuso dietro tre porte di ferro con tre catenacci. Non sarà un compito semplice, ma non vi sono difficoltà insormontabili per i miei denari. S’inchinò di fronte al padre la seconda figlia che disse: — Padre mio adorato, non portarmi broccati d’oro e d’argento, né pellicce di zibellino siberiano, né monili di perle, né corone d’oro con pietre preziose, ma portami invece uno specchio di cristallo orientale, purissimo, in cui io possa vedere riflesse tutte le bellezze della terra e tale che, guardandomi in esso, io non invecchi mai e veda la mia bellezza accrescersi sempre più.
Il mercante si mise a pensare e pensò per un tempo che dirvi non so, dopo di che pronunciò le seguenti parole: — D’accordo, figliola mia cara, buona e bella: ti porterò lo specchio di cristallo, ne possiede uno la figlia del re di Persia, la giovane principessa, di avvenenza indicibile e indescrivibile. Lo custodisce in un’alta torre di pietra, che si trova in cima a una montagna pure di pietra, alta trecento metri. Per accedervi bisogna passare attraverso sette porte di ferro con sette catenacci pesantissimi. Per arrivare in cima alla torre bisogna salire tremila scalini, su ognuno dei quali sta di guardia, giorno e notte, un guerriero persiano con una spada d’acciaio di Damasco, e le chiavi di quelle porte di ferro la principessa le porta sempre con sé nella cintura. Ma io conosco, al di là del mare, un uomo in grado di procurarmi questo specchio. Il compito che mi affidi è più difficile di quello di tua sorella, ma con i miei denari supererò ogni ostacolo. S’inchinò allora dinanzi a lui la figlia minore che disse: — Padre mio adorato, non portarmi broccati d’oro e d’argento, né zibellini siberiani, né monili, né corone di pietre preziose, né specchi di cristallo, ma portami invece un fiorellino rosso, di cui al mondo non ne esista uno più bello. Il mercante si mise a riflettere ancor più profondamente di prima, e rimase a pensare per un tempo che dirvi non so. Infine abbracciò la figlia minore, a lui più cara di tutte, la baciò, l’accarezzò e disse: — Il compito che mi hai dato è più difficile di quello delle tue sorelle. Come faccio a mettermi alla ricerca di una cosa che non conosco? Un fiorellino rosso posso ben trovarlo, ma come posso essere sicuro che al mondo non ne esiste uno più bello? Farò del mio meglio, ma non adirarti se non sarà proprio quello che vuoi. Egli congedò le care figlie e si preparò per il lungo viaggio al di là del mare; questi preparativi durarono per un tempo che non so dirvi, ma che è più lungo del tempo che occorre a raccontare una favola. Infine si mise in viaggio. Il mercante attraversò terre meravigliose al di là del mare e approdò in regni sconosciuti, dove comprò merci a un terzo del loro prezzo e vendette le sue tre volte più care, e scambiò merci con merci, ottenendo in sopraggiunta oro e argento. Caricò alcuni battelli di monete d’oro e li rimandò a casa. Trovò il dono che desiderava la figlia maggiore, una corona con pietre preziose che in piena notte riluceva come fosse giorno. E si procurò anche il dono promesso alla seconda figlia, uno specchio di cristallo purissimo, in cui si vedevano riflesse tutte le bellezze del mondo, tale che, guardandovisi, una fanciulla vedeva la sua bellezza accrescersi col tempo. Ma non riuscì a trovare il dono promesso alla figlia minore, la più amata: il fiorellino rosso più bello che esista sulla terra. Nei giardini degli zar, dei re e dei sultani egli vide una gran quantità di fiorellini rossi, alcuni di bellezza indicibile; ma nessuno poteva garantirgli che al mondo non ve ne fossero di più belli, e a lui stesso riusciva difficile crederlo. Un giorno, mentre era in viaggio con i fidati servitori attraverso aridi deserti e fitte foreste, fu assalito improvvisamente da banditi tartari, turchi e indiani. Per sfuggire al pericolo, il mercante abbandonò le sue carovane con le ricchezze e i servitori fedeli, e si rifugiò nel bosco oscuro, pensando: «Meglio essere sbranato da bestie feroci che cadere in mano ai banditi e finire i miei giorni in loro prigionia». Camminò a lungo per questo bosco fitto, impenetrabile, tenebroso e, man mano che camminava, sembrava che di fronte gli si aprisse un sentiero, come se gli alberi scostassero i loro rami di fronte a lui e i cespugli si scansassero per fargli strada. Se si voltava indietro, però, il bosco gli appariva più impenetrabile che mai, e cosi se guardava a destra о a sinistra. Il mercante si meravigliò, non riuscendo a capire cosa stesse accadendo, ma prosegui nel cammino lungo la strada che si apriva davanti ai suoi passi. Un giorno intero camminò, dal mattino alla sera, senza udire né il ruggito di una belva, né il sibilo di un serpente, né il grido della civetta, né il cinguettio degli uccelli, come se tutto intorno fosse coperto da un velo di morte. Calarono le tenebre: ovunque era buio pesto, ma la strada sotto i suoi piedi era illuminata a giorno. Continuò a camminare e, verso mezzanotte, vide dinanzi a sé un bagliore, come d’incendio, e pensò: «Evidentemente è il bosco che sta andando a fuoco: è meglio che non vada in quella direzione, che potrebbe essermi fatale». Si voltò all’indietro, ma il sentiero era scomparso e non c’era modo di proseguire; la stessa cosa avveniva se provava a dirigersi a destra о a sinistra. Se invece si muoveva in avanti, ecco che riappariva il sentiero. «Allora rimarrò fermo in questo punto e aspetterò che il bagliore vada da un’altra parte, о che scompaia del tutto». Rimase ad attendere, e in ogni caso non c’era scampo, il bagliore prese a dirigersi proprio verso di lui, raggiungendo il massimo fulgore proprio vicino a lui. Egli pensò un po’ e decise di continuare ad andare avanti, ormai certo della prossima morte. Si fece il segno della croce e andò avanti. Man mano che avanzava, il bagliore si faceva sempre più intenso, sempre più sembrava giorno pieno, ma non si sentiva il crepitio di un incendio. Infine giunse in un’ampia radura, in mezzo alla quale si trovava una casa che non era una casa, ma un palazzo principesco о reale. Il palazzo era tutto illuminato, risplendeva di ori, argenti e pietre preziose; riluceva ed era come ardente, ma non si vedeva fuoco: era come un rosso fuoco, tanto che faceva quasi male fissarvi lo sguardo. Le finestre erano tutte aperte e dall’interno arrivava una musica dolcissima, che il mercante non aveva mai sentito. Egli attraversò l’enorme e maestoso portale spalancato ed entrò nell’ampio cortile. La strada si trasformò in un vialetto lastricato di marmo bianco, i cui lati erano ornati da fontane zampillanti, grandi e piccole. Una scalinata tappezzata di panno rosso, con la balaustra dorata, immetteva nel palazzo. L’uomo entrò nella prima stanza, e non vide nessuno; in una seconda, in una terza: tutte vuote. Arrivò sino alla decima, vuota anch’essa.



Ultima modifica di Zarevich il 26 Lug 2018 16:03, modificato 2 volte in totale 





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Zarevich
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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
Ovunque l’arredamento era di tipo regale, di una sontuosità mai vista: oro, argento, cristalli orientali, avori finissimi. Il mercante si meravigliò di tale smisurata ricchezza e ancor più del fatto che non si vedevano né il padrone di casa né la servitù, mentre la musica continuava a suonare. A quel punto gli venne fatto di pensare: «È tutto bellissimo, manca solo qualcosa da mangiare» e all’istante gli comparve di fronte una tavola imbandita, con cibi prelibati e vini pregiati, serviti su piatti d’oro con posate d’argento massiccio. Senza indugio sedette a tavola e mangiò e bevve a sazietà, dato che non toccava cibo da un giorno. Il cibo era di bontà indicibile e tanto più egli lo apprezzò, avendo passato giorni e giorni in viaggio tra foreste e deserti. Si alzò da tavola e, con un certo imbarazzo, pensò che non poteva ringraziare nessuno per il lauto banchetto. Si era appena alzato, che il tavolo scomparve con tutto quanto, mentre la musica continuava a suonare. Il mercante, sbalordito da queste continue meraviglie, si mise a girare per le stanze sfarzose, pensando fra sé: «Adesso sarebbe bello stendersi e riposare un po’». Detto fatto: subito di fronte a lui apparve un letto intagliato in oro puro, su gambe di cristallo, con un baldacchino d’argento intarsiato di perle e un cuscino di morbidissime piume di cigno. Il mercante si stupì di questo nuovo prodigio e si stese sull’alto letto. Scostando le cortine d’argento si accorse che avevano la leggerezza e la finezza della seta. La stanza divenne buia e la musica si attenuò. L’uomo pensò: «Ah, potessi ora rivedere le mie figliole, almeno in sogno!», e si addormentò all’istante. Il mercante si svegliò quando il sole era già alto e quasi non riuscì a tornare in sé perché tutta la notte aveva visto in sogno le sue amate figliole, aveva visto che le due più grandi passavano il tempo in allegria e gaiezza e che solo la più piccola, la sua prediletta, era triste. Le due più grandi avevano ricchi fidanzati e si apprestavano a sposarsi senza neanche attendere la benedizione paterna, mentre la minore, bella come il sole, non voleva neanche sentir parlare di matrimonio fino al ritorno del padre. Il cuore dell’uomo si riempi di gioia, ma anche di tristezza. Si alzò dall’alto letto e accanto era già pronto per lui un abito, mentre dell’acqua veniva versata in un vaso di cristallo. L’uomo si lavò e si vesti e non si meravigliò neanche piu del nuovo prodigio: sul tavolo era allestita una ricca colazione, con tè e caffè. Dette le sue preghiere, fece colazione e di nuovo si mise a girovagare per le stanze, per ammirarle alla luce del sole. E tutto gli sembrò ancora più bello del giorno prima. Dalle finestre spalancate vide che attorno al palazzo vi erano giardini curati, con fiori di bellezza mai vista. Gli venne voglia di fare una passeggiata in quei giardini. Scese per un’altra scalinata, di marmo verde e malachite, con balaustre dorate, che portava direttamente ai giardini. Passeggiando ammirò i frutti maturi dai colori accesi, che veniva voglia di mangiare a guardarli, e i fiori di bellezza rara, delicatissimi, dai colori variopinti. Intorno volavano uccelli di strane specie, che sembravano ricamati d’oro e d’argento su un velluto verde, e cantavano canzoni paradisiache. Fontane altissime gettavano acqua, e si udiva il rigoglio di ruscelli cristallini. Il mercante continuava a passeggiare, e non sapeva più dove volgere lo sguardo e dove tendere l’orecchio. E camminò per un tempo che non so dirvi, ma che è più lungo di quello che si impiega a raccontarlo. E d’improvviso vide su un’altura verde un fiorellino di colore rosso, di bellezza indicibile e indescrivibile. Il cuore del mercante si riempi di gioia, si avvicinò al fiorellino, che emanava un profumo talmente intenso che l’effluvio si spandeva per tutto il giardino, con le gambe che gli tremavano dall’emozione e disse con voce piena di gioia: — Ecco il fiorellino rosso di cui non esiste più bello sulla terra, quello che mi ha chiesto la mia figliola prediletta. Dette queste parole, strappò il fiorellino rosso. In quello stesso istante, nel cielo privo di nubi lampeggiò un fulmine e risuonò il fragore di un tuono e sembrò che la terra fosse scossa da un sussulto. D’improvviso apparve, come scaturito dal nulla, un essere dalle fattezze mostruose, metà uomo e metà bestia, pauroso a vedersi, che con voce cavernosa disse:
— Che cosa hai fatto? Come hai osato, nel mio giardino, strappare il mio fiorellino preferito? Era la cosa che più avevo cara al mondo. Ogni giorno guardandolo il mio animo si placava e tu mi hai privato dell’unica consolazione della mia vita. Io sono il padrone del palazzo e del giardino, ti ho accolto come ospite e convitato di riguardo, ti ho dato da mangiare, da bere e da dormire e tu cosi mi ripaghi della mia bontà? La tua amara sorte sarà quella di pagare la tua colpa con la morte!… E l’eco rimandò le terribili parole: «Pagare la tua colpa con la morte». Il mercante tremava tutto per la paura. Si guardò intorno e vide che da tutte le parti, da ogni albero e da ogni cespuglio, dall’acqua e dalla terra, si propagavano emanazioni di una forza sovrannaturale e terribile. Il poveruomo cadde in ginocchio di fronte a quell’essere mostruoso e l’implorò con voce lamentosa: — Onesto signore, animale della foresta о mostro marino… non so come chiamarti. Ti prego, non distruggere la mia vita per un atto di ardire innocente, non farmi uccidere e concedimi di parlare prima di decidere della mia sorte. Io ho tre figlie, buone e belle e a me molto care. A ognuna di loro avevo promesso di portare un regalo: alla maggiore una corona di pietre preziose, alla seconda uno specchio di cristallo, e alla più piccola un fiorellino rosso che al mondo non ve ne siano di più belli. Sono riuscito a trovare quanto promesso alle due più grandi, ma il regalo per la figlia minore non sono riuscito a trovarlo. Vidi, nel tuo giardino, il dono che tanto avevo cercato, il fiorellino rosso più bello del mondo, e pensai che a un signore cosi ricco, generoso e potente, non sarebbe rincresciuto privarsi del fiorellino rosso che desiderava la mia figliola prediletta. Mi riconosco colpevole di fronte a te, ma perdona la mia stoltezza, lasciami tornare dalle mie amate figlie e regalami il fiorellino rosso per la mia figlia prediletta. Ti ripagherò in oro, quanto ne vorrai. Nel giardino risuonò una risata cavernosa, che esplose con fragore del tuono, e l’animale della foresta, о mostro marino, rispose al mercante con le seguenti parole: — Non so che farmene del tuo oro: ne ho già sin troppo. Tu non avrai da me alcuna pietà, i miei fedeli servitori ti uccideranno nel modo più crudele. Hai una sola via di scampo: io posso lasciarti tornare a casa e risparmiarti il castigo che meriti, se tu mi dai la tua parola di onesto mercante e la tua firma che invierai al posto tuo una delle tue buone, belle e care figliole. Io non le farò nulla di male, ella vivrà con me e godrà di tutto il rispetto e di tutta la libertà, dello stesso trattamento di cui hai goduto tu nel mio palazzo. Mi sono stancato di vivere solo e ho deciso di cercarmi una compagnia. Il mercante cadde a terra, gli occhi gli si riempirono di lacrime. Guardava il mostro, terrestre о marino, che aveva davanti e il suo pensiero andava alle buone e care figliole. Gettò un grido disperato, tanto il mostro era brutto a vedersi. A lungo rimase ad affliggersi, con le lacrime che gli sgorgavano dagli occhi. Infine proruppe, con voce rotta dal pianto: — Nobile signore, animale della foresta о mostro marino, cosa farò se le mie care e buone figliole non vorranno venire da te di loro volontà? Non posso mica legar loro mani e piedi e costringerle con la forza!… E come potranno arrivare fino a te? A me sono occorsi due anni, e io stesso non saprei dire per quali vie sono giunto sin qui.



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Zarevich
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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
Il mostro rispose:
— Non voglio nessuno contro la sua volontà: una delle tue figlie verrà qui per amore verso di te, di sua propria volontà; e se nessuna vorrà venire spontaneamente, allora ritorna tu stesso e sarai punito con una morte crudele. Quanto alla strada da fare, non è affar tuo, prendi questo anello: chi lo porta al dito mignolo della mano destra può trovarsi in un batter d’occhio nel luogo che desidera. Ti concedo tre giorni e tre notti di tempo. Il mercante rifletté a lungo e infine decise: «È meglio in ogni caso che riveda le mie figliole e dia loro la mia benedizione paterna. E se non vorranno risparmiarmi la morte, allora mi preparerò cristianamente a morire e tornerò dal mostro». Siccome non era un uomo ipocrita, espose le sue riflessioni, che comunque il mostro già conosceva. Vedendo che diceva la verità, questi non richiese neanche una promessa scritta si limitò a togliersi dalla zampa l’anello d’oro e a consegnarlo al mercante. Fece appena in tempo a metterlo al mignolo della mano destra che improvvisamente si ritrovò vicino alla porta del suo palazzo, nel momento in cui rientravano le carovane con i servi fedeli, con un carico di merci e d’oro pari a tre volte quello originario. Subito vi fu un gran tramestio, mentre le ragazze uscivano dalle loro stanze, dove stavano ornando scialli di seta con ricami in oro e argento. E tutte si misero a baciare il padre, a festeggiarlo e a coprirlo di carezze, in particolar modo le piu grandi. Ben presto si accorsero che il padre era cupo e aveva il cuore gonfio di tristezza. Le figlie maggiori gli si fecero da presso con domande, per sapere se per caso non aveva perduto le sue ricchezze. Solo la minore non aveva di questi pensieri e disse al padre:
— Non ho bisogno delle tue ricchezze, che si possono sempre ricostituire; dimmi piuttosto qual è la pena che ti affligge il cuore. Allora il padre disse alle care figliole:
— Non ho perso le mie ricchezze, che anzi ho accresciute
di tre о quattro volte. Altro è il motivo della mia tristezza, ma ve ne parlerò domani, perché oggi non voglio guastare la gioia del ritorno. Fece portare i bauli rivestiti di ferro e diede alla figlia maggiore una corona di oro arabico ornata di pietre preziose, che non bruciava nel fuoco e non si arrugginiva nell’acqua; consegnò poi il dono alla seconda: uno specchio di cristallo orientale, e alla minore, una brocca d’oro con il fiorellino rosso. Le figlie piu grandi, fuori di sé per la gioia, portarono i doni nelle loro stanze e stettero a rimirarseli per ore. Solo la minore, visto il fiorellino rosso, cominciò a tremare e infine scoppiò a piangere, come se avesse il cuore trafitto. Il padre turbato le disse:
— Come, figliola mia cara, non sei contenta del fiore che volevi? Al mondo non ne esiste uno piu bello.
La figlia prese il fiore senza alcuna gioia e baciò le mani del padre continuando a piangere lacrime amare. Presto ritornaro¬no le altre due figlie, che avevano guardato i regali in lungo e in largo e non riuscivano a riprendersi dalla gioia. Poi tutti si sedettero alle grandi tavole di quercia con tovaglie ricamate e si misero a mangiare cibi prelibati e a bere bevande pregiate, accompagnandoli con conversazioni amabili e piacevoli lazzi.
Alla sera vennero gli ospiti: parenti, amici, corteggiatori e sbafatori. La festa si prolungò fino a mezzanotte; il banchetto era di uno sfarzo che il mercante non aveva mai visto in casa sua ed egli era meravigliato e non riusciva a capire da dove venissero i servizi in oro e in argento e i cibi squisiti. La mattina seguente il mercante fece chiamare la figlia maggiore, le raccontò la sua avventura con tutti i particolari e le domandò se fosse disposta a salvarlo da morte crudele andando a vivere dal mostro. La figlia rifiutò recisamente, dicendo:
— Che salvi la vita del padre la figlia alla quale egli ha portato il fiorellino rosso.
Allora egli fece chiamare la seconda figlia, raccontò a questa la sua avventura, con tutti i particolari, e le chiese se fosse disposta a salvarlo da morte crudele andando a vivere dal mostro. Anche questa figlia rifiutò recisamente con le parole:
— Che salvi la vita del padre la figlia alla quale egli ha portato il fiorellino rosso.
Il mercante fece quindi chiamare la figlia minore e prese a raccontarle, con tutti i particolari, la sua avventura. Non aveva ancora finito il suo racconto che già la figlia prediletta gli stava davanti, in ginocchio, dicendo:
— Dammi la tua benedizione, о signore padre mio adorato: vado dal mostro terrestre о marino, per vivere presso di lui. Tu mi hai portato il fiorellino rosso e io devo salvare la tua vita.
Gli occhi del padre si riempirono di lacrime, abbracciò la figlia minore, la prediletta, e le disse queste parole:
— Figlia mia cara, buona e bella, figlia mia prediletta, abbi la mia benedizione paterna, tu che ti appresti a salvare tuo padre da morte crudele e di tua volontà decidi di andare a vivere dal mostro. Abiterai nel suo palazzo, in mezzo a grandi ricchezze e godendo di molta libertà. Dove si trova questo palazzo nessuno lo sa, non vi conduce né mulattiera né strada né pista di animale. Non sapremo nulla di te e neache tu di noi. Come vivrò il resto dei miei giorni senza vedere il tuo caro viso, senza udire le tue dolci parole? Mi separo da te forse per sempre, come se ti seppellissi ancora viva. Gli rispose la figlia prediletta:
— Non piangere, non ti lasciar prendere dalla tristezza, signore padre mio adorato. Io vivrò tra grandi ricchezze e in libertà e non ho paura del mostro: lo servirò con lealtà e sincerità e forse riuscirò addirittura ad addolcirlo. Non piangermi in vita, come fossi morta: se il Signore lo concederà, un giorno io tornerò da te.

  




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Zarevich
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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
Ma il vecchio mercante continuava a piangere e a singhioz¬zare, non riuscendo a trovare consolazione nelle parole della figlia. Giunsero le sorelle maggiori, che cominciarono a lamentarsi per la sorte della sorellina. Soltanto quest’ultima non piangeva e non si lamentava, e non dava neanche segni di tristezza, mentre si preparava per il viaggio verso terre sconosciute. Fece i bagagli e prese con sé il fiorellino rosso nella brocca d’oro. Passarono i tre giorni e le tre notti e giunse il momento del commiato. Il mercante baciò e accarezzò la figlia prediletta e, piangendo lacrime amare, le impartì la benedizione paterna. Prese da uno scrigno di ferro l'anello del mostro e lo mise al dito mignolo della mano destra dell’amata figliola che scompar¬ve all’istante. La fanciulla si ritrovò nelle grandi stanze del palazzo del mostro, stesa sul letto intagliato in oro con le gambe di cristallo, con il cuscino di piume di cigno e la cortina di seta d’oro, come se non si fosse mossa dal suo posto, come se vivesse lì da sempre e si fosse appena svegliata dal sonno notturno. Si sentivano le note di una musica dolcissima, quale la fanciulla non aveva mai udito. Si alzò dal letto di piume e vide che tutte le sue cose e il fiorellino rosso nella brocca d’oro erano disposte in ordine su una tavola di malachite e notò che la stanza in cui si trovava era piena di cose belle per tutte le esigenze: vi erano un letto, delle poltrone, uno spogliatoio e una toletta. Una parete era tutta di specchio, la seconda dorata, la terza d’argento e la quarta d’avorio e ornata di preziosi rubini. «Questa deve essere la mia camera da letto», si disse la fanciulla. Le venne voglia di visitare tutto il palazzo e si mise a girare per le grandi stanze, che ammirò per lungo tempo. Ogni stanza le appariva più bella dell’altra e tutto le sembrava piu bello che nel racconto dell’adorato padre. Prese con sé la brocca con il fiorellino rosso e si recò nel giardino, dove gli uccelli cantarono in suo onore le loro melodie paradisiache e gli alberi e i cespugli chinarono i loro rami al suo passaggio. Anche le fontane alzarono i loro getti e piu forte si fece sentire il gorgoglio dei ruscelli. Infine trovò la collinetta verde dove il padre aveva strappato il fiorellino rosso più bello del mondo. Allora prese il fiorellino dalla brocca d’oro con l’intenzione di rimetterlo al suo posto. Ma appena lo toccò, il fiorellino le volò via dalle mani e andò a posarsi sul suo stelo originario, dove la sua bellezza rifulse in modo particolare. La fanciulla si meravigliò di tale prodigio, si rallegrò per l’amato fiorellino rosso e ritornò alle sue stanze nel palazzo. Vide che in una delle stanze era apparecchiata una tavola e fece appena in tempo a pensare: «Evidentemente il mostro non è arrabbiato con me e in lui avrò un padrone gentile», che sulla parete di marmo bianco apparve, a lettere di fuoco, la scritta: «Non il tuo padrone sono io, ma il tuo servizievole schiavo. Sei tu la mia padrona, e io esaudirò con piacere qualunque desiderio ti venga in mente». Appena ella finì di leggere le parole di fuoco, come per incanto, la scritta scomparve dalla parete di marmo bianco. Le venne voglia di mandare una lettera al padre per dargli sue notizie. Come ebbe finito di formulare questo pensiero, davanti a lei apparvero della carta finissima, una penna d’oro e un calamaio. Si mise allora a scrivere al padre e alle amate sorelle: «Non piangete per me, non vi addolorate, poiché nel palazzo del mostro io vivo come una principessa. Non lo vedo e non lo sento, egli si limita a scrivermi, a caratteri di fuoco, sulla parete di marmo bianco. Sa tutto quello che mi passa per la testa e immediatamente esaudisce tutti i miei desideri, e non vuole che lo consideri il mio padrone, dice, anzi, che sono io la sua padrona». Finita di scrivere la lettera, ebbe appena il tempo di apporvi il sigillo che questa scomparve dalle sue mani e dalla sua vista, come non fosse mai esistita. La musica prese a suonare con più intensità e sulla tavola apparvero bevande prelibate e cibi succulenti serviti su piatti d’oro zecchino. La fanciulla sedette di buon umore, pur provando un po’ di solitudine, perché era abituata a mangiare sempre in compagnia. Mangiò e bevve al suono gradevole della musica. Quando, finito il pasto, decise di coricarsi, la musica sembrò allontanarsi e si attenuò per non disturbare il suo riposo. Dopo un sonno ristoratore decise di continuare la sua passeggiata per i giardini, che non aveva finito di vedere, per ammirarne tutte le bellezze. Gli alberi, i rami e i fiori si inchinavano al suo passaggio e i frutti dolcissimi, mele, pere e pesche, si offrivano alla sua bocca. Avendo passeggiato a lungo, più о meno fino a sera, decise di rientrare nelle sue stanze dove di nuovo trovò la tavola imbandita con cibi prelibati. Dopo cena tornò nella stanza dalle pareti di marmo bianco dove leggeva le parole di fuoco, e nello stesso punto vide, di nuovo a caratteri di fuoco, la seguente scritta: «Sei contenta, mia padrona, dei tuoi giardini, della tua dimora e del trattamento che ti è riservato?». Rispose allora, con voce felice, la bella figlia del mercante: — Non voglio essere chiamata tua padrona, ma voglio che tu sia sempre il mio padrone buono, gentile e affettuoso. Contro la tua volontà io non farò mai nulla e ti sono grata del trattamento che mi riservi. E come potrei non essere contenta? Penso che al mondo non vi sia niente di più bello dei tuoi giardini e della tua dimora. Io, almeno, non avevo mai visto siffatte meraviglie e a fatica mi riprendo dall’aver visto tante bellezze. Ho solo un po’ paura a dormire sola: nel tuo grande palazzo non c’è anima viva. Sulla parete apparvero le seguenti parole: «Non aver paura, mia bella padrona: non dormirai più sola, ma avrai accanto a te la tua serva fidata e amorevole. Il palazzo è pieno di anime, anche se tu non le vedi e non le senti, che insieme a me si occupano di te giorno e notte e si prendono ogni cura affinché non ti manchi nulla». La giovane e bella figlia del mercante si ritirò nelle sue stanze per dormire e accanto al letto vide la sua servetta fidata, impietrita dalla paura, che alla vista della padrona si rallegrò molto e, inginocchiandosi di fronte a lei, prese a baciarle le mani. Anche la padrona fu molto contenta di rivederla e la subissò di domande sul padre, sulle sorelle e sulla vita nella sua casa di fanciulla. Dopo di che raccontò a sua volta la vita che faceva e rimasero insieme a parlare fino all’alba. Così continuava a vivere la giovane figlia del mercante, bella come il sole. Ogni giorno trovava pronti per lei abiti nuovi, confezionati con stoffe e ornamenti talmente pregiati che non è possibile descriverli neanche in una favola. Ogni giorno, nuovi cibi e nuovi divertimenti: passeggiava per i boschi, andava in giro su cocchi senza cavalli. I boschi oscuri si aprivano davanti a lei facendole strada. Riprese anche i suoi lavori di ragazza: ricamava fazzoletti in oro e in argento e intesseva stoffe con perle. Cominciò a inviare doni all’amato padre, ma della stoffa più preziosa fece dono al padrone di casa, al mostro dall’animo gentile. Si mise ad andare sempre più frequentemente nella sala di marmo bianco a dire al padrone cose affettuose, a leggere sulla parete le sue risposte gentili. Passò un tempo che dirvi non so e la giovane figlia del mercante, bella come il sole, si abituò a questa vita. Ormai non si meravigliava più di nulla e niente la spaventava. Veniva accudita da servi invisibili che le davano da mangiare, la portavano sul cocchio senza cavalli, suonavano la musica ed esaudivano tutti i suoi desideri. Sempre più si affezionava la fanciulla al suo gentile padrone, poiché capiva che davvero la considerava la sua padrona e l’amava più di se stesso.
  




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Un giorno ebbe voglia di sentire la sua voce, di parlargli direttamente, senza andare alla stanza di marmo bianco, senza leggere le lettere di fuoco. Chiese dunque questo piacere al mostro, ma questi era molto titubante, poiché temeva di spaventarla con la sua voce cavernosa. Ella però insistette tanto che il padrone dall’animo gentile non seppe resistere e, per l’ultima volta, scrisse sulla parete di marmo queste parole: «Vieni oggi nel giardino e siediti nel tuo chiosco preferito, intrecciato di foglie e di fiori e di ad alta voce: «Parlami, mio schiavo fedele». Passato non molto tempo, la giovane figlia del mercante, bella come il sole, andò nel giardino e sedette nel suo chiosco preferito, tra i fiori, su un sedile di broccato e, col cuore che le batteva forte, pronunciò queste parole: — Non temere, padrone buono e gentile, di spaventarmi con la tua voce: ora che ho conosciuto tutta la tua bontà non mi può spaventare neanche il ruggito di una belva. Parlami pure senza temere. Allora senti un sospiro dietro di sé e poi le giunse una voce spaventosa, tonante e roca da far paura, con tutto che il mostro si limitava a sussurrare. All’inizio la fanciulla ebbe un brivido di terrore sentendo quel ruggito di belva, ma riusci a dominarsi e a nascondere la paura che provava e presto le parole di lui, dolci e affettuose, e i suoi discorsi pieni di saggezza, la tranquillizzarono e anzi le riempirono il cuore di gioia. Da quel giorno in poi continuarono a parlare, e andavano avanti cosi per tutta la giornata; si parlavano nel giardino, nei boschi e nelle stanze del palazzo. La figlia del mercante, bella come il sole, chiedeva: — Sei qui, mio buono e gentile padrone? E il mostro rispondeva:
— Si, mia bellissima padrona, il tuo fedele schiavo, il tuo amico fidato è qui. A lei non faceva più paura la sua voce terribile, e continuavano a parlare per ore e ore. Passò un tempo che dirvi non so e alla fanciulla, bella come il sole, venne voglia di vedere il mostro con i propri occhi, e gli chiese questo piacere. Per molto tempo il mostro glielo rifiutò, temendo di spaventarla, dato che era brutto quanto non posso dirvi, e non solo gli esseri umani, ma persino le belve della foresta venivano prese dal terrore e fuggivano di fronte a lui. Le rispondeva con queste parole: — Non chiedermi, mia bellissima padrona, di mostrarti il mio viso ripugnante e il mio corpo deforme. Alla mia voce ti sei abituata e ora viviamo in amicizia, non ci separiamo mai, mi vuoi bene per il grande amore che ti porto; ma vedendomi tu mi avresti in odio per la mia bruttezza, mi scacceresti da te e io ne morrei di dolore. Ma la fanciulla non stava a sentire le sue parole, lo supplicava con sempre maggiore insistenza, giurando che nessuna bruttezza poteva spaventarla e che non avrebbe smesso di amare il suo gentile padrone, e gli diceva: — Se sei vecchio, mi farai da nonno; se sei di mezza età, sarai per me come uno zio e se sei giovane, allora sarai il mio fratello e il mio amico per la vita. Per molto tempo il mostro non cedette a queste parole, ma infine le preghiere e le lacrime della fanciulla ebbero la meglio su di lui e un giorno le disse:
— Non posso oppormi al tuo volere, perché ti amo più di me stesso; quindi esaudirò il tuo desiderio, anche se so che con questo porrò fine alla mia felicità e finirò col morire. Vai nel giardino al tramonto, quando il rosso sole cala sul bosco, e di ad alta voce: «Fatti vedere, amico fedele!», e io ti mostrerò il mio viso terribile e il mio corpo deforme. E se per te diventerà impossibile continuare a vivere presso di me, non voglio che tu rimanga, soffrendo, contro la tua volontà: vai nella tua stanza da letto e sotto il cuscino troverai il mio anello d’oro. Mettilo al mignolo della mano destra e ti ritroverai dal tuo caro padre: di me non sentirai piu parlare. La figlia del mercante, bella come il sole, non ebbe paura, e si recò immediatamente nel giardino ad attendere l’ora fissata. Quando scese il crepuscolo e il rosso sole calò sul bosco, disse ad alta voce: — Fatti vedere, amico fedele!
Il mostro le apparve in lontananza, attraversò la strada e subito si nascose dietro i cespugli. La figlia del mercante, bella come il sole, sopraffatta dal terrore giunse le mani lanciando un grido di spavento e cadde a terra priva di sensi. E davvero il mostro, belva terrestre о essere marino, faceva paura a vedersi: le mani erano adunche, con artigli belluini, le gambe equine, il corpo tutto coperto di peli, con gobbe sul davanti e di dietro; dalla bocca spuntavano zanne di cinghiale, il naso era aquilino e gli occhi erano quelli di una civetta. Infine la fanciulla tornò in sé, si rialzò da terra e allora le giunse, frammisto a singhiozzi, il suono di una voce che diceva tra il pianto: — Tu mi hai condannato, mia bella e amata fanciulla, a non vedere piu il tuo viso dolcissimo, perché non vorrai neanche piu sentire la mia voce e io sarò costretto a morire. La fanciulla fu presa da dolore e compassione e, dominando la grande paura che provava, disse con voce ferma:
— No, non temere, mio padrone buono e gentile, io non sarò più presa da paura di fronte al tuo aspetto terribile e non mi separerò da te, dimentica dei tuoi gesti di bontà. Ora mostrati pure a me, adesso che è passato lo spavento iniziale. E lui di nuovo le si mostrò, in tutta la sua bruttezza, ma non osò avvicinarsi, per quanto lei lo chiamasse. Insieme passeggiarono fino al calar delle tenebre, continuando i precedenti discorsi pieni di saggezza e di tenerezza e la giovane figlia del mercante, bella come il sole, ormai non sentiva più alcuna paura. Il giorno seguente di nuovo si incontrò con il mostro alla luce del sole e sebbene all’inizio fosse presa da paura non lo dette a vedere e piano piano la paura le passò del tutto. Ripresero i discorsi di sempre e non si separarono per tutta la giornata: pranzarono e cenarono insieme, passeggiarono nel giardino e nella scura foresta. Passo del tempo, che non so dirvi quanto fosse, ma che e più lungo di quello che ci vuole a raccontarlo. Una notte la fanciulla sognó che il caro padre giaceva a letto malato e fu presa da grande tristezza. Il mostro la vide triste e con le lacrime agli occhi e le chiese il motivo del suo dolore. La fanciulla gli raccontó del suo sogno e gli chiese il permesso di andare a visitare l’amato padre e le care sorelle. E il mostro rispose:
— Perche mi chiedi il permesso? Hai tu l’anello d’oro: mettilo al mignolo della mano destra e ti troverai subito da tuo padre. Rimani con lui fino a quando non sentirai la mia mancanza, ma sappi che, se non tornerai fra tre giorni, io non sard piu al mondo: rnoriro alio scadere preciso di tre giorni e tre notti, poiche ti amo piu di me stesso e senza di te non posso vivere.
La fanciulla lo rassicuró e gli giuró che, esattamente un’ora prima dello scadere dei tre giorni, sarebbe tornata al suo palazzo. Quindi si accomiato dal suo gentile padrone, mise al dito l’anello e immediatamente si ritrovo nella casa del padre. Sali gli alti gradini della sua casa di pietra e subito le si fece incontro tutta la servitù, che l’accolse con grandi feste. Accorsero le sorelle e, vedendola, si sorpresero per la sua grande bellezza e per l’eleganza del suo abbigliamento; la presero per mano e la portarono dal padre, che davvero giaceva a letto, malato e pieno di tristezza, perche giorno e notte il poveruomo pensava alla figlia lontana. Gli occhi gli si riempivano di lacrime, vedendo dinanzi a se la sua prediletta, cara e buona figlia. Non credette ai suoi occhi e si meraviglio per la bellezza splendente della fanciulla e per il suo abbigliamento regale.

  




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A lungo i due rimasero a stringersi tra le braccia, baciandosi e scambiandosi tenerezze. La fanciulla raccontó al padre e alle sorelle maggiori della sua vita presso il mostro, senza nascondere nulla. Il mercante si rallegró della sua vita ricca. principesca, e molto si sorprese del fatto che ella si fosse abituata a guardare in volto il suo mostruoso padrone senza temerlo, mentre lui, al solo ricordo, veniva preso da brividi. Le sorelle, poi, sentendo questi racconti di sconfinate ricchezze e del grande potere che la fanciulla aveva sul suo schiavo padrone, erano prese da invidia. Il giorno passo come un’ora e ancor piu rapidamente passd il giorno successivo. Il terzo giorno le sorelle maggiori si misero a convincere la sorella minore a non tornare dal mostro: — Che crepi pure, e quello che si merita… Questa si arrabbió molto a sentire queste parole e disse loro: — Se ripago l’amore affettuoso del mio buon padrone con la sua morte crudele, io stessa non saró degna di vivere oltre, e meriteró di essere data in pasto alle belve feroci.
Il padre, l’onesto mercante, la lodo per le sue nobili parole e fu deciso che esattamente un’ora prima dello scadere del tempo la cara fanciulla sarebbe tornata dal suo mostro. La cosa non piacque alle sorelle che, prese da stizza, decisero di giocarle un brutto tiro: misero indietro di un’ora le lancette di tutti gli orologi della caśa, senza che il mercante ne la servitu se ne accorgessero. Quando giunse l’ora in cui avrebbe dovuto partire, il cuore si strinse in petto alla figlia del mercante, bella come il sole, che con apprensione si mise a guardare gli orologi del padre, inglesi e tedeschi, e si convinse che era ancora presto per mettersi in cammino. Le sorelle intanto continuavano a domandarle cose diverse per farle perdere tempo. Ma il suo cuore non resse molto: la fanciulla, bella come il sole, si accomiato dal mercante, che le dette la sua benedizione paterna, dalle sorelle e dalia fedele servitù. Un minuto solo prima dell’ora stabilita mise l’anello d’oro al dito mignolo della mano destra e come d’incanto si ritrovo nel palazzo di marmo bianco del mostro. Meravigliandosi di non vederlo al suo arrivo, esclamò: — Dove sei, mio buon padrone e amico fedele? Perché non sei ad attendermi? Io sono tornata, con un’ora di anticipo sul tempo stabilito. Non un suono di risposta, ma su tutto un silenzio di morte: nel giardino gli uccelli non cantavano le loro melodie paradisiache, le fontane non zampillavano e i ruscelli non gorgogliavano. Nel palazzo non risuonava alcuna musica. La fanciulla senti il cuore tremarle in petto, mentre veniva presa da uno strano presentimento. Attraverso correndo tutte le stanze del palazzo e tutti i giardini, chiamando a gran voce il suo buon padrone, ma nessuna voce le giungeva in risposta. Allora corse verso la collinetta dove cresceva il fiorellino rosso… e li lo vide, belva terrestre о mostro marino, steso sull’erba, con il fiorellino rosso stretto fra le zampe. Le sembró che si fosse addormentato, nell’attesa di lei e che ora dormisse di un sonno profondo. La fanciulla cercó con dolcezza di svegliarlo, ma lui sembrava non sentire nulla. Allora si dette a svegliarlo con più vigore, lo prese per la zampa pelosa e si accorse che il mostro giaceva ormai privo di vita. Il suo sguardo si annebbió, le gambe non la ressero più e cadde in ginocchio, strinse tra le bianche mani il capo del suo buon padrone, la sua testa orribile e deforme, e disse con voce piena di angoscia: — Rialzati, risvegliati, amico del mio cuore, e io ti arenerò come si ama uno sposo diletto! Come ebbe pronunciato queste parole, il cielo fu squarciato da lampi, da più parti la terra tremo per il fragore dei tuoni e una freccia di pietra andó ad abbattersi sulla collinetta verde. La fanciulla cadde priva di sensi e cosf giacque per un tempo che non vi so dire. Quando tornó in se, si trovò nel palazzo di marmo bianco, seduta su un trono d’oro ornato di pietre preziose, e vide che le era seduto accanto e le stringeva le mani, un giovane principe, bello come la luna, vestito in modo regale e con una corona sul capo. Di fronte a lui si trovavano il caro padre e le sorelle e tutt’intorno, in ginocchio, le rendeva omaggio un seguito regale, in vestiti di broccato con ornamenti in oro e argento. Il giovane principe, bello come la luna, le disse: — Tu mi hai amato, dolce fanciulla, nelle spoglie di mostro deforme, per il mio animo gentile e per l’amore che ti portavo. Amami ora nel mio aspetto umano e sii la mia diletta sposa. Una strega cattiva, in dispregio al re mio padre, mi aveva rapito ancora fanciullo e con un sortilegio diabolico mi aveva trasformato nell’essere mostruoso che hai visto, condannando - mi a vivere sotto queste spoglie, ripugnanti per qualunque essere umano, fintanto che non si trovasse una bella fanciulla, chiunque essa fosse, che mi amasse anche in quelle sembianze e desiderasse diventare mia sposa. Allora l’incantesimo sarebbe finito e io sarei tornato ad essere il giovane di prima. Con quelle sembianze io ho vissuto esattamente trent’anni, durante i quali invitai nel mio palazzo undici belle fanciulle, tu fosti la dodicesima. Nessuna mi amo per la mia tenerezza e nobilta d’animo, per la mia bontà. Tu sola amasti me, mostro deforme e ripugnante, per il mio affetto, per la bontà del mio animo, per l’infinito amore che ti portavo e per questo diventerai la sposa di un grande re, la regina di un regno potente. Tutti si meravigliarono a sentire questa storia e gli uomini del seguito si chinarono di fronte a lei in segno di devozione. Il mercante dette la sua benedizione alla figliola prediletta e al giovane principe. Le sorelle maggiori, piene di invidia, si felicitarono con i fidanzati, si felicitarono anche i fedeli servitori, i nobili e i cavalieri e tutti insieme si misero a preparare la festa per le nozze.

Traduzione dal russo all’italiano di Stefania Jaconis

Serghej Aksakov Сергей Аксаков
«IL FIORELLINO ROSSO» «АЛЕНЬКИЙ ЦВЕТОЧЕК»  
Casa Editrice «Progress» Mosca 1982 (Pagine 33)



  




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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
«Il fiorellino scarlatto» («Аленький цветочек») è una fiaba dello scrittore russo Serghej Aksakov, da lui registrata dalle parole della governante Pelageja. Una delle tante variazioni sulla trama de «La Bella e la Bestia». Il racconto fu pubblicato per la prima volta da Serghej Aksakov nel 1858 come appendice all'autobiografia «L'infanzia di Bagrov il nipote», in modo che, come notò lo stesso autore, non interrompesse la storia della sua infanzia.
  




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Messaggio «IL FIORELLINO SCARLATTO» 
 
Qui in questa pagina dedicata alla famosa fiaba di Serghej Aksàkov, «Il fiorellino scarlatto» («Аленький цветочек»), puoi trovare il testo completo qui sopra per la lettura. Nel 1982 la Casa Editrice moscovita «Progress» («Прогресс») pubblicò un libro in italiano, «Il fiorellino scarlatto», tradotto dal russo in italiano da Stefania Jaconis, che allora collaborava con la casa editrice moscovita. La traduzione è molto buona e la fiaba in sé è molto bella, magica e molto commovente. Il libro è stato pubblicato in un grande formato, solo 32 pagine e bellissime illustrazioni. Tutti i bambini russi conoscono questa fiaba. I loro genitori gliela leggevano quando erano bambini, e poi loro stessi leggevano questa fiaba. Sulla base di questo racconto, nel 1952, il regista Lev Atamanov realizzò un magnifico cartone animato a figura intera e nel 1977 fu girato anche un lungometraggio. L'autore della fiaba è il famoso scrittore russo Serghej Aksàkov (Сергей Аксаков, 1791-1859), personaggio ufficiale e pubblico, critico letterario e teatrale, giornalista, autore di libri sulla pesca e la caccia, oltre al collezionismo di farfalle. Padre di scrittori e personaggi pubblici russi: Konstantin, Vera, Grigorij e Ivan Aksakov. Serghei Aksakov ha scritto l'opera «Gli anni dell'infanzia di Bagròv il nipote» («Детские годы Багрова-внука»), che mostra in dettaglio il cambiamento nel mondo spirituale dell'eroe man mano che cresce e si è guadagnato la reputazione di una delle migliori opere d'arte sullo sviluppo di un bambino. In appendice a questo suo libro, Serghei Aksakov ha inserito nel libro la fiaba «Il fiorellino scarlatto» (Il racconto della governante Pelagheja). Successivamente, questa fiaba, che è un altro adattamento letterario della trama della Bella e la Bestia, fu pubblicata più volte separatamente, diventando l'opera più pubblicata di Serghej Aksakov.
  

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Descrizione: Serghej Aksakov «IL FIORELLINO ROSSO»
Casa Editrice «Progress» Mosca 1982 (Pagine 33) 
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