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«I FRATELLI BRIGANTI» di Aleksandr Pushkin
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Messaggio «I FRATELLI BRIGANTI» di Aleksandr Pushkin 
 
«I FRATELLI BRIGANTI» di Aleksandr Pushkin
«БРАТЬЯ РАЗБОЙНИКИ» Александра Пушкина

«I Fratelli briganti» («Братья разбойники») il poema di Aleksandr Pushkin basato sugli eventi reali. Il poema scritto e pubblicato nel 1825. Il poema «I Fratelli briganti» entra nella serie dei cosiddetti «Poemi meridionali» («южные поэмы») di Aleksandr Pushkin:    
•«Il prigioniero del Caucaso» («Кавказский пленник», 1820-1821)
•«La fontana di Bakhcissaraj» («Бахчисарайский фонтан», 1822)
•«Gli Zingari» («Цыганы», 1824)
•«I fratelli briganti» («Братья разбойники», 1821-1825)


Come branco di corvi accorre a volo
Su mucchi d’ossa putride,
Sulla Volga, di notte, attorno ai fuochi
S’è adunata d’arditi una masnada.
Che mescolanza d’abiti e di volti,
Di genti, di favelle e condizioni!
Da capanne, da celle, da prigioni,
Per le loro rapine sono accolti!
Qui un solo scopo e in tutti i cuori –
Vivono senza autorità, ne legge.
Si vede in mezzo a loro il fuggitivo
Del Don dalle guerresche rive,
E in neri riccioli l’ebreo,
Ed i selvaggi figli delle steppe,
Il calmucco, il deforme baschiro,
Il fulvo finno, e nella sua pigrizia
Lo zingaro dovunque nomade!
Periglio, sangue, corruzione, inganno
Dell’orrenda famiglia sono i vincoli;
V’è chi con animo indurito
Passò per tutti i gradi della ribalderia;
Chi scanna con indifferente mano
La vedova col povero orfanello,
Chi ride al lagno dei fanciulli,
Chi non perdona, non risparmia,
Chi si rallegra nella strage
Come a convegno d’amore il giovane.
S’è chetata ogni cosa, ora la luna
Su loro versa il suo pallido lume,
E la coppa di vino spumeggiante
Passa di mano in mano.
Distesi sulla nuda terra,
D’inquieto sonno alcuni s’addormentano,
E volano lugubri sogni
Sul loro capo criminoso.
Ad altri abbreviano i racconti
Il tempo ozioso della cupa notte;
Tutti si son taciuti - li occupa
D’un forestiero il racconto,
E tutto intorno ad esso ascolta:


«Due s’era: mio fratello ed io.
Crescemmo insieme; la nostra infanzia
Nutrì famiglia straniera:
Non era vita lieta, a noi fanciulli;
Conoscevamo già la voce del bisogno,
Amaro sprezzo soffrivamo,
E ci agitó ben presto
Il tormento della crudele invidia.
Non era agli orfani restata
Ne capanna, ne campo;
Noi vivevamo in pena, tra gli affanni,
Ci venne a noia questa sorte,
E ci accordammo tra di noi
Altro destino di provare:
Ci prendemmo a compagni
Pugnale damaschino e buia notte;
Scordammo репе e tema
E scacciammo lontano la coscienza.


Ah, gioventù, gioventù ardita!
Era, la vita, nostra allora,
Quando, sprezzando morte,
Dividevamo tutto a mezzo.
Appena che la chiara luna
Sorgeva e si fermava in mezzo al cielo,
Dal sotterraneo noi nel bosco
Andiamo all’arte nostra perigliosa.
Dietro un albero stiamo ed aspettiamo:
Venga in tardo cammino
Un ebreo ricco o un prete povero, -
E nostro tutto! tutto ci prendiamo.
D’inverno, a notte fonda,
L’ardita troica attacchiamo,
E canti e fischi, e come frecce
Voliamo sull’immensità nevosa.
Chi non temeva il nostro incontro?
Vedevamo in una taverna luce –
Andiamo! All’uscio, e giù picchiamo,
Chiamiamo forte la padrona,
Entriamo - tutto senza spesa: bere, mangiare
E le belle ragazze accarezziamo!


Ma che? ci caddero, i gagliardi;
Non a lungo i fratelli fecero bella vita;
Ci agguantarono - e i fabbri
Ci incatenarono uno all’altro,
E le guardie ci misero in prigione.




Ultima modifica di Zarevich il 03 Ago 2018 11:19, modificato 2 volte in totale 





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Zarevich
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Messaggio «I FRATELLI BRIGANTI» di Aleksandr Pushkin 
 
Его più vecchio io di cinque anni
E più di mio fratello potevo sopportare.
In catene, tra mura soffocanti,
Io stavo bene - lui languiva.
Respirando a fatica, oppresso dall’angoscia,
Smemorato, coll’infiammata testa
Piegata sulla spalla mia,
Moriva, ripetendo senza posa:
«Soffoco qui… nel bosco voglio andare…
Acqua, acqua!…» ma invano
Davo acqua al sofferente,
Che la sete daccapo lo tormenta,
E gronda tutto di sudore.
Il sangue ed i pensieri gli agitava
Febbre di morbo velenoso;
Ormai più non mi conosceva
E non cessava di chiamare
A se il compagno, amico suo.
Diceva: «Dove mai ti sei nascosto?
Dove hai diretto i tuoi segreti passi?
Perché m’ha mio fratello abbandonato
In mezzo a quest’infetto buio?
Non fu lui stesso che dai quieti campi
M’attrasse al bosco folto,
E lì di notte, potente e terribile,
Per primo m’insegnò ad uccidere?
Senza me ora in libertà
Nell’aperta campagna va da solo,
E mena la pesante mazza
E nel proprio invidiabile destino
Del suo compagno s’e scordato!…».
О in lui si riaccendevano
Dell’importuna coscienza i tormenti:
Gli si affollavano innanzi fantasmi,
Minacciando col dito da lontano.
E più spesso l’immagine d’un vecchio
Da noi scannato tanto tempo prima,
Gli veniva alia mente;
E, coprendosi gli occhi colle mani,
Per il vecchio così lui mi pregava:
«Fratello! abbi pietà delle sue lacrime!
Non lo scannare nella sua vecchiezza…
Mi fa paura il suo grido decrepito…
Lascialo andare - non puo farci male;
Non v’è goccia di sangue calda in lui…
Non ridere, fratello, dei capelli canuti,
Non tormentarlo… forse che colle sue preghiere
Addolcira per noi l’ira divina!…».
Ascoltavo, vincendo l’orrore;
Placare avrei voluto il pianto dell’infermo
E allontanare i vani sogni.
Vedeva danze di morti,
Venuti al carcere dai boschi -,
E udiva il loro orrendo mormorio,
О d’un tratto una prossima pesta d’inseguitori,
E selvaggio brillava il suo sguardo,
Gli si rizzavano i capelli,
E tremava tutto come foglia.
Oppure già si figurava
Folle di gente nelle piazze,
Ed il tremendo andare al luogo del supplizio,
Lo staffile, i carnefici terribili…
E, fuor di senso, pieno di spavento,
Mi cadeva sul petto, mio fratello.
Cosi passavo giorni e notti,
Non avevo riposo un sol minuto,
Ne sapevano sonno gli occhi nostri.


Ma giovinezza fece la sua parte:
Tornarono le forze a mio fratello,
Passo la brutta malattia,
E con essa svanirono i fantasmi.
Rinascemmo. Ed allora più forte
Ci struggemmo per la passata sorte;
Ai boschi, a libertà volava l’anima,
Bramava l’aria dei campi.
C’erano invisi il buio della cella,
Tra le sbarre la luce dell’aurora,
Gridò di scolte, suono di catene,
E il frullo dell’uccello di passaggio.
Per le strade, una volta,
In catene, pel carcere del luogo
Raccoglievamo l’elemosina,
E ci accordammo in segreto
Di compile l’antico desiderio;
Rumoreggiava da una parte il fiume,
Noi vi corremmo - e poi dall’alte ripe
Paf! ci gettammo nelle acque profonde.
Di comuni catene risoniamo,
Battiamo l’onde con piedi concordi,
Vediamo un’isola sabbiosa
E, fendendo la rapida corrente,
Tendiamo a quella.
Dietro a noi Gridano: «Piglia! piglia! fuggono!».
Due guardie nuotano lontano,
Noi già sull’isola atterriamo,
Con pietra le catene ci spezziamo,
L’un l’altro a pezzi gli abiti strappiamo,
Dall’acqua appesantiti…
Vediamo che ci danno dietro;
Ma arditi, pieni di speranza,
Sediamo ed aspettiamo. Uno già affoga,
Ed ora beve ora si lagna,
E cola a picco come piombo.
L’altro ha passato già il profondo:
Caparbio, col fucile in mano, a guado,
Senza dar retta al grido mio,
Viene, ma nella testa
Due pietre gli volarono diritte -
E schizzó il sangue sopra l’onde;
Annegò - noi nell’acqua nuovamente,
Darci la caccia non osarono,
Potemmo giungere la riva,
E nel bosco. Ma il povero fratello…
Strapazzo e freddo d’autunno dell’acqua
Gli ritolsero le recenti forze:
Daccapo lo fiaccó la malattia,
Ed i cattivi sogni lo assediarono.
Per tre giorni l’infermo non parlo,
Ne chiuse gli occhi al sonno;
Il quarto, d’una triste cura
Pareva fosse pieno;
Mi chiamó, mi serró la mano,
Lo spento sguardo rifletteva
La pena soverchiante;
La sua mano tremò, lui sospirò
E s’addormi sopra il mio petto.


Sul freddo corpo restai,
Per tre notti non me ne separai,
Sempre aspettavo, forse non si destasse il morto.
Piangevo amaramente. Infine
Presi una vanga; ed una prece da peccatore
Recitai sulla fossa del fratello,
E il corpo nella terra seppellii…
Alle passate poi rapine
Mi feci solo… Ma quegli anni andati
Piu non tornano: sono andati e basta!
Banchetti, liete notti
E le nostre incursioni tempestose –
La tomba del fratello tutto ha preso.
Mi traggo triste, solitario,
Mi s’e indurita l’anima crudele,
E nel cuore la compassione e morta.
Ma le rughe risparmio qualche volta:
Mi fa paura di scannare un vecchio;
Sull’indifesa canizie
Non s’alza la mia mano.
Ricordo come nel crudele carcere
Infermo, in ceppi, senza forze,
Smemorato nella profonda angoscia
Pel vecchio mi pregava mio fratello».
1821-1825

Traduzione dal russo all’italiano di Tommaso Landolfi

  

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