----------------------------------- Myshkin Martedì, 03 Luglio 2007, 11:53 «NIKOLAJ GOGOL’: È INCREDIBILE!» ----------------------------------- Nikolaj Gogol' «Dall'Italia. Autobiografia attraverso le lettere» Editore Voland, Roma, 1995 - 240 pagine «Polnoe sobranie socinenij - Полное собрание сочинений» (1940) Traduzione di Maria Giuseppina Cavallo A MARIA IVANOVNA GOGOL' Roma. 28/16 marzo [1837]. Sono qui da due giorni. Il mio trasferimento in Italia, o meglio a Roma, si è trascinato per quasi tre settimane. Ho viaggiato per mare e per terra con ritardi e fermate ma, nonostante tutto, sono arrivato in tempo per le feste. Ho ascoltato la messa nella chiesa di San Pietro, celebrata dal Papa in persona. Ha una sessantina d'anni e l'hanno portato dentro su una magnifica sedia con il baldacchino. I portatori hanno dovuto fermarsi diverse volte in mezzo alla chiesa perché il Papa aveva dei giramenti di testa. La chiesa di Pietro è cosi immensa che di lunghezza sarà quasi mezza versta. Anche l'affluenza a Roma era immensa. In chiesa c'erano alcune migliaia di persone, eppure sembrava ancora vuota. Le giornate sono estive, il sole è bellissimo, le stelle brillano di piú, tanto piú luminose che da noi. In breve, un vero cielo italiano. La primavera quasi non si avverte, perché sono pochissimi gli alberi che devono gettare. Sono tutti quasi perennemente verdi, e non perdono le foglie durante l'inverno. Ho fatto in tempo a visitare solo una parte delle antichità e delle rovine; ce ne sono tante e a ogni piè sospinto, e capita spesso che in una nuova casa venga incorporata parte di una rovina - un pezzo di muro, oppure una colonna o un bassorilievo. Non ho ancora visitato né le pinacoteche né gli innumerevoli palazzi d'ogni genere, dove ci sarebbe da vedere per un anno intero. Tutta la terra odora e respira di pittori e di quadri. I mosaici e le antichità si vendono a mucchi. In strada ci sono scuole di pittura e di scultura quasi a ogni porta. Prima di Roma sono riuscito a visitare, oltre a molte altre, due celebri città, Genova e Firenze. Genova è magnifica, moltissime case somigliano piuttosto a palazzi, adorne di quadri dei migliori pittori italiani, però le strade sono cosi strette che due persone affiancate non riescono a passarci. In compenso, sono lastricate di marmo e molto pulite. Poi, nella prossima lettera, vi scriverò di quel che vedrò a Roma; adesso ho fretta di concludere vado al sole, dove mi è stato prescritto di restare il piú possibile. Statemi bene. Vi bacio le mani. Abbraccio mia sorella Marija, e Olin'ka, e mio nipote Kolja. Il vostro devoto figlio Nikolaj. Il mio indirizzo Roma via di Isidoro Casa Giovanni Masuci, n. 17 (vicino alla piazza Barbierini). AD ALEKSANDR SEMENOVIC DANILEVSKIJ 15 aprile [n.st.1837]. Roma. (...) Ma come ti è saltato il ticchio di andare in Svizzera, io ti aspettavo di giorno in giorno, credevo non ti saresti sottratto alla tua promessa e pensavo che da un momento all'altro la porta si sarebbe aperta e tu saresti entrato nella mia stanza - quand'ecco una lettera da Ginevra. E guarda un po' che periodo vai a scegliere! O forse non lo sai, e io non te l'avevo detto, che in primavera non si può andare in Svizzera.(...) E non ci hai guadagnato niente neppure per quanto riguarda il portafoglio. La Svizzera è piú cara. Io poi adesso non posso proprio raggiungerti. Non posso, in primo luogo perché è ancora presto; e in secondo luogo soprattutto perché sono rimasto senza soldi. Sono arrivato a Roma con duecento franchi soltanto, e se non fosse che tutto è terribilmente a buon mercato e che elimino quello che svuota il portafoglio, non ci sarebbero piú da un bel pezzo. (Per la stanza, vale a dire una vecchia sala con quadri e statue, pago trenta franchi al mese ed è l'unica cosa cara. Il resto costa tutto poco o niente. Se la mattina bevo un bicchiere di cioccolata pago poco piú di quattro sou, col pane e tutto. A pranzo le pietanze sono molto buone e fresche e me la cavo con quattro sou, a volte con sei. Di gelato ne mangio soltanto per quattro sou, e qualche volta per otto, non di piú. Ma in compenso un gelato cosi tu non te lo sei mai neanche sognato! Non quella porcheria che mangiavamo a Tortona e che a te piaceva tanto. Un burro!) Ormai sono diventato cosi taccagno che se spendo un baiocco di troppo (quasi un sou), poi mi rincresce per tutto il giorno. (...) Che dirti in generale dell'Italia? L'impressione che ho è di essere capitato da possidenti ucraini di vecchio stampo. Le case hanno le stesse porte decrepite, piene di buchi inutili, che sporcano i vestiti di gesso; antichi candelabri e lampade come quelle delle chiese. I cibi sono tutti particolari, tutti cucinati all'antica. Fin qui ho visto dappertutto un quadro di cambiamenti. Qui invece tutto si è fermato in un punto, e non va piú avanti. Quando sono arrivato a Roma la prima volta, non riuscivo a rendermene chiaramente conto. Mi era sembrata piccola. Ma col passare del tempo mi sembra sempre piú grande, gli edifici piú imponenti, i panorami piú incantevoli, il cielo piú bello, e di quadri poi, di rovine e antichità ce ne sarebbe da vedere per tutta la vita. Di Roma ti innamori molto lentamente, un po' alla volta - e per sempre. Insomma, tutta l'Europa è fatta per essere visitata, ma l'Italia è fatta per viverci. Lo dicono tutti quelli che sono rimasti a vivere qui. Del resto, è anche vero che è difficile scovare una terra dove si possa vivere cosi a buon mercato. Niente gingilli e nulla di tutto quanto a Parigi il gusto famelico escogita per divertirsi. Nei negozi ci sono soltanto Ossija e antichità. Ma in compenso per i piaceri delle arti... Non puoi avere la minima idea di cosa sia Raffaello. Rimarrai in piedi dinanzi a lui muto e tutt'occhi come un tempo restavi incollato alla sedia dinanzi alla Grisi. Però, che il diavolo ti porti! Avevo preparato per te l'appartamento e mi preparavo a farti da cicerone, e invece... Scrivi almeno dove pensi di essere fra un mese e mezzo, perché fra un mese e mezzo partirò dall'Italia per dare un'occhiata a qualche località termale tedesca. (...) Comunque, in ogni caso scrivi piú spesso, per favore, e fammi sapere di tutti i cambiamenti che mi hai tenuti nascosti, credo che te ne debbano capitare non pochi. Qualcosa di bello dobbiamo guardarlo assieme. Oppure tu fai apposta a prendermi per il naso. L'anno scorso, dopo avermi dato la tua parola di venire da me in Svizzera, te la sei svignata a Parigi. Adesso mi avevi promesso di venire senz'altro in Italia e te la sei svignata in Svizzera. Devi proprio avere un diavolo in corpo, che ti fa andare qua e là per dispetto. Dovresti, devi assolutamente provare la vita monastico-artistica dell'Italia, assaggiare il marmo e il gesso di cui qui c'è abbondanza, inebriarti delle stelle della notte che qui risplendono di uno straordinario fulgore, saziarti gli occhi di monaci e abati disseminati nelle strade come semini di papavero su una focaccia. Sono arrivato a Roma proprio alla vigilia della grande festa, e la prima cosa che ho visto è stato il Papa. Cosí ho rispettato una vecchia regola. Ho ascoltato la messa nella sconfinata San Pietro, che per quanta gente ci fosse dentro continuava a sembrare vuota. (...) A VARVARA OSIPOVNA BALABINA Baden Baden. 16 luglio [n.st.] 1837. Avevo promesso di scrivervi appena giunto nel luogo dove sarò costretto ad abbeverarmi, e riferirvi le impressioni suscitate in me dalla Svizzera dopo l'Italia. Mi è dispiaciuto lasciare Roma anche solo per un mese. E quando, addentrandomi nell'Italia settentrionale, al posto dei cipressi e dei pini a cupola di Roma ho visto i pioppi, ho avuto come una sensazione penosa. I pioppi snelli, alti, di fronte ai quali prima sarei senza dubbio andato in estasi, ora mi sono sembrati volgari. Per essere imparziale, avevo cercato di prepararmi in anticipo a come guardare la Svizzera e a non fare confronti fra questi due paesi. Pensavo che la natura dell'Italia fosse una strana architettura greco-romana con colonne, cupole piatte e piatte architravi. Che la natura della Svizzera fosse tetra, un'architettura gotica con volte angolose e guglie appuntite che svettano nel cielo, che fosse maestosa e ispirasse pensieri sconfinati; che la natura dell'Italia agisse sui sentimenti e quella svizzera sulla mente e altre sciocchezze del genere; casi pensavo, cercando di convincermi che mi sarebbe piaciuto dare un'occhiata alla Svizzera dopo l'Italia, cosí come dopo il Colosseo visitare la cattedrale di Colonia o dopo un pranzo ottimamente cucinato leggere i versi di Puskin. Sarà forse perché ho attraversato la deserta Savoia, perché ho visto i costoni nudi delle rocce, coperti da sparuti cespugli e pini appuntiti, simili ai nostri pini nordici, però in quel momento la Svizzera mi è sembrata la Siberia. Se avessi visto le valli di Chamonix o lo Jungfrau sono sicuro che le mie impressioni sarebbero state diverse. L'animo avrebbe provato un dolce tremito e un sacro orrore, gli occhi si sarebbero tuffati con voluttà in baratri spaventosamente belli vicino ai quali crescono come erbetta i boschi, i pini si arrampicano sui massi e zampillano le cascate, e allora la mia mente come uno zar sarebbe volata dalle cime innevate delle Alpi, rosee come l'ambra chiara, alle gole buie e alle verdi vallate. Un piacere selvaggio e al tempo stesso sublime! A propos, a Torino ci sono degli eccellenti biscotti da tè. Ecco la mia opinione chi è stato in Italia può dire addio agli altri paesi. Chi è stato in cielo non avrà mai voglia di tornare sulla terra. Mi sembra che l'anima non sarà piú in grado di godere lo splendido panorama di una qualsiasi località ricorderà ciò che è piú bello e ormai nulla sarà piú in grado di cacciarlo via. Quelle montagne che mi parevano azzurre prima dell'Italia, ora mi sembrano grigie. Non c'è aria, quell'aria diafana, trasparente. Il sole qui non ama la terra e gli uomini come in Italia. Là esso dà loro un colorito gioioso, scintillante. Insomma, l'Europa a confronto dell'Italia è lo stesso che una giornata cupa a confronto di una giornata di sole. Vi consiglierei di fare una cosa stare in Italia una settimana di piú e poi attraversare tutta l'Europa in un colpo solo, il piú velocemente possibile, senza fermarvi in nessun posto. Allora essa acquisterà una sua dignità e vista in velocità, forse, vi sembrerà piacevole. Per niente al mondo mi risolverei a vivere nel mezzo dell'Europa; in questo caso stare nel mezzo mi ripugna. (...) A MARIJA IVANOVNA GOGOL' Milano. 24 novembre [n.st.1837]. (...) L'idea di rivedere l'Italia ha fatto nuovamente si che lasciassi la Svizzera come un detenuto lascia la prigione. Questa volta ho scelto un'altra strada, via terra, attraverso le Alpi, la piú pittoresca che abbia mai avuto la fortuna di vedere. Immense montagne mostruose, selvagge, sfrecciavano lungo tutta la strada accanto ai finestrini della nostra diligenza, balenavano cascate tumultuose, tutte di polvere d'acqua. Per mezza giornata ci siamo arrampicati sul Sempione, una montagna che non è neppure delle piú alte, la nostra strada si avvolgeva intorno alla montagna dinanzi a intere catene di altri monti. Sul lato destro della strada i precipizi diventavano sempre piú profondi e spaventosi. Adesso tutto era finito in basso, quelle montagne che prima, come si suol dire, era difficile guardare senza farsi cadere il cappello di testa, ora sembravano nanerottoli; le rocce, i massi, le cascate, tutto si trovava sotto i nostri piedi. La nostra strada passava spesso attraverso la roccia, lungo un corridoio scavato nella pietra. Spesso eravamo sovrastati da una volta naturale. Spesso attraversavamo una lunga galleria artificiale di pietra, perché senza di essa la strada sarebbe stata ingombra di neve. E dopo aver trovato sulla vetta del Sempione quasi 20 gradi sotto zero, finalmente abbiamo iniziato una rapida discesa, passando accanto alle rocce, accanto alle cascate. Non potreste immaginare nulla di piú pittoresco. Nei dipinti non avete mai visto nulla di simile. Avevamo già lasciato la slitta per salire in carrozza e continuavamo a sfrecciare per strade tortuose circondate da monti simili a quadri. Siamo scesi in meno di tre ore da quelle montagne sulle quali ci eravamo arrampicati per quasi un'intera giornata e il clima alla fine era cosi cambiato che invece del ghiaccio abbiamo trovato quasi 12 gradi sopra zero. Le vallate italiane che si estendevano in lontananza offrivano una veduta cosi straordinaria! Finalmente è apparso il celebre Lago Maggiore con i suoi meravigliosi isolotti; forse avete sentito parlare dell'Isola Bella, uno degli isolotti, formato di nove livelli, di terrazze, palazzi e tutte le possibili piante del mondo. Superate alcune città ormai del tutto italiane sono giunto a Milano. È una città grande, forse piú grande di tutte le altre città italiane per popolazione, e ricorda un po' Parigi. Ma ciò che soprattutto colpisce è la vista della cattedrale. Immaginate una mole immensa, tutta marmo, statue e ornamenti traforati, simile a un merletto. Il teatro di Milano per dimensioni è il primo del mondo dopo quello napoletano. La pinacoteca, come in tutte le città italiane, è bellissima e per visitarla ci vorrebbero alcune giornate. Rimarrò ancora un giorno a Milano, poi partirò per Firenze e quindi andrò a Roma. Sono appena rientrato in Italia e mi sento già meglio. Ho già respirato la sua aria benedetta. Addio, a un altro momento. Statemi bene assieme a tutta la famiglia, che vi adora. Il vostro devoto figlio Nikolaj AD ALEKSANDR SEMENOVIC DANILEVSKIJ 2 febbraio [n.st.] Roma 1838. (...) Quanto a me, non mi sono mai sentito cosi immerso in una tale placida beatitudine. Oh Roma, Roma! Oh Italia! Quale mano mi strapperà da qui! Come va la tua Grisi? Mi sembrano cinquecento volte piú belle di prima. (A proposito della Grisi ho sognato che arrivavi a Roma insieme alla Grisi in carrozza e me la presentavi come tua moglie o tua amante, non ricordo bene, e la carrozza era tutta dorata.) Che cielo! Che giornate! L'estate non è estate, la primavera non è primavera, ma sono piú belle dell'estate e della primavera che ci sono negli altri angoli del mondo. Che aria! La bevo e non riesco a saziarmene, guardo e non mi stanco mai. Nell'anima ho il cielo e il paradiso. Adesso a Roma ho pochi amici, o meglio, quasi nessuno (i Repin sono a Firenze). Ma non sono mai stato cosi allegro, cosi soddisfatto della mia vita. (...) Adesso è tempo di carnevale Roma fa baldoria senza ritegno. Il carnevale è un fenomeno straordinario in Italia, e soprattutto a Roma tutti senza eccezione scendono in strada, tutti senza eccezione sono in maschera. Chi poi non ha la possibilità di travestirsi rivolta il pellicciotto o si impiastriccia il muso di fuliggine. Per le strade viaggiano alberi e intere aiuole, spesso si fa largo un carro tutto foglie e ghirlande, con le ruote decorate di foglie e rami che, girando, fanno un effetto straordinario, e nel carro è seduto un gruppo nello stile delle antiche festività di Cerere o di un quadro dipinto da Roberti. Sul Corso per la farina sembra nevicato. Avevo sentito parlare dei confetti, ma non credevo proprio che fosse cosi bello. Figurati che puoi gettare in faccia alla piú carina, foss'anche una Borghese, un intero sacchetto di farina e lei non si arrabbierà, ma ti ripagherà della stessa moneta. Bellimbusti e gentiluomini spendono diverse centinaia di scudi solo per la farina. Le carrozze sono tutte, dalla prima all'ultima, mascherate. Servitori, vetturini, tutti sono in maschera. Dalle altre parti solo il popolo gozzoviglia e si traveste. Qui tutto si rimescola. Una libertà straordinaria, della quale tu saresti senza dubbio entusiasta. Puoi parlare e offrire fiori assolutamente a qualsiasi donna. Puoi addirittura salire in carrozza e sederti fra loro. Le carrozze vanno tutte al passo. E per questo spesso delle birbe, arrampicati sui balconi, possono gettare per interi quarti d'ora palline di farina a manciate e a secchi a chi è seduto in carrozza, il piú delle volte sulle signore, che si fanno male ma ridono, e si limitano a coprirsi molto graziosamente gli occhi con la mano e a pulirsi il viso. Per gli intrighi amorosi è un periodo straordinariamente felice. In mia presenza sono state allacciate innumerevoli relazioni delle piú romantiche con alcuni miei conoscenti e persino con alcuni nostri pittori fatta eccezione, ovviamente, per Durnov. Tutte le belle donne di Roma sono venute allo scoperto, adesso ce n'è una tal quantità che da dove siano spuntate fuori lo sa solo Dio. Sino ad ora non le avevo mai incontrate non ne conoscevo neanche una. A proposito, hai consigliato Durnov di fare meno il cascamorto. No, il suo è un difetto incorreggibile. La sua finanziera accademica marrone, che credo ti sia ben nota, è stata rifatta vi ha aggiunto non so che mostre, o risvolti, tipo velluto. Sono arrivati alcuni nuovi pittori, tutte persone dall'aria imponente, robusti, piú eleganti dei vecchi, ma l'unico ad avere del talento è Loganovskij, che conosci per i versi scritti da Puskin sul suo giocatore di svajka. (...) Mammetta scrive che anche da noi ci sono le maschere, per il suo onomastico sono venute molte persone mascherate che hanno interpretato benissimo i loro ruoli. Poi, come al solito, aggiunge un invito a tornare a Vasil'evka, e dice che il clima ucraino è lo stesso dell'Italia e che Kricevskij guarisce tutte le malattie senza eccezione. Tormenta terribilmente mia sorella perché si sposi, o almeno dalle parole quanto mai enigmatiche e confuse della lettera traggo questa conclusione. Sono quasi pronto a scommettere che proprio mentre ti scrivo questa lettera lei è già in chiesa sotto la corona. Ma basta annoiarti. Non ho piú niente da scriverti o meglio, tutto quello che resta bisogna o annusarlo, o guardarlo, e inebriarsene. Lo sai da te. Addio! Sii saggio e scrivimi. Addio. Dimentica quanto ti ho annoiato e ricorda solo quanto ti voglio bene, a te, al mio compagno di viaggio, che cammina spalla a spalla con me lungo tutta la strada della vita, da quella volta che hai mangiato per la prima volta il ribes a casa mia. Non esser pigro e scrivi, indirizza non alla poste restante, ma al mio appartamento (tutto al sole) Strada Felice n. 126. Ultimo piano. [...] Cosa posso dirvi ora del popolo romano? Adesso sono preso dal desiderio di conoscerlo a fondo, di penetrarne il carattere, li osservo in tutto, leggo tutte le opere popolari che lo ritraggono e vi dirò che, forse, è il primo popolo del mondo dotato in cosi gran misura di senso estetico, dell'innata capacità di comprendere quel che viene compreso soltanto da una natura ardente, alla quale il freddo, calcolatore, mercantile intelletto europeo non ha potuto imporre le briglie. Come mi sono sembrati rivoltanti dopo gli italiani i tedeschi, con tutta la loro meschina onestà e il loro egoismo! Ma di questo credo di avervi già scritto. Penso che anche voi abbiate già sentito molti tratti di spirito del popolo romano, quell'arguzia per cui un tempo erano celebri gli antichi romani e ancor piú il gusto attico dei greci. Qui non accade niente senza che nel popolo nasca una qualche facezia o un epigramma. Durante le celebrazioni e le feste per la nomina dei cardinali, quando la città è stata illuminata per tre giorni - e a questo proposito voglio dirvi che il nostro amico Mezzofanti è stato fatto anche lui cardinale e va a spasso con le calzette rosse - durante queste feste è stato quasi sempre brutto tempo. Nei primi giorni di carnevale, invece, le giornate sono state perfettamente italiane, quelle giornate chiare, senza la piú piccola nuvoletta, che conoscete cosi bene, quando sullo sfondo azzurro del cielo splendono i muri delle case, tutti illuminati dal sole, con un bagliore che l'occhio nordico non riesce a sopportare, e il popolo immediatamente ha coniato una battuta "I dio vuol carnavale e non vuol cardinale". Questo mi fa tornare alla mente una facezia che circolava l'anno scorso, quando il Papa vietò il carnevale. Sapete che l'attuale Papa, a causa del suo gran naso, è stato ribattezzato pulcinella; ed ecco la battuta "Oh! questa si ch'è bella! proibisce il carnavale pulcinella!" Conoscevate i trasteverini, vale a dire gli abitanti dell'altra sponda del Tevere, che sono cosi fieri della loro pura origine romana? Essi considerano autentici romani solo se stessi. Un trasteverino non si è ancora mai sposato con una straniera (e considerano straniere tutte le donne che non sono della loro città) e mai una trasteverina si è maritata con uno straniero. Vi è mai capitato di ascoltarne la lingua e avete mai letto il loro celebre poema Il Meo Patacca, che è stato illustrato dal Pinelli? Ma voi, sicuramente, non avete avuto occasione di leggere i sonetti del poeta romano contemporaneo Belli che, del resto, vanno ascoltati quando li legge egli stesso. In essi, in questi sonetti, vi è tanto sale e tanta arguzia, assolutamente inattesa, la vita dei trasteverini di oggi vi è rispecchiata cosi fedelmente che vi farebbero ridere, e quella pesante nube che spesso incombe sulla vostra testa si dileguerebbe insieme alla vostra molesta e insopportabile emicrania. Sono scritti in Lingua romanesca e non sono stati pubblicati, ma poi ve li manderò. A proposito, visto che abbiamo cominciato a parlare di letteratura. Noi conosciamo solo la letteratura epica degli italiani, vale a dire la letteratura del tempo passato, del XV e XVI secolo. Ma bisogna sapere che nello scorso secolo XVIII, e persino alla fine del XVII, negli italiani s'è manifestata una forte inclinazione per la satira, per l'allegria. E se volete studiare lo spirito degli italiani di oggi, dovete studiarli nei loro poemi eroicomici. Figuratevi che la raccolta Autori burleschi italiani è composta di quaranta grossi volumi. In molti di essi brilla un tale umorismo, un umorismo cosi originale che sorprende che nessuno ne parli. Del resto, bisogna anche dire che solo le tipografie italiane possono stamparli. In molti vi sono certe espressioni indelicate che non a tutti è lecito leggere.