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«IL GIOCATORE» di Fiodor Dostojevskij
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Messaggio «IL GIOCATORE» di Fiodor Dostojevskij 
 
«IL GIOCATORE» («ИГРОК»), un romanzo di Fiodor Dostojevskij, pubblicato nel 1866. Fiodor Dostojevskij analizza il gioco d'azzardo in tutte le sue forme con i diversi tipi di giocatori, dai ricchi nobili europei, ai poveretti che si giocano tutti i loro averi, ai ladri tipici dei casinò. È anche uno studio delle diverse peculiarità delle popolazioni europee: l'altezzoso barone tedesco, il ricco gentleman inglese e il francese manipolatore.

L'Italia somiglia sempre più a Roulettenburg, e gli italiani sono diventati un popolo di giocatori.
Il fenomeno del gioco d'azzardo in Italia è aumentato vistosamente negli ultimi dieci o quindici anni, e basta fare un attimo mente locale sulla grande quantità di giochi, tutti naturalmente gestiti e offerti dallo Stato, tutti a portata di chiunque: scommesse sportive, lotterie ad estrazione ed immediate, bingo, videopoker, slot machine, lotto, tombola, carte, dadi... e sullo spazio che occupano nei mass-media, per rendersi conto del boom di questo fenomeno. In televisione si moltiplicano le trasmissioni demenziali di giochi a premi, con quiz o altre cose del genere. Ovunque si vede gente che gioca. In televisione ci sono solo concorrenti, i giornali fanno i loro concorsi, le ricevitorie di scommesse prolificano; nei tabaccai e nei bar sono tutti a giocare le loro schede, o ad acquistare biglietti della lotteria, o gratta e vinci; ogni bar ha diversi videopoker o slot-machine in cui c'è sempre seduto qualcuno a giocare. Perfino quando vai a comprare le patate al supermercato ti vogliono far comprare un "gratta e vinci"! In ogni momento c'è qualcuno che gioca, o sta pensando di giocare, o sta aspettando l'esito della sua giocata. Le vincite delle lotterie raggiungono di continuo nuovi record storici, come è appunto il caso attuale, in cui alla lotteria del Superenalotto, dove da molto tempo nessuno indovina la combinazione vincente, l'ammontare ha raggiunto circa 120 milioni di euro, e continuerà a salire finché qualcuno non vincerà. Ora, a parte che personalmente mi domando cosa debba farci una sola persona, od anche una sola famiglia, con una somma del genere, sufficiente a far vivere bene diverse decine di persone, ma questa ovviamente è una considerazione personale; ebbene, il fenomeno che trovo assai interessante - in quanto difficilmente spiegabile razionalmente - è quello che al crescere del premio, aumenta in proporzione anche il numero dei giocatori. Questo significa che in questi giorni sta giocando a questo gioco anche chi non vi ha mai giocato prima, oppure che chi di solito gioca una volta ogni tanto, per caso, ora sta giocando quasi sistematicamente. E questo l'ho potuto verificare anche di persona con parenti, amici e colleghi. Quello che trovo curioso è che io sarei spinto a giocare sapendo che sono aumentate le mie probabilità di vincere, piuttosto che se è aumentata la vincita ma le probabilità rimangono le stesse. Insomma, record a parte, bisogna comunque ricordare che a questo tipo di lotteria le vincite sono sempre dell'ordine di milioni di euro. E giocare soltanto - o più spesso, o più soldi - in concomitanza di premi record di questo tipo, è un po' come se nella propria testa si dicesse
"Be', ora sì. Per cento milioni di euro, un paio di euro li posso pure spendere per tentare la fortuna. Ma altrimenti....cinque milioni di euro, e cosa ci faccio? non vale proprio la pena. No, meglio non buttare questi due euro, tanto non vincerò mai...".
Io non ho nessun quoziente per il gioco d'azzardo. Sono completamente refrattario a qualsiasi gioco d'azzardo, ma osservo che per moltissima gente il gioco d'azzardo è una componente della loro vita quotidiana e che sebbene le tipologie di giochi d'azzardo offerti dallo Stato continuino ad aumentare, e quindi l'offerta a salire, la domanda non accenna assolutamente a diminuire, e questo è un dato forse un po' preoccupante.
In ogni modo... Buona fortuna! Wink

  



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Messaggio «IL GIOCATORE» di Fiodor Dostojevskij 
 
Molto interessante la tua analisi di questo fenomeno sociale, Myshkin!
In effetti anch'io mi sono chiesto cosa possa farsene una sola famiglia/persona di tutti quei soldi ... beh comunque quando uno ce li ha in tasca trova sempre il modo di usarli, ma a parte questa banale considerazione credo veramente che siano troppi e che andrebbero distribuiti meglio, magari creando un "tetto" limite oltre il quale la parte in più del montepremi venga usato dalla collettività per opere di interesse comune, per esempio la costruzione di nuovi ospedali, l'acquisto di macchinari sanitari, ambulanze, il restauro delle opere d'arte, ecc...
Anche se in passato mi sono lasciato tentare talvolta dalla classica giocata alla schedina del Totocalcio, le cui vincite spesso sono veramente ridicole (una volta ho giocato un super-sistema con un gruppo di amici, versando 10 euro a testa, e in effetti abbiamo vinto, realizzando un 12; peccato che i 12 vincitori fossero diverse migliaia, cosicchè l'ammontare della vincita arrivò a 3 euro scarsi a testa...) adesso però mi ritengo totalmente immune e provo un interesse pari allo zero per questi apparati ludici mangia-stipendi inventati dallo Stato.
Chi gioca regolarmente è come preda di un raptus, e, posseduto dal demone del gioco, ben difficilmente si rende conto di quanti soldi butta dalla finestra. Certo c'è quella remota possibilità di azzeccare il numero magico che cambia la vita, ma inseguire la felicità in questo modo non è il mio ideale!
Ricordiamoci del "Giocatore" di Dostoevskij!!

  



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Messaggio «IL GIOCATORE» di Fiodor Dostojevskij 
 
«I GIOCATORI»
Che bella e interessante discussione! Peccato che sia finita nel 2009. Speriamo di vedere qualcuno che potrà continuare questo bel discorso!
Zarevich



Ultima modifica di Zarevich il 06 Apr 2018 07:00, modificato 2 volte in totale 





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Zarevich
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Messaggio «IL GIOCATORE» di Fiodor Dostojevskij 
 
Scrivo per segnalare uno spettacolo teatrale che ho visto poche sere fa, tratto dal romanzo Il giocatore di Dostoevskij. L'adattamento teatrale intreccia la vicenda narrata (la passione del protagonista per il gioco d'azzardo e per una donna) con la vicenda reale della scrittura del romanzo (dettato da Dostoevskij ad una giovane stenografa sotto l'urgenza di una consegna entro un mese).
Gli attori protagonisti, Daniele Russo e Camilla Semino Favro, interpretano sia il personaggio immaginario sia quello reale (Aleksej/Dostoevskij e Polina/Anna Grigor’evna) e la vicenda, segnata da un clima convulso e ossessivo, trascolora continuamente da un piano all'altro.
La scenografia e gli oggetti scenici sono essenziali, ma assumono molteplici significati con il variare delle situazioni.
La cosa che più mi ha colpito è il "prendere vita" sul palcoscenico dei personaggi del libro, evocati dalle parole di Dostoevskij che detta improvvisando.
Riporto di seguito il link con il trailer dello spettacolo:
https://www.youtube.com/watch?v=ej1lFD1bsgI
Se qualcuno ha avuto occasione di andarlo a vedere, mi farebbe piacere conoscere la sua opinione.

Approfitto del forum per chiedere se il film 26 giorni dalla vita di Dostoevskij, di cui parlate in un post, che narra proprio la vicenda della genesi del Giocatore, esiste con sottotitoli in inglese (purtroppo non conosco il russo).
Grazie, un saluto
  



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Messaggio «IL GIOCATORE» di Fiodor Dostojevskij 
 
Cara amica! Ti ringraziamo per la tua interessantissima segnalazione teatrale. Hai fatto bene di venire da noi. Il nostro forum «ARCA RUSSA» è un posto adatto per il tuo racconto degli spettacoli teatrali.  
Penso che tu conosca anche la nota opera lirica di Serghej Prokofiev sull’omonimo romanzo di Fiodor Dostojevskij «Il Giocatore» («Игрок»).
«Il Giocatore», non si può dire che questo romanzo di Dostojevskij è trascurato dalla parte del lettore, comunque dalla parte del lettore russo. Il tema dell’azzardo al pubblico russo era sempre vicino e interessante. La storia della creazione del romanzo «Il Giocatore» è curiosa. Il romanzo fu scritto mentre Fiodor Dostojevskij stesso perse molto denaro al gioco e dovette scrivere il romanzo per coprire tutti i suoi debiti. Il libro fu scritto in fretta per l’adempimento del contratto a termine. La descrizione della psicologia del giocatore d'azzardo dall’autore stesso che era un giocatore è una cosa incredibile.
Quanto al film del 1980 del regista Aleksandr Zarkhì «26 giorni dalla vita di Dostojevskij» («26 дней из жизни Достоевского») lo si può guardare sul nostro forum, ma purtroppo senza titoli stranieri, solo in russo.  
http://www.arcarussa.it/forum/viewtopic.php?t=2485&highlight=


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Zarevich
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Messaggio «IL GIOCATORE» di Fiodor Dostojevskij 
 
Grazie per il caloroso benvenuto e per le indicazioni!
Ho tentato di guardare il film in russo con la traduzione automatica dei sottotitoli, ma il risultato era tra l'incomprensibile e l'esilarante.
Mi è sembrato di capire però che segua la falsariga delle Memorie di Anna Grigor'evna, libro di cui non conoscevo l'esistenza fino a quando non ho visto Il giocatore a teatro: ho visto che in Italia è stato tradotto con il titolo Dostoevskij mio marito e mi riprometto di leggerlo a breve, sperando che mi sarà di aiuto per la comprensione del film.
Come hai ricordato, la genesi del Giocatore è davvero singolare, e l'unico appunto che posso muovere allo spettacolo teatrale è di non aver forse sottolineato abbastanza i forti tratti autobiografici del testo.
Buona serata, a presto
  



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«IL GIOCATORE» «ИГРОК»

Vorrei aggiungere alcune parole al nostro discorso del celebre romanzo di Fiodor Dostojevskij «Il Giocatore» («Игрок»). Il fatto è che è difficile determinare in modo univoco il genere del romanzo. È una sintesi della linea comica della «nonnina» cioè in russo «бабуленька», Antonìda Vasiljevna, l'anziana nonna proprietaria della futura eredità, la linea d’amore di Polina, del marchese des Grieux, di Aleksej, di Mr.Astley, di M.lle Blanche ed anche la linea d’avventure il marchese des Grieux, M.lle Blanche, i polacchi in casino. Parecchie pagine sono dedicate alle riflessioni filosofiche dell’autore. Tutto completa la roulette che è un simbolo della vita e del destino. In certo senso è un simbolo dei rapporti e delle relazioni reciproche fra i personaggi. Il romanzo si può dividere in tre parti. La prima parte, la più grande, mostra la nascita della passione folle e causa che portano il protagonista alla sala da gioco. La seconda parte mostra la grossa vincita e la degradazione morale. La terza parte è una completa degradazione di Aleksej. Come contrappeso ad Aleksewj nel romanzo c’è ancora un giocatore o una giocatrice, la quale riuscì a liberarsi dalle pastoie dell’azzardo. È la nonnina, un personaggio molto interessante e comico. La donna sagace capisce subito chi sono il marchese des Grieux e M.lle Blanche e favorisce Polina, Aleksj e Mr.Astley. Dopo la sua prima somma perduta al gioco, la nonnina ha voglia di partire, ma non può resistire alla tentazione e va di nuovo a giocare. Spedendo tutto che ha portato con sé, lei trova le forze di fermarsi. La sua partenza per Mosca è simbolica. Fiodor Dostojevskij scriveva che solo il ritorno alle vere tradizioni russe che esistono da sempre, antiche e secolari, potrà salvare un giocatore russo che ha perso la strada giusta nella vita, smarrito e traviato nelle tradizioni europee.                            
L’arte di Dostojevskij attira attenzione dei lettori verso il suo romanzo «Il Giocatore» più da due secoli. Un giocatore d'azzardo del XIX secolo si distingue dal giocatore del XXI secolo solo con i suoi vestiti, con il suo modo di comportarsi e il suo modo di parlare e con il suo cellulare. Il nocciolo della questione rimane lo stesso e la debole volontà e il vuoto morale portano alla dipendenza e alla degradazione spirituale.

  

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Zarevich
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Fiodor Dostjevskij Фёдор Достоевский
«GIOCATORE» «ИГРОК» (Dalle memorie di un giovane)

Capitolo I

Finalmente era tornato da loro, dopo un’assenza di due settimane. I nostri stavano a Roulettenburg già da tre giorni. Credevo che mi aspettassero chissà con quale ansia, ma mi ero sbagliato. Il generale mi ha guardato con estrema disinvoltura, ha parlato con aria sprezzante e mi ha spedito dalla sorella. Era chiaro che da qualche parte dovevano aver ottenuto un po’ di denaro in prestito. Ho avuto persino l’impressione che il generale si vergognasse alquanto di guardarmi in faccia. Maria Filìppovna era estremamente affaccendata e ha parlato poco con me; ma i soldi che ho portato li ha presi, contati, ed ha ascoltato tutto il mio rendiconto. Per il pranzo aspettavano Mèsentsov, il Francesino e anche un tale inglese. Come era nell’uso, appena c’erano i soldi, subito un pranzo di gala: alla moscovita. Polìna Aleksàndrovna, non appena mi ha visto, ha domandato perche ci avevo messo tanto. E, senza aspettare la risposta, se ne e andata da qualche parte. S’intende che l’ha fatto apposta. Nondimeno bisognerà che abbiamo un chiarimento. Si sono accumulate molte cose. Mi era stata riservata una piccola stanza al quarto piano dell’albergo. Lì si sapeva che io appartenevo al seguito del generale. Da tutto era evidente che loro avevano già avuto modo di farsi conoscere. Il generale lì era considerato da tutti un alto dignitario russo ricchissimo. Già prima di pranzo è riuscito, tra le altre commissioni, a darmi da cambiare due biglietti da mille franchi. Li ho cambiati all’amministrazione dell’albergo. Adesso ci guarderanno come milionari almeno per tutta una settimana. Aveva deciso di prendere Mìsha e Nàdja e di andarmene a spasso con loro, ma per le scale sono stato chiamato dal generale: gli è parso suo dovere chiedere dove li avrei portati. Decisamente quest’uomo non può guardarmi dritto negli occhi. Magari lo vorrebbe, e tanto, ma ogni volta io gli rispondo con un tale sguardo fisso, cioè irriguardoso, che lui sembra confondersi. Con un discorso molto enfatico, infilando una frase nell’altra e alla fine perdendo completamente il filo, mi ha fatto capire che dovevo passeggiare con i ragazzi in qualche posto lontano dal Casino, nel parco. Alla fine si è arrabbiato completamente e ha aggiunto brusco: «Altrimenti lei me li porta al Casino, magari alla roulette. Lei mi scuserà - ha aggiunto - ma io so che lei è ancora abbastanza spensierato e capace magari di mettersi a giocare. In ogni caso, sebbene io non sia il suo mentore e neppure desideri di assumermi un simile ruolo, avrò almeno il diritto di volere che lei, per così dire, non mi comprometta…».
- Ma se non ho neppure i soldi - ho risposto con calma. - Per perderli bisogna averli.
- Ne riceverà immediatamente - ha risposto il generale arrossendo alquanto. Dopo aver frugato nello scrittoio, ha consultato un libretto ed è risultato che mi doveva all’incirca centoventi rubli.
- Рего come li calcoliamo? - ha cominciato a dire. - Bisogna convertirli in talleri. Ecco, si prenda cento talleri, in cifra tonda. Il resto naturalmente non andrà perduto. Ho preso il denaro in silenzio.
- La prego, non si offenda per le mie parole, lei e così permaloso… Se le ho fatto un’osservazione, diciamo così, era per metterla sull’avviso, e, certo, ne avrò pure un qualche diritto…
Tornando a casa prima di pranzo insieme con i ragazzi, ho incontrato un’intera comitiva a cavallo. Erano i nostri, che erano andati a visitare non so che ruderi. Due splendide carrozze, con superbi cavalli. In una carrozza c’erano mademoiselle Blanche, Maria Filìppovna e Polìna; il Francesino, l’inglese e il nostro generale andavano a cavallo. I passanti si fermavano a guardare. L’effetto era stato raggiunto. Solo, per il generale non finirà bene. Ho calcolato che, con i quattromila franchi che ho portato io, e aggiungendo quanto loro devono essere riusciti a farsi prestare, abbiano adesso sette о ottomila franchi. Troppo poco per m-lle Blanche. M-lle Blanche alloggia anche lei nel nostro albergo, insieme con la madre. Sempre lì, da qualche parte, è anche il nostro Francesino. I lacche lo chiamano «M-r le comte», e la madre di m-lle Blanche viene chiamata «m-me la comtesse». Chissà, forse sono veramente comte et comtesse. Lo sapevo che m-r le comte non mi avrebbe riconosciuto quando ci fossimo ritrovati insieme a pranzo. Il generale, naturalmente, non ci ha neppure pensato a presentarci о almeno a presentare me a lui. Quanto a m-r le comte, e stato in Russia e sa che personaggio modesto sia colui che viene chiamato outchitel. D’altro canto, lui mi conosce benissimo. Ma a dire la verità, io sono andato al pranzo senza essere invitato. Credo che il generale si fosse dimenticato di dare disposizioni, altrimenti mi avrebbe sicuramente mandato a pranzare alla table d’hote. Mi sono presentato da me, cosicché il generale mi ha lanciato uno sguardo di disappunto. La buona Maria Filìppovna mi ha indicate subito il posto. Ma è state l’incontro con mister Astley a trarmi d’impaccio, ed io, senza volerlo, mi sono ritrovato a far parte della loro società. Questo strano inglese l’ho incontrato una prima volta in Prussia, sul treno, dove eravamo seduti uno di fronte all’altro, quando andavo a raggiungere i nostri; poi mi sono imbattuto in lui arrivando in Francia; e infine in Svizzera. Due volte in due settimane, ed ecco che adesso inaspettatamente l’ho incontrato di nuovo a Roulettenburg. Mai in vita mia mi era capitato un uomo piu timido. È timido fino alla stupidità e, certo, se ne rende conto da se, perche non è affatto stupido. Peraltro, e molto affabile e tranquillo. Al nostro primo incontro in Prussia l’ho fatto parlare. Mi ha detto che quest’estate e stato a Capo Nord e che ha tanta voglia di visitare la fiera di Nìzhnij Nòvgorod. Non so come abbia conosciuto il generale. Ho l’impressione che sia perdutamente innamorato di Polìna. Quando lei è entrata, lui si è fatto rosso di fuoco. È stato molto contento che a tavola io mi sia seduto accanto a lui e sembra che ormai mi consideri suo amico per la pelle. A tavola il Francesino ha insolitamente dato il tono alla conversazione. È stato altezzoso e si e dato importanza con tutti. Invece a Mosca ricordo che sembrava una bolla di sapone. Ha parlato senza riprendere fiato di finanze e di politica russa. Ogni tanto il generale ha osato contraddirlo, ma con discrezione, unicamente per non perdere del tutto la faccia. Io его in una strana condizione di spirito. Naturalmente, ancora prima di arrivare a meta del pranzo, ho avuto modo di rivolgermi la mia solita domanda, sempre la stessa: «perche vado in giro con questo generale e non li ho già piantati tutti da tempo»? Ogni tanto ho lanciato uno sguardo a Polìna Aleksàndrovna; lei non si è affatto accorta di me. È finita che mi sono arrabbiato e ho deciso di essere insolente. È cominciata così. Improvvisamente, di punto in bianco, ad alta voce e senza esserne richiesto, ho messo bocca nella loro conversazione. Ciò che volevo soprattutto era di litigare con il Francesino. Mi sono rivolto verso il generale e all’improvviso, forse interrompendolo, ho osservato con voce chiara e stentorea che quest’estate per i russi era quasi impossibile pranzare alle tables d’hote degli alberghi. Il generale mi ha lanciato uno sguardo meravigliato.
- Se lei è una persona che ha rispetto di se - ho proseguito allo sbaraglio - immancabilmente si attirerà insulti e dovrà subire offese spropositate. A Parigi e sul Reno, persino in Svizzera, alle tables d’hote ci sono così tanti polaccuzzi, e francesini simpatizzanti con loro, che non e possibile dire una parola, se solo lei e russo. Ho detto tutto questo in francese. Il generale mi ha guardato perplesso, non sapendo se arrabbiarsi о soltanto meravigliarsi per aver io dimenticato in quel modo le convenienze.
- Significa che in qualche posto qualcuno le ha dato una lezione - ha detto il Francesino con aria di noncuranza e di disprezzo.
- A Parigi ho litigato dapprima con un polacco - ho risposto, - e poi con un ufficiale francese che l’aveva spalleggiato. Ma poi una parte dei francesi si è volta in mio favore, quando ha raccontato loro come volevo sputare nel caffè di un monsignore.
- Sputare? - ha domandato il generale con grave imbarazzo e persino guardandosi intorno. Il Francesino mi squadrava incredulo.
- Proprio così - ho risposto. Dopo che per due giorni interi si era cercato di convincermi che forse mi sarebbe toccato fare una scappata a Roma per la nostra faccenda, sono andato alla cancelleria dell’ambasciata del Santissimo Padre a Parigi per farmi vistare il passaporto. Li sono stato ricevuto da un abatino sui cinquant’anni, secco e dall’espressione gelida, che, dopo avermi ascoltato con garbo ma anche con estrema freddezza, mi ha pregato di aspettare. Io avevo fretta, ma naturalmente mi sono seduto ad aspettare e, tirata fuori l’«Opinion Nationale», mi sono messo a leggere un tremendo attacco alla Russia. Nel frattempo, ho sentito che nella stanza accanto qualcuno era entrato dal monsignore; ho visto il mio abate inchinarsi. Mi sono rivolto a lui e gli ho rinnovato la mia richiesta. Ancora più secco, lui mi ha ripetuto di aspettare. Poco dopo e entrato un altro sconosciuto, un austriaco, per un certo affare. Subito dopo averlo ascoltato, lo hanno fatto salire di sopra. Allora mi sono proprio seccato. Mi sono alzato, sono andato vicino all’abate e gli ho detto risoluto che, poiché monsignore riceveva, poteva anche mettere fine alia mia attesa. L’abate si è bruscamente scostato da me con un’aria straordinariamente sorpresa. Non poteva proprio capire come avesse osato un insignificante russo mettersi al livello degli ospiti di monsignore. Con la massima sfrontatezza, quasi fosse contento di potermi offendere, mi ha misurato con lo sguardo dalia testa ai piedi e ha gridato: «E’ mai possibile che lei pensi che monsignore interrompa il suo caffè a causa sua»? Allora io ho gridato ancora più forte di lui: «Sappia, dunque, che ci sputo sopra al caffè del suo monsignore! Se lei in questo preciso momento non la finisce con il mio passaporto, andrò io da lui».
«Come!? Proprio mentre da lui c’e il cardinale!», ha gridato l’abatino scostandosi terrorizzato da me. Si è precipitato alla porta e, allargando le braccia a croce, ha fatto capire che sarebbe morto piuttosto che lasciarmi passare. Allora gli ho risposto che его un eretico e un barbaro, que je suis heretique et barbare, e che tutti quegli arcivescovi, cardinali, monsignori e così via erano per me la stessa cosa. Insomma, gli ho fatto capire che non avrei ceduto. L’abate mi ha guardato con infinito odio, poi mi ha strappato di mano il passaporto e lo ha portato di sopra. Dopo un minuto era gia stato vistato. - Ecco, volete vederlo? - ho detto tirando fuori il passaporto e mostrando il visto di Roma.



Ultima modifica di Zarevich il 26 Lug 2018 10:47, modificato 3 volte in totale 





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Zarevich
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Messaggio «IL GIOCATORE» di Fiodor Dostojevskij 
 
- Lei, però… - ha cominciato a dire il generale.
- Ció che l’ha salvata e l’essersi dichiarato barbaro ed eretico - ha osservato il Francesino. - Cela n’etait pas si bete.
- Avrei forse dovuto prendere l’esempio dai nostri russi di qui? Se ne stanno seduti senza osare di aprir bocca, magari pronti a rinnegare il loro essere russi. Almeno, a Parigi, nel mio albergo, dopo che ho raccontato a tutti del mio litigio con l’abate, si è cominciato a trattarmi con molta più considerazione. Un grasso pan polacco, la persona a me più ostile attorno alla table d’hote, e finito in secondo piano. I francesi mi hanno sopportato persino quando ho raccontato che due anni prima avevo visto un uomo al quale un francese dei reparti cacciatori, nel Dodici, aveva sparato unicamente per scaricare il fucile. Quell’uomo era allora ancora un ragazzo di dieci anni e la famiglia non aveva fatto in tempo a evacuare Mosea.
- Questo non può essere - e sbottato il Francesino. - Un soldato francese non sparerebbe mai a un ragazzo!
- E invece e avvenuto, - ho risposto. - Me lo ha raccontato un rispettabile capitano della riserva, e ho visto con i miei occhi la cicatrice della pallottola sulla sua guancia.
Il francese ha cominciato a dire tante cose in fretta. Il generale stava per spalleggiarlo, ma io gli ho consigliato di leggere almeno, per esempio, qualche brano delle «Memorie» del generale Peròvskij, che nel Dodici fu prigioniero dei francesi. Infine, Maria Filìppovna si e messa a dire qualcosa per interrompere quella conversazione. Il generale era molto scontento di me, giacche io e il francese avevamo ormai quasi cominciato a gridare. Ma mi sembra che a mister Astley la mia discussione con il francese sia molto piaciuta: alzandosi da tavola, mi ha invitato a bere un bicchiere di vino con lui. La sera, come era da prevedere, sono riuscito a parlare per un quarto d’ora con Polìna Aleksàndrovna. Il nostro colloquio e avvenuto durante la passeggiata. Tutti si erano diretti nel parco verso il Casino. Polina si era seduta su una panchina di fronte alia fontana e aveva lasciato che Nàdenka giocasse non lontano da lei con i bambini. Anch’io ho permesso a Mìsha di andare alla fontana, così siamo rimasti finalmente soli. Naturalmente, per prima cosa abbiamo parlato di affari. Polìna e andata addirittura in collera quando le ho consegnato in tutto settecento fiorini. Era certa che da Parigi, dietro cauzione dei suoi brillanti, le avrei riportato almeno duemila fiorini, se non di più.
- Ho bisogno di denaro, a qualsiasi costo - ha detto. - E occorre procurarlo. Altrimenti sono proprio perduta.
Ho cominciato a interrogarla su quanto e accaduto in mia assenza.
- Nulla, a parte due notizie arrivate da Pietroburgo: dapprima, che la nonna stava molto male, e, due giorni dopo, che era gia morta, a quanto pare. Questa notizia proviene da Timofej Petròvich, - ha aggiunto Polìna, - il quale e una persona precisa. Stiamo aspettando l’ultima comunicazione definitiva.
- Dunque, qui state tutti in attesa - le ho detto.
- Sicuro, tutti e di tutto. Da mezzo anno a questa parte è soltanto questa la speranza di tutti.
- E anche lei spera? - le ho domandato.
- Sa, io non sono nemmeno una parente, sono soltanto la figliastra del generale. Ma so per certo che si ricordera di me nel testamento.
- Mi pare che le tocchera parecchio - ho detto affermativamente.
- Si, mi voleva bene. Ma perché a lei pare?
- Mi dica, - ho risposto a mia volta con una domanda, - il nostro marchese e anche lui al corrente di tutti i segreti di famiglia?
- E lei perche se ne interessa? - ha chiesto Polìna osservandomi con uno sguardo duro e freddo.
- Lo credo bene! Se non sbaglio, il generale è gia riuscito a farsi prestare del denaro da lui.
- Verissimo, lei ha indovinato.
- E dunque, gli avrebbe forse dato i soldi, se non avesse saputo della nonna? Non ha notato che a tavola, parlando della nonna, l’ha chiamata tre volte nonnina, «la baboulenka». Che rapporti intimi, amichevoli!
- Si, lei ha ragione. Appena sapra che anche a me e toccato qualcosa nel testamento, subito mi fara la sua domanda di matrimonio. È questo, vero, che lei voleva sapere?
- Siamo soltanto ancora alla domanda di matrimonio? Pensavo che l’avesse gia fatto da tempo.
- Lei sa benissimo che non è così - ha detto accorata Polìna. - Dove ha incontrato quell’inglese? - ha aggiunto dopo un momento di silenzio.
- Lo sapevo, che adesso mi avrebbe chiesto di lui.
Le ho raccontato dei miei precedenti incontri eon mister Astley durante il viaggio.
- E’ timido e facile a innamorarsi, e naturalmente si e già innamorato di lei, vero?
- Si, è innamorato di me - ha risposto Polìna.
- Eppoi, sicuramente e dieci volte piu ricco del francese. Ma il francese possiede realmente qualcosa? Non ci sono dubbi?
- Non ci sono dubbi. Ha non so che chateau. Ancora ieri il generale me ne parlava con sicurezza. Allora, e soddisfatto?
- Io al suo posto sposerei senz’altro l’inglese.
- Perché? - ha domandato Polìna.
- Il francese è piu bello, ma più vile. L’inglese, invece, a parte che e onesto, e anche dieci volte più ricco - ho tagliato corto io.
- Si, ma in compenso il francese e marchese ed e più intelligente - ha risposto lei con la massima calma.
- Ma e poi sicuro? - ho continuato io battendo sullo stesso tasto.
- Proprio così.
A Polina le mie domande non piacevano affatto, e ho visto che con il tono e la stravaganza delle sue risposte voleva farmi arrabbiare. Glielo ho detto subito.
- Ebbene, effettivamente mi diverte che lei vada in bestia. Già per il solo fatto che le permetto di rivolgermi queste domande e supposizioni, lei deve sdebitarsi.
- Effettivamente, mi ritengo in diritto di farle qualsiasi domanda, - ho risposto calmo, - proprio perché sono pronto poi a saldare il conto nel modo che preferirà e perche ormai non valuto nulla la mia vita. Polina si è messa a ridere.
- L’ultima volta, in cima allo Schlangernberg, lei mi ha detto di essere pronto a buttarsi giù a capofitto, a una mia parola. Ed erano, mi pare, poco meno di mille piedi. Una volta o l’altra la diró, quella parola, unicamente per vedere come lei salderà il conto, e può star sicuro che non mi tirerò indietro. Lei mi è odioso proprio perche le ho permesso così tanto, e ancor più perché ho così bisogno di lei. Ma fintanto che mi sarà necessario, dovrò aver riguardo di lei.
Aveva cominciato ad alzarsi. La sua voce era irritata. Negli ultimi tempi finisce sempre i suoi discorsi con me in tono astioso e irritato, con vero malanimo.
- Mi permetta di domandarle: che cos’è m-lle Blanche? - le ho chiesto non volendo lasciarla andare senza una spiegazione.
- Lo sa da se, che cosa sia m-elle Blanche. Da quella volta non c’è stato nulla da aggiungere. M-lle Blanche sarà sicuramente generalessa. S’intende, se la voce circa la morte della nonna verrà confermata, giacchè m-elle Blanche, e sua madre, e il marchese-соusin di secondo grado sanno benissimo che siamo rovinati.
- E il generale e innamorato perdutamente?
- Adesso non e questo il punto. Mi ascolti e ricordi: prenda questi settecento fiorini e vada a giocare, vinca per me quanto più possibile alla roulette. Ho bisogno di soldi, adesso, a qualsiasi costo.
Detto questo, ha chiamato Nàdenka e si è incamminata verso il Casino, dove si è unita a tutta la compagnia dei nostri. Quanto a me, mi sono avviato lungo il primo sentiero che mi è capitato a sinistra, meditando e meravigliandomi. Dopo l’ordine di andare alla roulette, e come se avessi ricevuto una botta in testa. Che cosa strana: sebbene abbia motivo di riflettere, sono tutto immerso nell’analisi dei miei sentimenti verso Polìna. In verità, mi sono sentito meglio durante le due settimane di assenza che non adesso, nel giorno del mio ritorno, nonostante che durante il viaggio mi sia angosciato come un pazzo, agitandomi come un ossesso e vedendo ogni momento davanti a me Polìna persino in sogno. Una volta (era in Svizzera) mi sono addormentato in treno e sembra che mi sia messo a parlare ad alta voce con Polìna, facendo così ridere tutti i passeggeri che erano con me. Ancora una volta adesso mi sono chiesto: l’amo? E ancora una volta non ho saputo rispondere, о meglio, di nuovo, per la centesima volta, mi sono risposto che l’odiavo. Sì, mi era odiosa. Ci sono stati momenti (proprio alla fine di ogni nostra conversazione) in cui avrei dato meta della mia vita per strozzarla! Giuro, se fosse stato possibile immergerle lentamente un coltello acuminato nel petto, mi pare che l’avrei stretto con voluttà. E d’altronde, lo giuro su tutto ció che v’è di sacro, se sullo Schlangenberg, sulla pointe alia moda, lei mi avesse veramente detto «si getti giù», mi sarei subito buttato, e addirittura con gioia. Ne его cosciente. In un modo о nell’altro, la cosa deve finire. Tutto questo lei lo capisce a meraviglia, e l’idea che io sia assolutamente certo e chiaramente cosciente di tutta la sua inaccessibilità per me, di tutta l’impossibilita che le mie fantasie si realizzino, questa idea, ne sono certo, le procura un godimento straordinario. Altrimenti, come potrebbe lei, prudente ed intelligente, essere con me in tanta intimità e confidenza? Ho l’impressione che finora lei mi abbia considerato come quell’antica imperatrice che aveva preso a spogliarsi davanti al suo schiavo, non considerandolo un uomo. Sì, molte volte non mi ha considerato un uomo. Tuttavia, avevo un suo incarico: vincere alia roulette a qualsiasi costo. Non avevo il tempo di riflettere: per quale motivo bisognava vincere, e perche così in fretta, e quali nuove considerazioni erano nate in quella testa eternamente calcolatrice? Inoltre, in quelle due settimane evidentemente si era aggiunto un subisso di fatti nuovi, dei quali non avevo ancora idea. Tutto questo bisognava indovinarlo, penetrarlo, e quanto prima possibile. Ma per il momento non c’era tempo: bisognava andare alla roulette.

  




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Zarevich
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Messaggio «IL GIOCATORE» di Fiodor Dostojevskij 
 
Capitolo II

Confesso che la cosa non mi piaceva. Sebbene avessi già deciso di giocare, non avevo per niente l’intenzione di cominciare a farlo per altri. Questo mi disorientava perfino, e sono un entrato nelle sale da gioco con una sensazione molto sgradevole. Sin dal primo sguardo la non mi è piaciuto nulla. Non posso soffrire il servilismo che c’e negli articoli d’appendice di tutto il mondo e soprattutto nei nostri giornali russi, nei quali quasi ogni primavera i nostri giornalisti raccontano di due cose: innanzi tutto, della straordinaria magnificenza e del lusso delle sale da gioco nelle città sul Reno dove c’e la roulette; in secondo luogo, dei mucchi di oro che ci sarebbero sui tavoli. E non li pagano mica, per questo. Lo raccontano così, semplicemente, per zelo disinteressato. Invece non c’e nessuno sfarzo in quelle sale miserabili, e, quanto all’oro, non soltanto non e ammucchiato sui tavoli, ma difficilmente e appena appena se ne vede. Naturalmente, ogni tanto nel corso della stagione compare all’improvviso un qualche personaggio stravagante, un inglese o un asiatico, о un turco come quest’estate, e subito perde о vince moltissimo. Ma tutti gli altri giocano pochi fiorini e in media sui tavoli c’e sempre molto poco denaro. Subito dopo che sono entrato nella sala da gioco (per la prima volta in vita mia), per un po’ di tempo ancora non ho osato giocare. Per giunta, la folia mi stringeva… Ma se anche fossi stato solo, penso che anche in tal  caso me ne sarei andato via piuttosto che mettermi a giocare.
Confesso che il cuore mi batteva e che non ero tranquillo. Sapevo con certezza e avevo deciso già da tempo che da Roulettenburg non sarei ripartito così, che immancabilmente nel mio destino sarebbe avvenuto qualcosa di radicale e di definitivo. Così ha da essere e così sìa. Per quanto sia ridicolo che io mi aspetti così tanto dalla roulette, mi sembra però ancor più ridicola l’opinione corrente e da tutti accettata, che sia sciocco e assurdo aspettarsi qualcosa dal gioco. E perché il gioco sarebbe peggiore di un qualsiasi altro modo di far denaro, magari del commercio, per esempio? È vero che vince uno su cento. Ma che me ne importa? Comunque, quella sera ho stabilito di stare prima a guardare e di non cominciare nulla di serio. Quella sera, se anche fosse avvenuto qualcosa, sarebbe stato per caso e alla leggera: e così che avevo deciso. Inoltre, bisognava anche studiare il gioco stesso, perché, nonostante le migliaia di descrizioni della roulette che avevo letto sempre con tanta avidità, decisamente non avevo capito nulla di come funzionasse, finché non ho visto di persona. In primo luogo, tutto mi e sembrato assai sporco, come se fosse stato brutto e sporco moralmente. Non parlo certo di quelle facce avide e inquiete che attorniano i tavoli da gioco a decine, addirittura a centinaia. Non vedo decisamente nulla di sporco nel desiderio di vincere in fretta e quanto più possibile; mi è sembrato sempre molto sciocco il pensiero di quel moralista satollo e agiato il quale, a qualcuno che si giustificava dicendo «qui si fanno piccole puntate», rispose: «tanto peggio, perché il guadagno e piccolo». Come se guadagnare tanto o poco non fosse la stessa cosa. È questione di proporzioni. Ció che per un Rotschild e poco, per me e moltissimo, e quanto a profitto e a vincita la gente, non soltanto alla roulette, ma dappertutto, non fa altro che strapparsi o vincersi qualcosa a vicenda. Se poi in generale il profitto e il guadagno siano ripugnanti, è un’altra questione. Ma io qui non intendo risolverla. Dal momenta che io stesso ero completamente dominate dal desiderio di vincere, quando sono entrato nella sala, tutto quel guadagno e tutta quella sporcizia lucrosa, se si vuole, mi erano in un certo qual modo più alla mano, più familiari. La cosa migliore e quando non si fanno cerimonie e si agisce apertamente e non franchezza. Del resto, perche ingannare se stessi? È l’occupazione più vuota è sconsiderata che ci sia! Ció che era particolarmente brutto, tra tutta quell’accozzaglia di giocatori della roulette, erano, a prima vista, quel rispetto per la cosa in se, quella serietà e persino reverenza con cui tutti attorniavano i tavoli. Ecco perché qui si fa una netta distinzione tra il gioco che si dice di mauvais genre e quello che e lecito a una persona per bene. Ci sono due modi di giocare, uno da gentleman e l’altro da plebeo, interessato, il gioco di ogni specie di marmaglia. Tra i due giochi qui si fa una rigorosa distinzione, e in sostanza si tratta di una distinzione ignobile. Un gentleman, per esempio, può puntare cinque о dieci luigi d’oro, raramente di più, ma d’altronde, se e molto ricco, puó puntare anche un migliaio di franchi, peró soltanto per puro gioco, per puro divertimento, in sostanza per osservare il processo della vincita о della perdita; ma non deve assolutamente interessarsi della vincita stessa. E dopo aver vinto può per esempio mettersi a ridere forte, fare una osservazione all’indirizzo di qualcuno dei presenti, può persino puntare una altra volta e un’altra volta raddoppiare, ma unicamente per curiosità, per osservare le probabilità, per fare dei calcoli, e non per il desiderio plebeo di vincere. In una parola, egli deve guardare a tutti questi tavoli da gioco, roulettes e trente et quarante non altrimenti che come a un divertimento organizzato unicamente per il suo diletto. Lo spirito di lucro e i tranelli sui quali si regge ed e organizzato il banco egli non deve neppure sospettarli. Anzi, non sarebbe per niente male se, per esempio, desse l’impressione di considerare anche tutti quegli altri giocatori, tutti quei pezzenti che fremono per un fiorino, come altrettanti ricconi e gentlemen perfettamente uguali a lui, i quali giochino unicamente per il solo divertimento e passatempo. Questa assoluta ignoranza della realtà e il modo innocente di vedere la gente sarebbero, e ovvio, estremamente aristocratici. Ho visto molte mamme spingere avanti le loro figlie, innocenti ed eleganti misses di quindici о sedici anni, alle quali, dopo averle fornite di alcune monete d’oro, insegnavano come giocare. Queste signorine, sia che vincessero, sia che perdessero, immancabilmente sorridevano e si ritiravano molto soddisfatte. Il nostro generale si accostò con dignità e gravità a un tavolo; un lacche si precipitò a porgergli una seggiola, ma egli non se ne accorse; molto lentamente tiro fuori il suo borsellino, molto lentamente estrasse dal borsellino trecento franchi d’oro, li puntò sul nero e vinse. Non ritirò la vincita e la lasciò sul tavolo. Usci di nuovo il nero; neanche questa volta egli ritiro il denaro, e quando la terza volta usci il rosso, perdette d’un colpo milleduecento franchi. Egli si allontanò con un sorriso e non tradì nessuna emozione. Sono convinto che egli si sentì spezzare il cuore e che se la puntata fosse stata due о tre volte maggiore, non avrebbe retto e avrebbe tradito la sua emozione. Del resto, davanti a me un francese vinse, e poi riperse, una trentina di migliaia di franchi con aria allegra e senza nessuna emozione. Il vero gentleman, anche se perde tutto il suo patrimonio, non deve agitarsi. Il denaro deve essere a tal punto inferiore alla qualità di gentleman che quasi non vale la pena di preoccuparsene. Certo, sarebbe cosa molto aristocratica non accorgersi per niente di tutto il sudiciume di tutta quella marmaglia e di tutto l’ambiente. Tuttavia, qualche volta non e meno aristocratico anche il metodo inverso, quello cioè di notare, cioè di osservare, e persino esaminare, per esempio magari con l’occhialino, tutta quella marmaglia; ma non altrimenti che prendendo tutta quella folia e tutto quel sudiciume come una specie di diver¬timento, di rappresentazione organizzata per divertire i gentlemen. Ci si può ficcare noi stessi in quella folia, ma si deve guardare attorno con l’assoluta convinzione che propriamente noi siamo degli osservatori e che non apparteniamo in alcun modo a quella compagnia. Peraltro, anche osservare molto fissamente e a sua volta una cosa che non si deve fare: anche ció non sarebbe più da gentleman, perche questo e comunque uno spettacolo e non vale la pena di un’osservazione prolungata ne troppo attenta. E in generale sono pochi gli spettacoli degni di un’osservazione troppo attenta da parte di un gentleman. Ma intanto a me personalmente sembró che tutto ció meritasse, e molto, di essere osservato assai attentamente, particolarmente da parte di chi era venuto non soltanto per osservare, ma sinceramente e coscienziosamente si considerava nel novero di tutta quella marmaglia. Quanto poi alle mie convinzioni morali più sacre, nelle mie considerazioni del momento non v’era certo posto per loro. Che la cosa appaia così: sto parlando per scaricarmi la coscienza. Ma ecco ció che voglio rilevare: in tutti questi ultimi tempi, ho provato, in un certo qual modo, un’enorme ripugnanza a giudicare le mie azioni e i miei pensieri sulla base di un qualsiasi metro morale. Altre erano le cose chi mi guidavano… Ci sono canaglie che giocano effettivamente in modo molto sporco. Non mi è nemmeno difficile pensare che qui ai tavoli si commettano molti furti dei più comuni. I croupiers che stanno seduti ai lati dei tavoli per seguire le puntate e pagare le vincite hanno una quantità enorme di lavoro. E che canaglie, anche loro! Per lo più sono francesi. Peraltro, io qui osservo e prendo appunti non certo per descrivere la roulette; mi sto ambientando per sapere come regolarmi in seguito. Ho notato per esempio che non c’e nulla di più comune del fatto che da dietro il tavolo improvvisamente si allunghi la mano di qualcuno per prendere ció che un altro ha vinto. Comincia una discussione, non di rado si levano grida, ma vi prego umilmente di riuscire a dimostrare, a trovare testimoni, che la puntata era la vostra! Da principio tutta questa faccenda era per me un enigma; indovinavo e distinguevo soltanto piu o meno che le puntate si facevano sui numeri, sul pari e dispari e sui colori. Dei soldi di Polìna Aleksàndrovna mi decisi ad arrischiare quella sera cento fiorini. Il pensiero che mi apprestavo a giocare non per me in qualche modo mi disorientava. Era una sensazione estremamente spiacevole e mi venne voglia di liberarmene al più presto. Mi pareva sempre che, cominciando a giocare per Polìna, io buttassi via la mia fortuna. E mai possibile che non ci si possa accostare ad un tavolo da giuoco senza essere subito contagiati dalia superstizione? Cominciai col tirare fuori cinque federici d’oro, cioe cinquanta fiorini, e li puntai sul pari. La ruota giro e usci il tredici: avevo perduto. Con una certa qual sensazione morbosa, unicamente per venirne fuori in qualche modo e andarmene, puntai altri cinque federici d’oro sul rosso. Usci il rosso. Puntai tutti e dieci i federici d’oro e usci di nuovo il rosso. Puntai nuovamente il tutto e usci ancora il rosso. Ricevuti quaranta federici d’oro, ne puntai venti sulla dozzina centrale senza sapere che cosa ne sarebbe venuto fuori. Mi pagarono il triplo. Cosi i miei federici d’oro erano diventati improvvisamente ottanta. Provai una specie di straordinaria e strana sensazione e sentii che non ce la facevo piu, tanto che avevo deciso di andarmene. Mi sembrava che non avrei certo giocato in quel modo se lo avessi fatto per me stesso. Nondimeno puntai tutti e ottanta i federici d’oro ancora una volta sul pari. Questa volta usci il quattro; mi sborsarono altri ottanta federici d’oro e io, afferrato tutto il mucchio di centosessanta federici d’oro, mi avviai in cerca di Polìna Aleksàndrovna. Erano andati tutti a passeggiare non so dove nel parco, e riuscii a vedermi con lei soltanto a cena. Questa volta il francese non c’era e il generale si sfogó. Tra l’altro, ritenne necessario farmi di nuovo un’osservazione: non avrebbe desiderato vedermi al tavolo da gioco. A suo giudizio, se io in qualche modo avessi perduto troppo, lui ne sarebbe stato molto compromesso: «Ma persino se lei vincesse moltissimo, anche allora ne sarei compromesso», aggiunse in tono significativo. «Naturalmente, non ho il diritto di disporre delle sue azioni, ma ne converrà lei stesso…». A questo punto, secondo il suo solito, egli non finì il discorso. Gli risposi seccamente che avevo pochissimo denaro e che di conseguenza non avrei potuto perdere eccessivamente, anche se mi fossi messo a giocare. Dopo essere salito in camera mia, riuscii a consegnare a Polìna la sua vincita e le annunciai che un’altra volta non avrei piu giocato per lei.
- Perche mai? — chiese lei allarmata.
- Perche voglio giocare per conto mio, - risposi osservandola con meraviglia, - e questo me lo impedisce.
- Così, lei decisamente continua ad essere convinto che la roulette sia la sua unica soluzione e salvezza? - domandò beffarda. Le risposti molto seriamente che sì; quanto poi alla mia sicurezza di vincere immancabilmente, la cosa poteva anche essere ridicola, d’accordo, «ma che mi si lasci in pace». Polìna Aleksàndrovna insistette perché dividessi assolutamente con lei a metà la vincita odierna e voleva darmi gli ottanta federici d’oro proponendomi di continuare a giocare alle stesse condizioni. Rifiutai la metà offertami in modo decisiso e definitivo, e dichiarai che non potevo giocare per gli altri non perché non lo volessi, ma perche sicuramente avrei perduto.
- E nondimeno io stessa, per quanto sia sciocco, spero quasi soltanto nella roulette, - disse lei facendosi pensierosa. - E perció lei deve assolutamente continuare a giocare, facendo a metà con me, e s’intende che lo farà.

Traduzione di Dino Bernardini.

  




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Messaggio «IL GIOCATORE» di Fiodor Dostojevskij 
 
«NOTA AL ROMANZO»
Quando scrisse «Il giocatore» («Игрок»), nel 1866, Fiodor Dostojevskij; era già uno scrittore affermato, autore di libri di successo come «Povera gente» («Бедные люди»), «Umiliati ed offesi» («Униженные и оскорблённые»), «Memorie della casa dei morti» («Записки из мёртвого дома»), «Memorie del sottosuolo» («Записки из подполья»). Ma era anche uno scrittore perseguitato dai creditori, assillato da scadenze che lo costringevano a consegnare i manoscritti delle sue opere senza nemmeno poterne rivedere l’ultima stesura. Verso la fine di settembre del 1866 la sua situazione appariva disperata. In base a un contratto capestro non l’editore Stellovskij; egli doveva terminare entro tre mesi il romanzo «Delitto e castigo» («Преступление и наказание») e, prima ancora di questo, un nuovo romanzo del quale non aveva ancora scritto neppure una riga. Per «Delitto e castigo» lo scrittore non era particolarmente preoccupato e pensava che, se si fosse liberato al più presto dall’altro impegno, avrebbe potuto consegnarne l’ultima parte nei termini stabiliti. Ma c’era l’altro romanzo da scrivere. Se non l’avesse consegnato entro il 1°novembre, avrebbe dovuto pagare una forte penale. Ma se avesse tardato oltre il 1°dicembre, l’editore avrebbe ottenuto tutti i diritti - senza pagare un centesimo all’autore - sulle opere scritte da Fiodor Dostojevskij; nei successivi nove anni. Nacque così l’idea di ricorrere a una stenografa. Il 4 ottobre 1866 la ventenne Anna Snìtkina (nel febbraio successivo sarebbe diventata la seconda moglie dello scrittore) varcava per la prima volta la soglia di casa Dostojevskj; Il 30 ottobre il romanzo «Il giocatore» («Игрок») era finite. Che il libro sia stato dettato tutto d’un fiato e sotto l’assillo di una scadenza si avverte in certe sfasature nell’uso dei tempi, nella punteggiatura disordinata, persino in taluni errori di calcolo delle vincite alla roulette. Del resto, si può dire che l’imperfezione della forma rappresenti una costante nell’opera di Dostjevskij; E tuttavia in questo caso, e stato osservato autorevolmente, «la celerità della stesura ha influito in modo estremamente felice sulla composizione generale», caricando l’opera di «una straordinaria tensione e di un ritmo seducente». Il romanzo e in parte autobiografico, soprattutto per ciò che riguarda gli episodi della roulette. Il protagonista, innamorato della bella e capricciosa Polìna (Полина), vede inizialmente nel gioco il mezzo per riscattarsi dalla propria condizione di istitutore presso la famiglia di Polìna. Poi, a poco a poco, il gioco diventa un’ossessione, una malattia che progredisce inesorabilmente, di fronte alla quale persino il grande amore per Polìna passa in secondo piano. Peraltro, alquanto in secondo piano nella narrazione, anzi «juori campo», sembra rimanere alla fine la stessa Polìna. Ma «non si può pretendere - notava il Mikhajlovskij - che un poeta esprima non identica forza e verità le sensazioni del lupo che sta divorando la pecora e quelle della pecora che viene divorata dal lupo». Forse, su nessuno scrittore russo dell’Ottocento si continua a scrivere tanto come su Dostojevskij. Di lui si è colta la capacita di «penetrazione psicologica nei recessi più oscuri dell’animo umano», la «polifonia» dei suoi romanzi, definiti «anatomia dell’anima umana», il «talento crudele», «rispondente alle crisi spirituali del mondo moderno». Ma chi e oggi, Per cultura moderna, Dostojevskij? Ha scritto Nietzsche che Dostojevskij è stato l’«unico psicologo» dal quale egli abbia avuto qualcosa da imparare. Il che sarà anche vero. Tuttavia, pensiamo di poter dire con Lunaciarskij, il quale non amava lo scrittore per ragioni politiche, che Dostojevskij resti per noi innanzi tutto un grande scrittore, un narratore dotato di una «genialità morbosa», le cui opere rimangono come «grandiosi monumenti letterari».

  




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Messaggio «IL GIOCATORE» di Fiodor Dostojevskij 
 
Fiodor Dostojevskij Фёдор Достоевский
«IL GIOCATORE» «ИГРОК»
Casa Editrice «ACT» Mosca 2017 (Pagine 224)
Издательство «АСТ» Москва 2017  

Il romanzo «Il Giocatore» «Игрок» «The Gambler» ha forti motivazioni autobiografiche, perché lo stesso Dostoevskij era un giocatore d'azzardo. La storia della creazione di questo libro è molto interessante: perso fino all'ultimo centesimo a Wiesbaden, lo scrittore disperatamente bisognoso di soldi ha firmato un contratto con l'editore, secondo il quale avrebbe dovuto scrivere un romanzo ... in 26 giorni. Queste date del tutto implausibili costrinsero Dostoevskij, per la prima volta nella sua vita, a servirsi dei servizi di un segretario-stenografo, al quale dettò il testo. Così la giovane Anna Snitkina è entrata nella vita di un genio, una donna che era destinata a diventare sua moglie e musa ...

  

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Descrizione: Fiodor Dostojevskij «IL GIOCATORE»
Casa Editrice «ACT» Mosca 2017 (Pagine 224) 
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