Ho rivisto di recente quella sorta d'intervista, a cui il famoso regista petroburghese ha sottoposto Solzhenitsyn nel 1998. Certo che non si tratta di un servizio giornalistico nel senso stretto del termine, perché c'è una vera e propria regia cinematografica: le riprese insistono sulle mani, sul primo piano, sulle fotografie, sulle nature morte offerte dal piano della scrivania e sul giardino della dacia, dove si è svolta l'intervista. Lo stile è quello inconfondibile a cui Sokurov ci ha abituati.
Il film è interessantissimo e ve lo consiglio, però è difficile procurarselo con i sottotitoli in italiano, perché questo film non è stato distribuito in Italia ma è passato soltanto dal "solito" Ghezzi per "Fuori orario. Cose (mai) viste", la trasmissione per insonni di RAI 3. Se avete la fortuna di conoscere appassionati, che la registrarono allora, probabilmente quella sarà la strada più semplice per vederlo.

L'intervista è piuttosto una discussione a tutto campo tra i due artisti. Ho trovato affascinante il modo in cui S. confronta il paesaggio della Russia Centrale con quello kazako e poi anche il Vermont; più avanti i due discutono anche del linguaggio nella prosa di S. ed entrano nel merito delle critiche mossagli da altri letterati, più in particolare nell'uso dei neologismi. Ho trovato stupefacente il modo in cui S. altera il significato dei verbi codificati nella lingua in uso, aggiungendo dei prefissi, in un modo, che a me sembra molto anglosassone, però forse è anche molto russo.
Vi faccio notare, che tutto questo sfugge completamente al comune lettore delle traduzioni italiane e perciò questa conversazione diventa per noi veramente rivelatrice.