Ragazzi, ho letto dei brani dall'Onegin tradotti in prosa tedesca o anche in qualcosa come dei versi bianchi inglesi (il traduttore era, nel secondo caso, nientedopodimeno che Nabokov). Queste traduzioni rendevano il contenuto, ma toglievano ogni sapore al romanzo.
Scusatemi, ma considero una traduzione in prosa d'un testo scritto originariamente in versi un подстрочник, una base di partenza per una traduzione (o ricreazione) in versi. Limitarci ad una traduzione in prosa sarebbe per me lasciare la cosa a mezza strada, una perdita di tempo. In questo caso, secondo me, non ci sono vie di mezzo: o si traduce in versi, o non si traduce.
Sarò intransigente, ma questo è il mio punto di vista e ci vuole molto per farmelo cambiare.
Io capisco che vuoi dire tu, ma il fatto è che per fare una traduzione in versi... bisogna saperla fare... e se qui nessuno la sa fare, che fare? Что делать? Нужно пойти на компромисс. Bisogna scendere a un compromesso...
Ma credo che nulla potrebbe impedire a Roberto fare una traduzione della commedia in prosa e se mentre traducerà, lo visiterà anche un'ispirazione poetica, fare un’altra traduzione in versi.. che ne pensate?
Ma com'è che avviene? Bussano alla porta, io domando "Кто там?", e una vocina mi risponde: "Sono l'ispirazione poetica...". "Поетическое вдохновение к Вам пришло! Откройте дверь, быстро! А не то, скоро исчезну...". А вдруг это не поетическое вдохновение а прозаическая воровка?
Oggetto: «CHE DISGRAZIA L'IGEGNO» DI ALEKSANDR GRIBOJEDOV
Che ne so io, mica sono un poeta, ma penso le muse possano essere varie e alcune forse perfino non bussano e entrano quando vogliono..
Achmatova ad esempio la descrive cosi:
Когда я ночью жду ее прихода,
Жизнь, кажется, висит на волоске.
Что почести, что юность, что свобода
Пред милой гостьей с дудочкой в руке.
И вот вошла. Откинув покрывало.
Внимательно взглянула на меня.
Ей говорю: «Ты ль Данту диктовала
Страницы Ада?» Отвечает: «Я».
Che ne so io, mica sono un poeta, ma penso le muse possano essere varie e alcune forse perfino non bussano e entrano quando vogliono..
Achmatova ad esempio la descrive cosi:
Когда я ночью жду ее прихода,
Жизнь, кажется, висит на волоске.
Что почести, что юность, что свобода
Пред милой гостьей с дудочкой в руке.
И вот вошла. Откинув покрывало.
Внимательно взглянула на меня.
Ей говорю: «Ты ль Данту диктовала
Страницы Ада?» Отвечает: «Я».
Когда я ночью жду ее прихода,
Жизнь, кажется, висит на волоске.
Что почести, что юность, что свобода
Пред милой гостьей с дудочкой в руке.
И вот вошла. Откинув покрывало.
Внимательно взглянула на меня.
Ей говорю: «Ты ль Данту диктовала
Страницы Ада?» Отвечает она:
«Не-а, серийный убийца я...»
Oggetto: «CHE DISGRAZIA L'IGEGNO» DI ALEKSANDR GRIBOJEDOV
Dunque, questa mi sembra una questione importante che dobbiamo assolutamente dirimere.
Se posso esprimere la mia opinione (domanda retorica... è ovvio che posso!), secondo me Angelo ha ragione... ma Roberto non ha torto :)
Con questo voglio dire che naturalmente la traduzione ideale di un'opera in versi, sarebbe anch'essa in versi, su questo non ci sono dubbi; e pur tuttavia, non si può prescindere dalla difficoltà del testo orginale e dalle possibilità - o capacità - delle persone coinvolte nel lavoro di traduzione. Se questi due fattori uniti rischiano di compromettere gravemente il risultato, secondo me è preferibile accontentarsi di una traduzione in prosa.
Sulla difficoltà di rendere in versi la commedia del Griboedov, vale la pena riflettere sulla seguente considerazione di Paolo Santarone, autore di una delle tre traduzioni italiane in prosa (esiste una sola traduzione in versi, realizzata da Federigo Verdinois, nel 1925) del Gore ot uma:
"Il testo della commedia è in versi, e in quali smaglianti versi! Pochi altri classici russi sono quanto il Griboedov, per la maestria con la quale egli se ne serve, prigionieri della loro lingua. Egli medesimo dichiarò: «Shakespeare è intraducibile, poiché è nazionale»; osservazione ancora più perenteroria nei suoi stessi confronti."
Dunque, questa mi sembra una questione importante che dobbiamo assolutamente dirimere.
Se posso esprimere la mia opinione (domanda retorica... è ovvio che posso!), secondo me Angelo ha ragione... ma Roberto non ha torto :)
Con questo voglio dire che naturalmente la traduzione ideale di un'opera in versi, sarebbe anch'essa in versi, su questo non ci sono dubbi; e pur tuttavia, non si può prescindere dalla difficoltà del testo orginale e dalle possibilità - o capacità - delle persone coinvolte nel lavoro di traduzione. Se questi due fattori uniti rischiano di compromettere gravemente il risultato, secondo me è preferibile accontentarsi di una traduzione in prosa.
Sulla difficoltà di rendere in versi la commedia del Griboedov, vale la pena riflettere sulla seguente considerazione di Paolo Santarone, autore di una delle tre traduzioni italiane in prosa (esiste una sola traduzione in versi, realizzata da Federigo Verdinois, nel 1925) del Gore ot uma:
"Il testo della commedia è in versi, e in quali smaglianti versi! Pochi altri classici russi sono quanto il Griboedov, per la maestria con la quale egli se ne serve, prigionieri della loro lingua. Egli medesimo dichiarò: «Shakespeare è intraducibile, poiché è nazionale»; osservazione ancora più perenteroria nei suoi stessi confronti."
Ecco, pensa tu... tu Myshkin quale traduzione hai? Quella del 1925 secondo me non è più protetta da diritti d'autore, se in Italia facessero il preziosissimo lavoro che fanno le biblioteche americane, sarebbe disponibile liberamente a tutti.
Oggetto: «CHE DISGRAZIA L'IGEGNO» DI ALEKSANDR GRIBOJEDOV
Io ho la traduzione in prosa di Natascia Baranowski e Paolo Santarone, del 1954.
Dall'introduzione molto bella di Paolo Santarone, riporto qui un estratto che tornerà utile per inquadrare il lavoro.
(...)L'autore si sfoga a mettere a nudo con spietata requisitoria uomini e cose che sotto una vernice di rispettabilità sono intimamente bacati e perversi; ma la sua satira, se è pungente, non è però corrosiva; la si direbbe quasi bonaria, come di chi, pur mettendo sotto gli occhi uno specchio perché vi si riflettano le deformazioni di ciascuno, pensi rassegnatamente che non ne otterrà per questo ravvedimenti. Egli non monta in cattedra per moraleggiare, né tanto meno agita minaccioso la sferza. Rivelare gli uomini a se stessi gli basta; pensa che il ridicolo uccide, e che negli animi rimarrà pur qualcosa, che forse fruttificherà, poi. Perfino nel finale della commedia, là dove l'invettiva di Ciaski assurge ad un alto tono di drammaticità, la chiusa è ricondotta poi ad una frivolità che riesce ancora più dolorosa, perché rivela che per certe menti ristrette, per certe anime sorde, ogni insegnamento è vano.
La commedia parte da un modesto intimo episodietto di libertinaggio, mascherato di innocuo romanticismo, per allargarsi a mano a mano ad un più vasto panorama che nella seconda metà del terzo atto spazia nel corale di una folla variopinta, in cui sono rappresentate tutte le magagne fisiche e morali del bel mondo moscovita. Il maggior bersaglio ed il meglio individuabile è senza dubbio Famusov, nel quale è adombrato lo zio materno dell'autore, Alessio Fiodorovic', tipico esponente di quella nobiltà d'antico ceppo, tradizionalista e conformista, ancora attaccata disperatamente a privilegi del secolo precedente, quando già squilla in sordina il richiamo a più attualistiche realtà: i tempi camminano, sia pur nelle coscienze di pochi illuinati. Orgogliosi e superbi con quelli che hanno bisogno, servili fino alla vigliaccheria coi potenti, ogni parola di questa figura potentemente stagliata dal principio alla fine sullo sfondo della commedia del Gribojedov svela un cantuccio della sua anima, getta un fascio di luce sulla mentalità di tutta una classe, di tutta un'epoca. Molte vicende degli ulteriori sviluppi della storia russa si comprendono attraverso le battute sue e di altri personaggi della commedia.
Sofia, sua figlia, che la natura ha particolarmente favorito di avvenenza fisica, è presentata come una creatura senza cuore, fredda e calcolatrice, pigra ed esigente, che preferisce ad un uomo acuto e generoso la nullità d'un uomo mediocre, vile, profittante - il segretario di suo padre -, sol perché può giocherellare con esso come con un fantoccio.
E v'è una macchietta rilevata di militare, il colonnello Skalozub, il quale è uno sciocco qualunque, che sa parlare solo di parate e squadroni. A chi gli domanda quale grado di parentela vi sia fra lui ed una certa signora, risponde: « Non so; non abbiamo ancora fatto il militare insieme »; ad una lunga filippica sulla infatuazione per le uniformi, reagisce solo con quel tanto di spirito di corpo che la sfuriata gli offre di esaltare; di Mosca, non sa dir altro che è di una grande estensione; e alla fine suggerisce di sistemare il problema dell'educazione, adottando nei licei il sitema militare dell' « unò, dué! ».
E finalmente completa la rosa dei personaggi principali Lisa, cameriera di Sofia. Ed è proprio lei, l'umile serva della gleba della stirpe Famusov, che è fra tutti la più equilibrata, la più moralmente sana, quella che dimostra più coscienza e maggiore buon senso. E non è certo senza significato, da parte di un membro della classe padronale, quale era il Gribojedov, l'aver conferito queste virtù ad una diseredata, in confronto a tanti smidollati del proprio ceto.
Non è qui opportuno passare in rassegna l'ampia casistica che vien presentata nel terzo atto sotto le spoglie di questo o di quel personaggio che si sente essere la riproduzione di ben note personalità del tempo. Ma ancora verso la fine della commedia, quando l'azione si avvia all'epilogo, appare un ultimo personaggio nuovo, che può sembrare pleonastico. Attraverso quello che dice, però, è facile comprendere che si tratta di una interpolazione dell'autore alla primitiva stesura, per ridicolizzare quelle conventicole di congiurati da burla, che a lui stesso erano costate l'arresto e la minaccia del peggio.
Commedia ricca di sviluppi, dal dialogo saporoso e brillante, piena di aforismi e di espressioni che entrarono ben presto nel linguaggio corrente russo e vi rimasero per un buon secolo. Galleria di ritratti dai contorni ben marcati, che presentano nella loro cruda evidenza un mondo ormai scomparso: quell'alta società russa che si gingillò in bizantinismi fino alla brutale sveglia dell'ordine nuovo. Più tardi, il Gogol' fece qualcosa di analogo per il mondo corrotto dei piccoli funzionari di provincia, e fu un altro gioiello del teatro russo: L'ispettore generale.
Dunque, questa mi sembra una questione importante che dobbiamo assolutamente dirimere.
Se posso esprimere la mia opinione (domanda retorica... è ovvio che posso!), secondo me Angelo ha ragione... ma Roberto non ha torto :)
Con questo voglio dire che naturalmente la traduzione ideale di un'opera in versi, sarebbe anch'essa in versi, su questo non ci sono dubbi; e pur tuttavia, non si può prescindere dalla difficoltà del testo orginale e dalle possibilità - o capacità - delle persone coinvolte nel lavoro di traduzione. Se questi due fattori uniti rischiano di compromettere gravemente il risultato, secondo me è preferibile accontentarsi di una traduzione in prosa.
Sulla difficoltà di rendere in versi la commedia del Griboedov, vale la pena riflettere sulla seguente considerazione di Paolo Santarone, autore di una delle tre traduzioni italiane in prosa (esiste una sola traduzione in versi, realizzata da Federigo Verdinois, nel 1925) del Gore ot uma:
"Il testo della commedia è in versi, e in quali smaglianti versi! Pochi altri classici russi sono quanto il Griboedov, per la maestria con la quale egli se ne serve, prigionieri della loro lingua. Egli medesimo dichiarò: «Shakespeare è intraducibile, poiché è nazionale»; osservazione ancora più perenteroria nei suoi stessi confronti."
Secondo me, dovremmo optare per la traduzione in prosa come obiettivo primario.
Successivamente si potrà pensare a cimentarsi nella traduzione in versi, anche se credo che questa possa risultare quasi impossibile.
A mio parere, la musicalità delle parole scritte in un lingua, difficilmente potrà essere ottenuta in una lingua diversa, mantenendo la stessa struttura dell'opera originale.
Un po' come nella musica; un brano scritto per pianoforte, difficilmente potrà avere la stessa armonia se viene "tradotto nella lingua" della chitarra o della tromba.
Oggetto: «CHE DISGRAZIA L'IGEGNO» DI ALEKSANDR GRIBOJEDOV
Beh?! Che succede qua? Dove sono finiti tutti?? Mi sono assentato perché mi stanno distruggendo la casa, mi aspettavo di trovare chissà quanti messaggi da leggere, e invece trovo il deserto del Gobi... :blink2:
Roberto, tu quoque? Sei preso con Ciaski? :book: Abbiamo iniziato i lavori? A che punto siamo? 8)
Beh?! Che succede qua? Dove sono finiti tutti?? Mi sono assentato perché mi stanno distruggendo la casa, mi aspettavo di trovare chissà quanti messaggi da leggere, e invece trovo il deserto del Gobi... :blink2:
Roberto, tu quoque? Sei preso con Ciaski? :book: Abbiamo iniziato i lavori? A che punto siamo? 8)
Io mi sono procurato alcuni semplici "riassunti" in russo della commedia, giusto per capire i "fatti" nudi e crudi... e me li sto leggendo... però fra Proharchin e Gore ot uma non so come organizzarmi, perché io il signor Proharchin non posso abbandonarlo, nossignore...
Oggetto: «CHE DISGRAZIA L'IGEGNO» DI ALEKSANDR GRIBOJEDOV
Ho dato un'occhiata al vostro forum mentre cercavo info su Gribojedov e ho scoperto tante cose interessanti... visto che sono in possesso di una copia del 1925 davvero in ottime condizioni, Carabba "Scrittori italiani e stranieri", volevo sapere se vi potrebbe interessare. Casomai vi posso inviare una foto :)
La mia mail è: . Grazie ancora per l'attenzione e complimenti per i vostri commenti sull'autore, spesso non si conoscono alcuni scrittori o opere ma c'è chi invece va oltre la solita cultura stereotipata.
Davide
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