Arca Russa

Fiabe e personaggi delle tradizioni popolari - «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»

Beowulf - Giovedì, 05 Ottobre 2006, 21:31
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
«LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»

L'uccello d'oro[/size][/color]
C'era una volta un re che abitava in una reggia circondata da un bellissimo giardino. In quel giardino cresceva un albero fatato, il quale a ogni estate si caricava di mele tutte d'oro massiccio. Il re era così geloso di quel tesoro, che pretendeva che ogni giorno il suo ciambellano contasse le mele per essere sicuro che nemmeno un frutto fosse stato rubato durante la notte.
Immaginarsi come rimase male il mattino in cui seppe che mancava una mela! Incollerito, pregò il suo figliolo maggiore di montare la guardia durante la notte, e il principe ubbidì.
Si munì di arco e frecce e andò a sedersi ai piedi dell'albero; ma verso mezzanotte fu colto da un gran sonno e quasi senza avvedersene si assopì. Quando riaperse gli occhi al mattino, si accorse che mancava un'altra mela.
Il re, molto contrariato, pregò allora il figlio secondogenito di vegliare presso l'albero. Ma anche questo principe si addormentò e al mattino dopo mancava una terza mela.
Allora l'ultimo figlio si offerse di fare la guardia all'albero, ma il re si dimostrò molto perplesso, perché giudicava poco intelligente questo figlio minore. Tuttavia acconsentì, e il giovane principe andò a sedersi in giardino, ai piedi dell'albero. Verso mezzanotte si sentì preso da un gran sonno, ma incominciò a darsi dei pizzicotti per rimanere sveglio. Così poté vedere un uccello meraviglioso, dalle piume tutte d'oro, che stava volando via con una mela nel becco. Subito incoccò la freccia all'arco e la scagliò; ma non riuscì a colpire l'uccello, il quale perdette soltanto una penna e sparì. Il principe rientrò nella reggia con quella penna e la mostro al re, che radunò i ministri affinché l'esaminassero tutti insieme.
- Questa penna vale un regno - decretarono i ministri .
Ma il re commentò:- In questo caso voglio l'uccello tutto intero; una penna sola non mi serve.
Il figlio maggiore si offerse di andare in cerca dell'uccello, e, ottenuto il permesso e un bel cavallo, subito si mise in viaggio. Cammina cammina, giunse in una foresta dove improvvisamente gli apparve una volpe dal pelo rosso. Subito tirò l'arco giù dalla spalla, ma la volpe gridò:
- Non uccidermi, e in compenso ti darò un buon consiglio; so che vai alla ricerca dell'uccello d'oro: ascoltami: stasera arriverai a un villaggio dove vedrai due locande. Una sarà tutta illuminata e piena di gente; l'altra ti apparirà buia e misera, ma tu sii saggio e scegli quest'ultima: altrimenti te ne pentirai.
" Una volpe che osa darmi dei consigli!" pensò il giovane sdegnosamente; e subito le lanciò contro una freccia, ma non riuscì a colpirla. Verso sera il principe giunse davvero al villaggio e vide le due locande: una illuminata e l'altra silenziosa e buia. " Perché dovrei andare in quella brutta stamberga?" pensò il giovane; e subito si diresse verso l'albergo pieno di luce dove trovò allegra compagnia; incominciò a mangiare, a bere e a giocare ai dadi, e dimenticò l'uccello d'oro e tutto il resto.
Vedendo che non tornava, il re mandò alla sua ricerca il secondo figliolo. Anche lui incontrò la volpe che gli diede lo stesso consiglio; anche lui disubbidì ed entro nella locanda chiassosa e illuminata dove trovò il fratello e molti nuovi amici; anche lui incominciò a bere e a giocare e presto dimenticò tutto quando.
Non restava che il terzo figlio, il quale si offerse di partire alla ricerca degli altri due, ma il padre esitava:
- Se si sono smarriti i tuoi fratelli così intelligenti, come riuscirai a cavartela tu, il meno sveglio di tutti?- borbottava.
Ma il ragazzo tanto disse e tanto fece che finalmente il re lo lasciò partire.

Cammina cammina, anche lui trovò la volpe rossa seduta al margine della foresta, ma nemmeno per un attimo pensò di ucciderla. Ricevette da lei il medesimo consiglio, e, poiché era umile e non considerava con disprezzo le parole di nessuno, ubbidì e andò dritto filato alla locanda buia.
Al mattino dopo, uscendo dal villaggio, incontrò ancora la volpe che gli disse:
- Tra non molto arriverai a un castello dove vedrai molti soldati addormentati. Passa in mezzo a loro senza paura, attraversa tutte le stanze: nell'ultima troverai l'uccello d'oro chiuso in una gabbia di legno. Prendilo e portalo via, ma non toccare l'altra gabbia che vedrai, tutta d'oro massiccio! E ora monta sulla mia coda.
Incominciarono a viaggiare con la velocità del vento e in un baleno furono davanti al castello. Il giovane entrò, passò di sala in sala, fino a quando giunse nell'ultima e vide le tre mele d'oro e l'uccello d'oro chiuso in una gabbia di legno.
Accanto ve n'era un'altra d'oro massiccio. " Perché dovrei lasciare questo magnifico uccello in quella gabbia sudicia e rozza? " pensò il giovane, e mise l'uccello nella gabbia d'oro, ma subito l'animale lanciò uno strido tanto acuto che i soldati si svegliarono, afferrarono il giovane e lo condussero davanti al re.
- Meriteresti la morte - disse il re - tuttavia ti perdonerò e ti regalerò l'uccello d'oro se mi porterai il cavallo d'oro che galoppa più veloce del vento.
Il giovane si considerò fortunato, ringrazio il re e uscì dal castello; ma non sapeva quale direzione dovesse prendere.
Per fortuna, dopo aver fatto pochi passi, incontrò la sua amica volpe.
- Meriteresti che ti abbandonassi - disse la volpe- ma ti voglio bene e ti aiuterò ancora. Sali sulla mia coda e io ti porterò fino al castello dove vive il cavallo d'oro. Nella sua scuderia vedrai molti garzoni addormentati, i quali non si sveglieranno. Troverai anche due selle: una d'oro, e una di cuoio; sella il cavallo con quest'ultima e non toccare quella d'oro.
Il giovane promise di ubbidire; salì sulla coda della volpe e viaggiarono veloci come il vento; giunto al castello il principe entrò e vide il cavallo d'oro; ma al momento di sellarlo non seppe resistere alla tentazione, e gli mise sulla groppa la sella d'oro. Immediatamente il cavallo lanciò un alto nitrito, i garzoni si svegliarono, afferrarono il principe e lo condussero davanti al re.
- Dovrei tagliarti la testa- gli disse il re. - Ma ti perdonerò e ti darò anche il cavallo , se mi porterai la principessa del castello d'oro -
Uscito, il giovane incontrò di nuovo la volpe :
- Sei proprio disubbidiente ! - esclamò l'animale.- Doveri lasciarti alle tue disgrazie, ma ti voglio bene e ti aiuterò. Quando arriverai al castello d'oro ti nasconderai nel giardino e aspetterai che venga buio, perché è soltanto di notte che la principessa va a fare il bagno. Non appena uscirà di casa l'avvicinerai e le darai un bacio. Ella verrà con te...Ma non permettere che vada a salutare i suoi genitori, prima di partire, altrimenti avrai di che pentirti.
Protese la coda e il giovane montò a cavalcioni: e prima di sera erano giunti al castello d'oro. Il principe si nascose nel giardino e aspetto fino a mezzanotte; a quell'ora il portone del castello si aperse e la principessa uscì.
Era bella come un angelo; il giovane le si avvicinò e le baciò sulla guancia. La fanciulla gli sorrise e disse:
- Verrò dove tu vorrai, ma lasciami salutare i miei genitori.
Il principe, che ricordava le raccomandazioni della volpe, rispose di no, di no, ma la fanciulla lo pregava a mani giunte, e si inginocchiò ai suoi piedi piangendo.
Vedendola così angosciata egli non seppe più resistere e finalmente acconsentì. Ma la principessa era appena entrata nella camera di suo padre che il re si risvegliò, chiamò le guardie e fece arrestare il giovanotto.
- Meriti la morte - gli disse. - Tuttavia ti perdonerò se toglierai quella montagna che sorge davanti alle mie finestre. Ma devi far questo entro otto giorni. Se avrai eseguito quando ti chiedo, a nono giorno sarai libero, e ti darò anche mia figlia in moglie, altrimenti ti faro tagliare la testa.
Il principe non aveva la minima speranza di riuscire quell'impresa; tuttavia prese un badile e incominciò a spalare la terra. Lavorava giorno e notte, ma al termine dell'ottavo giorno la montagna sembrava più alta di prima.
Allora sedette a terra sconsolato. In quel momento gli apparve la volpe.
- Non meriti che io ti aiuti ancora - gli disse la buona bestia - Ma non posso dimenticare che tu non hai teso il tuo arco contro di me, quando mi hai incontrato al limite della foresta, come invece hanno fatto i tuoi fratelli. Riposati e dormi: al resto penserò io.
Il giovane si addormentò subito, e quando aperse gli occhi al mattino vide che la montagna era sparita. Felice corse dal re ad annunciargli che il lavoro era compiuto, e questi permise al giovane e alla figlia di partire. Salirono insieme in groppa a un cavallo, erano in viaggio da poco, quando si accorsero che la volpe galoppava a loro fianco.
- Hai avuto il premio più bello - disse l'animale, - ma devi conquistare anche il cavallo d'oro che appartiene alla principessa.
- Come posso impadronirmene?
- Conduci la principessa davanti al re che ti aveva mandato al castello d'oro ed egli ti consegnerà il cavallo. Monta in sella, poi saluta i presenti stringendo a tutti la mano: ma lascia la principessa per ultima. Quando avrai nella tua la mano di lei, tirala in groppa e sprona. Nessuno potrà raggiungervi perché il cavallo galoppa come il vento.
Il principe ubbidì: giunse al castello del re e fece tutto quando la volpe gli aveva suggerito. Poco dopo i due principi erano di nuovo in viaggio in groppa al cavallo d'oro. A un tratto si accorsero che la volpe galoppava ancora al loro fianco.
- Adesso devi prendere anche l'uccello d'oro - disse . - Quando giungerai al castello di quel re, nascondi la principessa in un boschetto vicino, poi entra nel cortile. Il re ti farà consegnare la gabbia, e allora sprona: nessuno ti raggiungerà più.
Il giovane fece come la volpe gli aveva detto, e poco dopo i principi volavano come il vento sul cavallo d'oro e la volpe galoppava al loro fianco.
- Adesso dovresti ricompensarmi per l'aiuto che ti ho dato - esclamò.
- Farò tutto ciò che vorrai !- disse il principe pieno di riconoscenza.
- Ebbene, voglio che tu mi uccida e che mi tagli la testa e le zampe.
- Non lo farò mai!
- In questo caso dovrò lasciarti - commentò la volpe, ma prima voglio darti un ultimo consiglio: non comperare carne da patibolo, e non sederti sull'orlo di un pozzo - Quindi sparì.
Il giovane scosse la testa:
- Che strano consiglio! - esclamò. - Perché mai dovrei comprare carne da patibolo? E non capisco nemmeno perché dovrei sedermi sull'orlo di un pozzo!

Continuarono a galoppare e finalmente giunsero al villaggio che il principe aveva già attraversato e dove i suoi fratelli erano rimasti a bere e a giocare. Giunti nella piazza principale videro che vi era stato eretto un patibolo, e che un corteo si stava avvicinando per accompagnare alla morte due condannati.
Con orrore il giovane riconobbe che si trattava dei suoi fratelli i quali, sperperato tutto il loro denaro, avevano commesso diversi furti per procurarsene dell'altro.
- E' possibile perdonarli e liberarli? - chiese al giudice.
- Si, se voi risarcite il danno pagando per loro.
Senza esitare il giovane consegnò al giudice tutto il denaro che possedeva e i due fratelli furono liberati. Ripresero tutti insieme e poco dopo giunsero alla foresta dove avevano incontrato la volpe.
- Fermiamoci qui - proposero i due fratelli. - Facciamo uno spuntino mentre ci riposiamo un poco.
Il principe acconsentì; scese da cavallo e senza pensarci sedette proprio sull'orlo di un pozzo.
Mangiavano e chiacchieravano, quando uno dei fratelli gli diede un colpo a tradimento e lo fecero cadere nel fondo. Poi i due malvagi si rivolsero alla principessa e le dissero:
- Tu verrai con noi al castello di nostro padre. Gli dirai che abbiamo conquistato il cavallo d'oro, l'uccello d'oro e te: se tu dirai la verità ti uccideremo -
La principessa non rispose, ma divenne pensierosa e triste. Ripresero il viaggio, in breve giunsero al castello e il re li accolse con grandi feste.
- Non solo ti riportiamo le tre mele che mancano all'albero - gli dissero - ma anche l'uccello d'oro, un cavallo d'oro e la figlia del re del castello d'oro.
Il re, tutto fiero di avere due figli tanto valorosi, ordinò danze e banchetti, e mostrava agli invitati l'uccello, il cavallo e la bellissima principessa.
Ma l'uccello non cantava, il cavallo non voleva mangiare e la principessa piangeva e sospirava.
Intanto il fratello minore giaceva in fondo al pozzo tutto stordito, ma vivo.
Il pozzo infatti non era molto profondo ed era senz'acqua. Il poveretto aveva cercato di arrampicarsi su per le pareti, ma esse erano troppo ripide e scivolose. Stava quasi per disperarsi quando vide affacciarsi all'orlo del pozzo la volpe.
- Ti voglio aiutare ancora una volta - gli disse. - Attaccati saldamente alla mia coda. Adesso torna a casa, dove la tua fidanzata ti aspetta - aggiunse la volpe appena il giovane fu uscito dal pozzo. - Ma bada che i tuoi fratelli hanno disseminato nel bosco molte spie. Essi non sono sicuri che tu sia morto, perciò i loro servi hanno l'incarico di ucciderti.
Il principe ringraziò e si incamminò verso casa con molta preoccupazione; poco dopo incontrò un mendicante, gli propose di scambiare gli abiti. L'altro ne fu contento, e il principe, camuffato da straccione, poté arrivare al castello del re senza che alcuno lo riconoscesse.
Ma, non appena entrò nel cortile, l'uccello si mise a gorgheggiare, il cavallo a scalpitare e la principessa a ridere e battere le mani.
- Perché tutto questo cambiamento? - chiese il re tutto sorpreso.
- Non so - rispose la fanciulla - Ma io, che ero triste, ora mi sento allegra come se il mio vero sposo fosse arrivato. E senza più paura raccontò tutto quando era successo.
Allora il re comandò che tutti gli abitanti del castello si adunassero alla sua presenza, e fra gli altri si presentò anche il giovane mendicante. Non appena lo vide, la principessa gli si gettò fra le braccia, l'uccello gli volò sulla spalla e il cavallo venne a strofinargli il muso sulle mani.
Il re allora ordinò che i due cattivi fratelli fossero messi in prigione e abbraccio con trasporto il suo figlio minore che si era dimostrato il migliore di tutti.
Poi vennero celebrate le nozze. Tuttavia il principe non dimenticava mai la volpe che lo aveva tanto beneficato.
Un giorno, mentre insieme a sua moglie andava a caccia nel bosco, se la vide comparire davanti. Aveva l'aspetto avvilito e piangeva.
- Tu hai ottenuto tutto ciò che desideravi - gli disse - invece le mie disgrazie non hanno mai fine. Ti supplico, tagliami la testa e le zampe !
Il principe non voleva, ma ricordò che le parole della sua amica volpe erano state sempre veritiere, e i suoi consigli sempre saggi. Si fece coraggio, tolse la spada dal fodero, e con un solo colpo decapitò il buon animale: poi gli tagliò anche le zampe.
Non appena ebbe fatto questo al posto della volpe comparve un bellissimo giovane che gli tese le mani sorridendo.
- Sono il fratello della tua sposa - spiegò - un incantesimo mi aveva mutato in volpe, e non potevo essere liberato che così.
Anche la principessa lo abbracciò, e da quel giorno tutti vissero felici e contenti.



di Jakob e Wilhelm Grimm

Zarevich - Giovedì, 05 Ottobre 2006, 21:42
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Carissimo! Proprio tu sei un grande favoleggiatore
Grazie!

Argonauta - Giovedì, 05 Ottobre 2006, 23:38
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Tu scrivi favole?
Se le scrivi postane qualcuna!

Beowulf - Venerdì, 06 Ottobre 2006, 13:10
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Il Forno

C'era una volta, ai tempi delle favole, quando i desideri potevano essere esauditi con gli incantesimi, un giovane principe.
Una vecchia strega l'aveva stregato e chiuso in un forno d'acciaio in mezzo alla foresta. Passarono gli anni e nessuno veniva a liberarlo.
Un giorno una giovane principessa, passando per il bosco perse la strada del ritorno al regno di suo padre. Dopo aver vagato per nove giorni si ritrovò in una radura del bosco in mezzo alla quale vide un vecchio forno d'acciaio. Dall'interno sentì una voce che le chiedeva come mai si trovava lì.
"Ho perso la strada del mio regno e non trovo nessuno che mi possa aiutare."
"Ti aiuterò io se anche tu farai quello che ti chiederò. Sono il figlio di un re molto più importante di tuo padre e voglio sposarti."
"Mio Dio - pensò la giovane, - cosa me ne faccio di un vecchio forno!" ma voleva tornare a casa e dunque disse di si.
Comparve una guida che stando al suo fianco e senza dire una parola in due ore la condusse al castello di suo padre.
La gioia fu grandissima all'arrivo della principessa....tanti baci e abbracci col vecchio padre, la ragazza racconto quello che era successo e della promessa fatta al forno di tornare; inoltre doveva portare con se una lama con la quale forare l'acciaio del forno.
Il padre svenne per la paura di rimandare nel bosco la sua unica figlia! Riprendendosi dette l'ordine di mandare nel bosco la bella figlia del mugnaio. La ragazza acconsentì e portò con se una lama.
Arrivata al forno si mise al lavoro ma era impossibile scalfire l'acciaio del forno.
La voce si fecce sentire all'alba:
"Mi sembra che sta per sorgere il giorno"
"Si è vero sento il rumore del mulino!"
"Vai via tu sei la figlia del mugnaio, deve venire la principessa".
Tornata al castello la giovane raccontò quello che era successo ma il re non voleva sentire parlare di mandare la figlia. Scelse una ragazza ancora più bella: la figlia del guardiano dei maiali a cui promise una grande ricompensa in oro.
Anche la seconda ragazza lavorò per 24 ore ma il mattino seguente la superficie del forno non aveva neanche un graffio. La voce si fece sentire:
"Mi sembra l'alba"
"Sembra anche a me, sento il corno che richiama i maiali"
"Vai via! sei la figlia del guardiano dei maiali ...deve venire la principessa."
La principessa si mise a piangere ma non c'era niente da fare. Prese la lama e andò al forno.
Dopo due ore di faticoso lavoro si era formato un piccolo foro nell'acciaio del forno...la ragazza sbircio all'interno e vide un giovane bellissimo elegantemente vestito e pieno di gioielli. Aumentò il ritmo e presto il foro permise l'uscita del principe.
"Il tuo lavoro mi ha liberato! Sarai la mia sposa”.
Il principe desiderava tornare subito al suo regno insieme alla sua futura moglie. La principessa invece voleva tornare al castello per salutare suo padre.
”Va bene ma non devi dire più di tre parole”.
Tornata al castello la principessa dimenticò presto la promessa: aveva tanto da raccontare alle amiche e al padre!
Subito una forza misteriosa portò il forno lontanissimo, oltre le colline di cristallo.
Il principe che era rimasto fuori, era ormai libero.
La principessa tornò nel bosco a cercare il suo fidanzato, portandosi dietro poche cose e denaro quasi niente, ma il forno era sparito! Lo cerco per nove giorni e intanto la fame si faceva sentire.
Una notte si arrampicò su un albero per paura delle bestie della foresta. Da lassù a mezzanotte vide una luce, forse era una casa.
“ Lì sarò al riparo”…allora scese dall'albero e incamminandosi verso la luce trovò una vecchia capanna tutta ricoperta dalle erbacce.
Sbirciando dalla finestra non vide nessuna persona. C’erano tanti rospi e un bel tavolo imbandito con bicchieri di cristallo e piatti d’argento.
Facendosi coraggio la ragazza busso alla porta. Un piccolo rospo aprì la porta e la fecce entrare. Tutti la salutarono e poi la fecero sedere. Chiesero da dove veniva e lei racconto tutto: di come aveva trasgredito all'obbligo delle tre parole con conseguente sparizione del forno. Adesso stava cercando il principe oltre le colline di cristallo.
I rospi le dettero da mangiare e da bere poi le prepararono un magnifico letto fatto di velluto e seta: dormì da dio!
Al mattino il rospo anziano mandò il piccolo rospo a portarle una scatola.
Prese dalla scatola tre aghi che la principessa doveva portare con se per poter riuscire a superare la montagna di ghiaccio, passare oltre le tre spade pungenti e attraversare il grande lago. Dopo essere riuscita in queste prove avrebbe riportato il suo principe. Poi le dette tre cose che sarebbero servite nel viaggio: tre grandi aghi, un piccolo aratro e tre noci. Doveva avere molta cura di loro.
La ragazza riprese il viaggio. Quando arrivò alla montagna di vetro che era tanto sdrucciolevole, lei si conficcò i tre aghi nelle suole delle scarpe e riuscì passo dopo passo ad arrivare in vetta. Là scelse con cura un luogo per nascondere gli aghi.
Arrivata alle tre spade penetranti si sedete sull’aratro e rotolò su. Finalmente arrivò di fronte ad un grande lago, e dopo averlo attraversato, arrivò ad un castello grande e bello.
All’ingresso disse alle guardie di essere una ragazza povera in cerca di lavoro. Comunque, lei seppe che il figlio del Re che lei aveva liberato dalla stufa di ferro nella grande foresta era nel castello.
Fu presa come sguattera in cucina.
Intanto il figlio del Re pensando che lei fosse morta si era fidanzato con un'altra fanciulla.
La sera, dopo aver finito i lavori, la ragazza sentì qualcosa in tasca e così trovò le tre noci che il vecchio rospo le aveva dato. Lei ne ruppe una coi denti e stava per mangiare il nocciolo quando si accorse che all’interno c’era un vestito meraviglioso.
Quando la promessa sposa sentì del vestito, venne e chiese se il vestito fosse in vendita dicendo:
"Non è un vestito per una sguattera”.
La ragazza disse di no, lei non lo avrebbe mai venduto ma se la sposa le accordava una cosa avrebbe potuto averlo gratis: Doveva per una notte lasciarla dormire nella camera del principe!
La sposa diede il suo permesso perché il vestito era così bello, e lei non ne aveva mai avuto uno uguale.
Quando stavano andando a letto disse al principe che la sciocca sguattera avrebbe dormito nella stanza della cameriera. Comunque, per maggiore sicurezza mise nei bicchieri dello sposo e della principessa un fortissimo sonnifero.
La principessa pianse tutta la notte mentre provava a parlare al principe:
“Ti ho liberato dalla stufa, e non mi riconosci più! Sono andata su una montagna di vetro, passata attraverso tre spade acute, ed un grande lago per trovarti e ancora tu non mi senti!"
Il cameriere del principe che passava la notte seduto fuori della stanza del suo padrone senti i lamenti e il pianto della ragazza e di mattina lo disse al suo padrone.
La sera successiva la ragazza aprì un'altra noce trovando un vestito ancora più bello.
La fidanzata del principe chiese ancora se era in vendita ma la ragazza non voleva soldi e chiese di nuovo di passare la notte nella camera del principe. La fidanzata del principe accetto ma come la sera prima, mise il sonnifero nel bicchiere del principe. Tutto fu uguale alla sera precedente e i camerieri avvisarono il principe.
E nella terza sera, quando la ragazza apri la terza noce trovò un vestito tutto d’oro di una bellezza mai vista.
La promessa sposa accetto di lasciare la sguattera nella camera del principe in cambio del vestito. Comunque, il figlio del Re era adesso in guardia e gettò via il sonnifero. Perciò, quando lei cominciò a piangere dicendo: "Amore Prediletto io ti ho liberato quando eri nella stufa di ferro nella foresta selvatica e terribile", il principe sentì tutto, l’abbracciò e decise di sposarla subito.
Partirono la sera stessa in una bella carrozza portando via i vestiti delle noci. Passarono il lago, le spade e la montagna e riuscirono ad arrivare indenni alla casetta dei rospi.
All’interno trovarono tutto cambiato: era un grande castello, ed i rospi erano tutti principi allegri e felici .
Poi il matrimonio fu celebrato, ed il figlio del Re e la principessa rimasero in questo castello che era molto più grande dei castelli dei loro padri.
Il vecchio Re si addolorò ad essere rimasto solo, ma la coppia felice lo portò a vivere con loro.
Avevano due regni, e vissero felici.


Wilhelm e Jacob Grimm

Beowulf - Sabato, 07 Ottobre 2006, 19:27
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
I musicanti di Brema

C’era una volta un vecchio asino che aveva lavorato sodo per tutta la vita. Ormai non era più capace di portare pesi e si stancava facilmente, per questo il suo padrone aveva deciso di relegarlo in un angolo della stalla ad aspettare la morte.
L’asino però non voleva trascorrere così gli ultimi anni della sua vita. Decise di andarsene a Brema, dove sperava di poter vivere facendo il musicista.
Si era incamminato da poco quando incontrò un cane, magro e ansante.
"Come mai hai il fiatone?" gli chiese.
"Sono dovuto scappare in tutta fretta per salvare la pelle" gli rispose il cane. "Il mio padrone voleva uccidermi, perché ora che sono vecchio non gli servo più".
"Purtroppo è vero – continuò - non sono più capace di rincorrere la selvaggina come una volta, e sono così debole che non spavento più nessuno. Ma ora come farò a procurarmi da mangiare?"concluse depresso.
"Vieni a Brema con me" suggerì l’asino. "Laggiù faremo fortuna con la musica: io suonerò il liuto e tu mi darai il ritmo con il tamburo"
Il cane accettò la proposta e s’incamminò con il nuovo amico.
Non avevano percorso molta strada che s’imbatterono in un gatto che miagolava disperato.
"Cosa ti è successo per lamentarti in questa maniera?" gli chiese l’asino.
"Sono vecchio e soffro d’artrite, per questo non sono più agile come una volta e devo stare al caldo. Ma vedendomi riposare vicino al caminetto, ieri il mio padrone si è infuriato, mi ha accusato di essere un fannullone, mi ha rimproverato di non saper acciuffare nemmeno un topolino e mi ha cacciato da casa. Senza pietà! Pensare che l’ho servito fedelmente per tutta la vita!… Ora non so proprio dove andare, non so proprio come sbarcare il lunario!" rispose singhiozzando il gatto.
"Allora vieni a fare il musicista con noi a Brema" gli dissero insieme l’asino e il cane.
Il gatto non se lo fece ripetere due volte e pieno di speranza si unì a loro.
Passando davanti ad una fattoria, furono distratti da un gallo che schiamazzava rincorso da una massaia.
"Mi vuole tirare il collo! Vuole me perché non ha un tacchino da cucinare per il pranzo della domenica! Mi vuole tirare il collo!" urlava terrorizzato.
I tre compari gli gridarono: "Vieni con noi! Con la tua bella voce conquisteremo Brema!"
Non ebbero il tempo di aggiungere altro che, appollaiato sulla schiena dell’asino, sentirono il gallo che li incitava:
"Corriamo, corriamo, prima che la padrona mi acchiappi!"
Una corsa disperata fin nel folto del bosco. Lì finalmente ripresero fiato!
Ormai si era fatto buio e, si sa, di notte non è prudente viaggiare. Dovevano cercare qualcosa da mangiare e un posto per dormire almeno per quella notte. Rifocillati e riposati, l’indomani sarebbero ripartiti per Brema.
Fu allora che sentirono dei rumori …
Nascosti tra i cespugli, si guardarono intorno … videro una casa: ecco da dove arrivavano brusio, risate e… un profumo d’arrosto!
Erano così stanchi e così affamati!
Cercando di non fare rumore si avvicinarono alla casa e, con cautela, sempre senza farsi scorgere, guardarono all’interno attraverso la finestra.
Non potevano credere ai loro occhi! In mezzo alla stanza c’era un tavolo colmo di buone cose: un tacchino ripieno, mortadelle invitanti, formaggi di tutti i tipi, pane d’ogni forma, torte stupende, frutta profumata,…
"Potremmo chiedere ospitalità…" non ebbero il tempo di aggiungere altro, che i quattro amici videro avvicinarsi al tavolo quattro ceffi paurosi. Dunque quello era il covo dei briganti!
Se quei tipacci li avessero visti, sarebbe stata la loro fine!
Si sa che la fame aguzza l’ingegno!
Nascosti tra i cespugli, studiarono un piano diabolico, che avrebbe spaventato quei briganti, così da obbligarli a scappare dal loro covo e da lasciare tutto quel ben di dio da mangiare a loro completa disposizione.
Nel buio e nella tranquillità della notte, interrotti solo dalla luce che irradiava dall’interno della casa e dal vociare sguaiato dei briganti, si avvicinarono alla finestra.
In silenzio perfetto l’asino appoggiò le zampe sul davanzale, il cane balzò sul dorso dell’asino, il gatto si arrampicò fin sulla testa del cane e il gallo si appollaiò sulle spalle del gatto.
Quindi ad un cenno dell’asino, diedero inizio al loro primo concerto:
… e fu tutto un ragliare, abbaiare, miagolare e schiamazzare.
Un inferno! Terrorizzati, i quattro briganti cercarono la salvezza fuori dalla casa, ma all’uscita furono investiti da un essere che calciava, graffiava, mordeva, beccava!
Un INFERNO! Scapparono per non tornare mai più in quel luogo maledetto!
I quattro amici non ci pensarono due volte: si precipitarono all’interno della casa, senza esitare si sedettero intorno al tavolo… e …
credo che siano ancora lì che mangiano e ridono, che ridono e mangiano…
Lì era il Paradiso!

Beowulf - Martedì, 10 Ottobre 2006, 13:15
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
I sette svevi

C'erano una volta sette svevi: Sciulz, Giacomo, Marco, Giorgio, Michele, Gianni e Gigino.
Insieme partirono in cerca di avventure. Poiché viaggiare era pericoloso, si fecero preparare una lancia, una sola ma molto lunga. Tenevano la lancia tutti e sette insieme: davanti Sciulz, il più coraggioso, dietro gli altri, fino a Gigino che chiudeva la marcia.
Un giorno, un grosso calabrone si mise a ronzare rumorosamente in un prato, sbattendo le alucce. Sciulz, tremando per la paura, gridò:
"Sento dei soldati che suonano il tamburo!".
Giacomo che teneva la lancia dietro di lui disse:
"Non c'è dubbio, sento l'odore della polvere e della miccia".
Sciulz, fuggendo, saltò lo steccato ma ricadde sui denti di un rastrello e il manico lo colpì in piena faccia.
"Ahi! Ahi! - gridò - mi arrendo!".
Gli altri sei saltarono lo steccato uno dopo l'altro gridando:
"Se tu ti arrendi, mi arrendo anch'io!".
Alla fine, poiché non si vedeva in giro nessuno, capirono di essersi resi ridicoli e giurarono di non dire nulla. Proseguirono il loro viaggio e, dopo alcuni giorni, giunsero in un prato, ove una lepre stava all'erta con le orecchie dritte e i grandi occhi spalancati.
I sette svevi, atterriti alla vista di quella spaventosa bestia, si consultarono: che fare? Se fossero fuggiti il mostro li avrebbe inseguiti e divorati tutti quanti.
Allora pensarono: "Dobbiamo attaccar battaglia. Chi si mostra audace è già a metà strada verso la vittoria!".
Tutti e sette presero la lancia, Sciulz in testa e Gigino in coda, ma Sciulz non osava avanzare, mentre Gigino dalla retroguardia gridava:
"Forza! Uccidiamo quel mostro!".
Ma Gianni: "Sei un bel fanfarone, strilli ma sei all'ultimo posto!".
Michele allora gridò: "Amici, abbiamo a che fare proprio con il diavolo!".
E Giorgio: "Se non è il diavolo, è almeno suo nipote o suo cugino!".
Allora Marco ebbe un'idea: "Gigino, passa avanti e io ti seguirò!".
Gigino fece finta di non sentire e Giacomo intervenne: "L'onore di guidare l'assalto tocca a Sciulz, il nostro eroe!".
Allora, Sciulz raccolse il suo coraggio e disse:
"Puntiamo la nostra lancia e facciamo vedere di cosa siamo capaci!".
E insieme si lanciarono all'attacco. Ma Sciulz, più si avvicinava al nemico, più urlava di terrore:
"Ahimè, la mia ultima ora è giunta!".
La lepre, spaventata dalle urla, fuggì.
"Perbacco! - gridò Sciulz - il diavolo è addirittura più furbo di quanto pensassi. Affronterebbe sei svevi; ma non sei svevi più uno Sciulz".
Ringalluzziti dall'impresa, i sette svevi ripartirono. Giunti sulla riva della Mosella, interrogarono un uomo per sapere se il fiume fosse profondo e se ci fosse un modo per raggiungere l'altra sponda. L'uomo, che era francese, non capiva una parola e chiedeva nella sua lingua:
"Quoi? Quoi?".
Sciulz capì: "Di qua!" e pensò che l'uomo gli indicasse il punto in cui il fiume si poteva attraversare a guado. Così, saltò nell'acqua, fu trascinato via dalla corrente e annegò.
Il suo cappello, spinto dal vento, raggiunse la riva opposta, un grillo vi balzò sopra e cantò: "Cri, cri, cri".
Gli altri sentirono questa voce e dissero:
"Sciulz ci sta chiamando, dice Qui! Qui!, attraversiamo!".
Tutti e sei si lanciarono nell'acqua e nessuno fu più visto tornare in Svevia.

Wilhelm e Jacob Grimm

Zarevich - Martedì, 10 Ottobre 2006, 13:59
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Caro Beowulf!
Tu sei bravissimo!
Zarevich

Argonauta - Martedì, 10 Ottobre 2006, 14:47
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Beowulf non è bravissimo: non ha risposto alla mia domanda! Wink

Beowulf - Martedì, 10 Ottobre 2006, 15:22
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Argonauta ha scritto: 
Beowulf non è bravissimo: non ha risposto alla mia domanda! Wink

Twisted Evil sono un diavoletto cattivo cattivo Twisted Evil Twisted Evil Twisted Evil Twisted Evil Wink

Argonauta - Martedì, 10 Ottobre 2006, 16:26
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Ok.... ti ho scoperto: tu scrivi favole!
Sparane qualcuna sul forum e falla finita! Very Happy
Forza! Non aver paura! Scrivi! Stasera mi voglio fare due risate! Very Happy Very Happy
.....scherzo! Mi piacerebbe anche a me scrivere favole......quasi quasi ci provo!

Ehemmm.........mmmhhmmm.....
C'era una volta...
-Un re!-diranno subito i miei piccoli lettori.
-No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.

Mi sembra un buon inizio! Very Happy Che dite? Wink

Beowulf - Martedì, 10 Ottobre 2006, 20:07
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Il sarto astuto

C’era una volta una principessa superba quando mai, la quale proponeva un indovinello a tutti quelli che venivano a corteggiarla e, se non riuscivano a risolverlo, li mandava via con le più mortificanti parole di derisione. Dappertutto si parlava del suo strano modo di procedere, e si diceva che colui che avrebbe avuto la fortuna di risolvere l’indovinello avrebbe sposato la principessa.
Avvenne che tre sarti arrivarono insieme al castello di questa sovrana. I primi due, quando seppero l’usanza che c’era, furono sicuri di riuscire nell’impresa perché in fatto di astuzia, dicevano, “davamo dei punti a tutti”. Il terzo era un capo ameno buono a nulla, inesperto perfino nella sua professione, ma svelto e ardito, e anche lui aveva molta fiducia di sapere risolvere un indovinello.
Invano gli altri due cercarono di persuaderlo a restare a casa: egli era ostinato e disse che voleva venire con loro a tutti i costi perché omai aveva deciso di tentare anche lui la prova. E si avviò con loro verso il castello, baldo e fiero come se fosse il padrone del mondo.
I tre sarti si presentarono dunque alla principessa dicendo di essere venuti a risolvere l’indovinello. E aggiunsero di essere le uniche persone al mondo capaci di farlo perché avevano tutti e tre un’intelligenza così sottile che ci si sarebbe potuto infilare un ago.
- Bene – disse la principessa, - ecco qua: io ho un capello di due colori: che colori sono?
- Se è così, - disse il primo, - sono il bianco e il nero come in quella stoffa che si chiama comunemente pepe e sale.
- Sbagliato, - disse la principessa. – Avanti il secondo.
- Non si tratta di bianco e nero, - rispose questi, - ma di bruno e rosso, come la zimarra che mio padre mette la domenica.
- Sbagliato ancora, - esclamò la principessa. – Avanti il terzo: questo mi sembra sicurissimo di indovinare giusto.
Il piccolo sarto si fece avanti tutto baldanzoso e disse:
- La principessa ha un capello d’oro e d’argento, e questi sono i due colori.
La principessa impallidì e per poco non venne meno dall’emozione perché il sarto aveva proprio indovinato l’enigma che, secondo lei, nessuno al mondo avrebbe mai saputo risolvere. Ma, appena tornata in sé, disse al sarto:
- Non è finita. Nella stalla qui sotto c’è un orso con il quale dovete passar la notte. Se domattina, quando verrò a trovarvi, siete ancora vivo, vi sposerò.
Il piccolo sarto accettò subito sentenziando:
- Un’impresa affrontata con coraggio è già superata per metà!
Ma la principessa si sentiva al sicuro perché fin allora quell’orso non aveva risparmiato nessuno di quelli ch’erano capitati fra le sue zampe. Venuta la sera, il piccolo sarto fu portato dall’orso, e, appena entrato nella stalla, la belva fece un gran balzo verso di lui.
- Piano, piano – disse il sarto, - che modi sono questi? Vedo che devo insegnarvi le buone maniere.
E, cavate di tasca delle noci, le spezzò tranquillamente fra i denti. A quella vista, l’orso sentì una gran voglia di noci e il sarto si cavò di tasca una manata non già di noci ma di sassi, e glieli offerse. L’orso se li mise in bocca ma, per quando si sforzasse, non riuscì a spezzarli.
- Che razza di stupido sono, pensò allora, - non riesco a spezzare delle noci!
E rivolgendosi al sarto:
- Per favore, me le spezzate?
- Oh, che buffo tipo siete! - esclamò il sarto. – Con una boccaccia così grande non sapete spezzare una noce!
E così dicendo sostituì abilmente una noce al sasso che l’orso gli porgeva, spezzandola in un baleno.
- Voglio provare ancora, - disse l’orso, sembra così facile.
E strinse e strinse a tutta forza i sassi fra i denti, senza riuscire a nulla. Quando la bestia fu stanca, il piccolo sarto tirò fuori di sotto la giacca un violino cominciò a suonare una musichetta. L’orso, appena la udì, cominciò istintivamente a ballare, e, dopo un po’, si fermò chiedendo al sarto se era difficile imparare a suonare il violino.
- Macchè – disse il sarto, - è un gioco da ragazzi. Con la sinistra premete le corde, con la destra maneggiate l’archetto e il resto vien da se. Coraggio, su: trallallà, trallallà!
- Oh, che bella cosa, - esclamò l’orso. – Se si fa così a suonare il violino, io posso imparare facilmente a ballare quando mi pare e piace. Che ne dite? Volete insegnarmi un po’?
- Di tutto cuore, - rispose il sarto, - basta che ci mettiate un po’ di volontà. Ma fatemi vedere le unghie. Diamine! Sono terribilmente lunghe, bisogna che le accorciate un tantino.
Per combinazione in un angolo della stalla c’era una morsa su cui l’orso distrattamente appoggiò le zampe: allora il sarto si affrettò a darvi una bella stretta imprigionando la bestia e, dopo averle detto:
- Aspettate un momento, che vado a prendere le forbici.
Lasciò li a grugnire e a lamentarsi la povera bestia, e lui si buttò su un mucchio di paglia a dormire. Frattanto la principessa era tranquilla, pensando di essersi sbarazzata del sarto; quando poi udì urlare l’orso, non ebbe dubbi che la faccenda fosse bell’è conclusa. Al mattino scese tutta allegra nella stalla, ma appena ebbe aperto la porta vide il sarto vivo e vivace come un pesce nell’acqua. Rimase sbigottita, ma non c’era nulla da fare perché ormai aveva dato la parola, e il re suo padre ordinò subito di far venire una carrozza nella quale tutti e due, il sarto e la principessa, furono portati in chiesa per essere sposati.
Non erano ancora partiti che gli altri due sarti, invidiosi del loro collega, entrarono nella stalla e liberarono l’orso, il quale, pieno di rabbia, si mise a correr dietro alla carrozza che portava i futuri sposi. La principessa udì la belva grugnire e urlare, e, piena di paura gridò al sarto:
- Abbiamo l’orso alle spalle, viene a portarti via!
Il sarto non stette a pensarci sopra, mise le mani a terra, sporse i piedi da finestrino e gridò:
- La vedete questa morsa? Se non ve ne andate subito sentirete che gusto ha.
L’orso rimase un momento a pensarci su, ma poi preferì voltarsi e tornare indietro.
Il sarto proseguì verso la chiesa con la principessa e se la sposò. E dopo il matrimonio furono felici e allegri come allodole vivendo sempre di buon accordo.

di Jachob e Wilhelm Grimm

Argonauta - Martedì, 10 Ottobre 2006, 21:04
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
La letteratura per l'infanzia mi piace molto. Da piccolo ero fanatico di Astrid Lindgren, che considero una scrittice assolutamente meravigliosa! In Italia questo tipo di letteratura (escludendo Rodari) non è mai stata presa in considerazione, quasi fosse figlia di un dio minore. Eppure anche l'odiato (dai cattedratici) Salgari ha scritto meravigliose pagine.... chi ha letto il bellissimo "Corsaro Nero" ? Mamma mia quanti ricordi.... Adesso c'è una serie con un topo come protagonista , "Geronimo Stilton", che merita attenzione, oltre che ad essere un fenomeno commerciale ( vende molto bene!) secondo me è interessante anche dal punto di vista del linguaggio. Credo che non sia frutto di una sola mente, le sue storie nascono da un team di scrittori: segno dei tempi? Very Happy

Beowulf - Domenica, 15 Ottobre 2006, 09:42
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
La piccola guardiana di oche


C'era una volta una regina che era vedova già da molti anni e aveva una bella figliola.
Quando questa fu grande, la fidanzò con il figlio del re di un paese lontano.
Quando arrivò il tempo delle nozze, e la fanciulla dovette partire per il lontano regno, la vecchia regina preparò le preziose suppellettili, i monili più rari, oro e argento, coppe e gioielli, e insomma, tutto quello che compone un tesoro regale: infatti, ella amava molto la sua figliola.
Le assegnò anche una damigella, che l’accompagnasse dallo sposo, e tutte e due ebbero un cavallo: il cavallo della principessa si chiamava Falada e, cosa straordinaria, sapeva parlare.
Quando arrivò l’ora del distacco, la vecchia madre condusse la figlia in camera sua, prese un temperino e si fece un taglio nel dito in modo che sanguinasse; vi mise sotto una salviettina e vi lasciò cadere tre gocce di sangue. Consegnò poi alla figlia il fazzoletto e le disse:
- Cara bambina, conserva bene questo talismano, perché ti proteggerà durante il viaggio. -
Così si separarono l’una dall’altra con grande dolore. La principessa mise la salviettina nel corpetto, si sedette sul cavallo e si avviò verso lo sposo.
Viaggiavano già da un’ora, e il caldo aveva fatto venire sete alla principessa, la quale disse alla sua damigella:
- Smonta da cavallo e vammi a prender l’acqua in quel ruscello con la coppa che porti per me, perché ho tanta sete. -
- Se avete sete, - rispose la damigella, che era invidiosa e malvagia – smontate voi da cavallo e andate a bere! Io non voglio essere la vostra serva. -
La principessa, che aveva molta sete, scese da cavallo, si chinò sull’acqua del ruscello non osando farsi dare la coppa d’oro, ed esclamò:
- Dio mio! -
Allora le tre gocce di sangue risposero: - Se lo sapesse tua madre, si spezzerebbe il cuore! –
Ma la principessa era umile: non disse niente e smontò da cavallo.
Cavalcarono così per diverse miglia, ma la giornata era calda, il sole scottava e presto ebbe sete di nuovo. Quando passarono vicino a un altro ruscello, la principessa disse ancora una volta alla sua damigella:
- Scendi da cavallo e dammi da bere nella mia coppa d’oro – perché aveva già dimenticato la sua risposta villana. Ma la damigella rispose con arroganza ancora più grande:
- Se volete bere, bevete da voi, non voglio essere la vostra serva. -
La principessa, che non ne poteva più dalla sete, scese da cavallo, si chinò piangendo sopra l’acqua corrente, e disse:
- Dio mio! - E le tre gocce di sangue risposero ancora: - Se lo sapesse tua madre, le si spezzerebbe il cuore! -
Mentre beveva così, chinata sull’acqua, la salvietta con le tre gocce di sangue le uscì dal corpetto e filò via con la corrente senza ch’ella se ne avvedesse. La damigella, però, se ne accorse, e se ne rallegrò moltissimo in cuor suo, perché sapeva di aver acquistato un nuovo potere sulla padrona, diventata debole e senza influenza dopo la perdita del suo talismano.
Mentre dunque ella stava per risalire sul suo cavallo, quello che si chiamava Falada, la damigella le disse:
- Falada, ora tocca a me! Tu prendi questo cavallo! – e la principessa dovette fare proprio così. Poi la cameriera, con arroganza sempre più grande, la fece spogliare dei suoi abiti regali, le fece indossare i suoi e la costrinse a giurare di non raccontare nulla di tutto questo a palazzo reale altrimenti l’avrebbe uccisa.
Ma Falada aveva visto tutto ed era stato attento.
La cameriera salì su Falada e la vera sposa sul ronzino, e così proseguirono, finché alla fine arrivarono al castello reale.
Grande gioia suscitò il loro arrivo e il figlio del Re, correndo loro incontro, aiutò la cameriera a scendere da cavallo credendo che fosse la sua sposa, conducendola per lo scalone con tutti gli onori, mentre la vera principessa rimaneva nel cortile.
Il vecchio Re, che guardava dalla finestra, la vide giù mentre aspettava, e notò come fosse distinta, bella e delicata. Allora andò di filato negli appartamenti reali e domandò alla falsa principessa chi fosse quella ragazza che aveva portato con sé e che aveva lasciato nel cortile.
- E’ una ragazza che mi sono portata per compagnia – ella rispose – datele del lavoro perché non stia in ozio.-
Ma il vecchio Re non aveva nessun lavoro per lei e non sapeva cosa farle fare.
Alla fine disse: - Ho un ragazzo che bada alle oche: potrebbe aiutare quello. –
Questo ragazzo si chiamava Corradino e la vera principessa dovette andare con lui a badare alle oche.
Poco tempo dopo, la damigella malvagia disse al principe:
- Carissimo, ho da chiederti una grazia. -
- Ti esaudirò con piacere – rispose quello.
- Chiama il beccaio e fa tagliare la testa a quel cavallo che mi ha portata fin qui, perché durante il viaggio mi ha fatto inquietare. -
In realtà temeva che il cavallo raccontasse come le cose erano andate. Fu dato ordine quindi di uccidere Falada; ma la notizia arrivò alle orecchie della vera principessa, che promise al beccaio una moneta d’oro in cambio di un servizio.
C’era una porta della città, dalla quale mattina e sera ella passava con le sue oche, e chiese al beccaio di legare la testa di Falada sotto l’arco di quella porta, perché la potesse rivedere ogni volta. Il beccaio glielo promise e legò ben bene la testa del cavallo al di sopra del portale.
La mattina presto, quando passava con Corradino sotto quel portale, la principessa diceva:

- Povero amico sospeso a corregge,
o mio Falada privo di vita! -

E la testa rispondeva:

- Principessina guardiana di gregge,
povera bimba da serva tradita,
alla regina il cuore non regge,
fino dal giorno che sei partita. -

Poi la principessa usciva dalla città, conducendo le oche al pascolo. Quando arrivava nel prato, si sedeva per terra e si scioglieva i capelli che erano d’oro puro. Corradino la guardava e si rallegrava a quella vista; ma poiché una volta gliene voleva strappare un paio, ella disse:

- Vento monello, soffia vicino,
togli il cappello a Corradino,
fagli percorrer tanto cammino;
poss’io le chiome ben pettinarmi
e in grosse trecce anche appuntarmi. -

E il vento venne, così forte che portò via il cappello di Corradino, il quale dovette correre a lungo e in largo prima di riacchiapparlo.
Quando finalmente riuscì a riprenderlo ella si era di nuovo appuntata i capelli e lui non poté strappargliene nemmeno uno. Corradino indignato non le rivolse più la parola e, così imbronciati, badarono alle oche fino a sera; e poi se ne ritornarono a casa. La mattina seguente, mentre passavano sotto il portale, la ragazza disse:

- Povero amico sospeso a corregge,
o mio Falada privo di vita! -

E Falada rispose:

- Principessina guardiana di gregge,
povera bimba da serva tradita,
alla regina il cuore non regge,
fino dal giorno che sei partita. -

Arrivata nei campi, la principessa sedette di nuovo sul prato e cominciò a pettinarsi i capelli d’oro; Corradino si avvicinò e voleva prenderne una ciocca; ma lei disse presto presto:

- Vento monello, soffia vicino,
togli il cappello a Corradino,
fagli percorrer tanto cammino;
poss’io le chiome ben pettinarmi
e in grosse trecce anche appuntarmi. -

Il vento cominciò a soffiare, gli portò via il cappello di testa e lo fece rotolare lontano; così Corradino dovette correre un bel pezzo prima di riacchiapparlo e quando tornò, ella si era già riappuntate le trecce.
Però, la sera, quando tornarono a casa, Corradino andò dal vecchio Re e gli disse:
- Non voglio più andare a pascolare le oche con quella ragazza.
- E perché? – domandò il vecchio Re.
- Perché mi fa sempre arrabbiare.
Il Re volle sapere per filo e per segno quello che succedeva e Corradino gli disse:
- La mattina, quando passiamo con le oche sotto l’oscuro portale dove c’è legata la testa di un cavallo, ella gli dice:
- Povero amico sospeso a corregge,
o mio Falada privo di vita!
E la testa risponde:
- Principessina guardiana di gregge,
povera bimba da serva tradita,
alla regina il cuore non regge,
fino dal giorno che sei partita.
E così Corradino raccontò tutto quello che accadeva nei prati e come gli toccava correre dietro al cappello.
Il vecchio Re gli ordinò di andare ancora il giorno seguente al pascolo e, appena fu giorno, si mise sotto l’oscuro portale e udì quello che la ragazza diceva alla testa di Falada. Poi andò nei campi, si nascose in un cespuglio e di lì, dopo un poco, poté vedere coi suoi occhi la ragazza e Corradino che arrivavano con le oche. Vide lei che si sedeva e si scioglieva le trecce che splendevano come l’oro, e la udì che diceva:

- Vento monello, soffia vicino,
togli il cappello a Corradino,
fagli percorrer tanto cammino;
poss’io le chiome ben pettinarmi
e in grosse trecce anche appuntarmi. -

E si levò il vento che portò via il berretto di Corradino, in modo che dovette corrergli dietro per riprenderlo mentre la ragazza si pettinava.
Il vecchio Re osservò tutto questo e poi se ne tornò via senza farsi scorgere.
La sera, quando la guardiana d’oche tornò a casa, la fece chiamare e le chiese perché faceva così.
- Non lo posso dire, - rispose lei – non lo posso dire a nessuno perché ho giurato, pena la vita, di tenere segrete le mie sventure.
Il Re fece molte domande alla fanciulla, cercando di sapere qualcosa intorno alla sua vita, ma inutilmente. Infine spazientito, le disse:
- Giacché non mi vuoi dire nulla, racconta le tue pene ai muri di questa stanza! – E se ne andò.
Allora la fanciulla si accoccolò in un cantuccio, cominciò a lamentarsi e a piangere, aprì il suo cuore e disse:
- Sono abbandonata da tutti in questo mondo benché sia figlia di regina. La mia cameriera m’ha stregata e m’ha costretta a spogliarmi dei miei abiti regali, ha preso il mio posto presso il mio promesso sposo e io devo fare la serva alle oche. Se la mia mamma lo sapesse, le si spezzerebbe il cuore! -
Il vecchio Re stava dall’altra parte della parete ad ascoltare e sentì tutto; rientrò nella sala, ne trasse fuori la principessa e la fece vestire con gli abiti regali: era bella in modo portentoso.
Il vecchio Re fece poi chiamare il figlio e gli svelò che la fanciulla da lui creduta sua promessa sposa non era una principessa, ma solo una serva, mentre la vera sposa era ora davanti a lui ed era stata sino allora costretta a badare alle oche.
E il giovane principe fu felice, perché la vedeva tanto bella e virtuosa.
Fu ordinato un grande pranzo, al quale dovettero prendere parte tutti gli amici e il popolo. A capo tavola sedeva lo sposo: da una parte aveva la principessa e dall’altra la cameriera; ma quest’ultima non aveva riconosciuto l’antica padrona che aveva tradita.
Quando ebbero mangiato e bevuto e tutti cominciavano a essere allegri, il vecchio Re propose un quesito alla falsa principessa; le disse:
- Che punizione si merita una persona che ha tradito il suo signore? – e raccontò il fatto che era accaduto. La damigella rispose:
- Non si merita niente di meglio ch’essere rinchiusa in un barile irto di chiodi e trascinata da due cavalli bianchi di strada in strada finché non muoia.
- Tu meriti questo – disse il Re – e ti sei data da sola la condanna che sarà eseguita.
E così fu.
Dopodiché il principe sposò la sua vera fidanzata e vissero a lungo felici e contenti.

di Jacob e Wilhelm Grimm

Beowulf - Giovedì, 19 Ottobre 2006, 11:56
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
L'acqua dell'eterna giovinezza

C'era una volta un re che era molto malato, così malato che i suoi tre figli ne provavano una gran pena. Per nascondere le loro lacrime si erano rifugiati nel parco del castello, allorquando videro venir loro incontro un vecchio al quale confidarono il loro tormento.
- Conosco un rimedio - disse l'uomo - è l'Acqua dell'Eterna Giovinezza. Qualche sorso basterà a guarire il re, ma è molto difficile procurarsela.
Il primo dei tre figli si precipitò al capezzale di suo padre e lo mise al corrente del suo desiderio di partire alla ricerca di questo miracoloso rimedio.
- L'impresa è troppo pericolosa, è meglio che io muoia, figlio mio - rispose il re in fin di vita - non voglio che tu rischi la tua vita.
Ma il figlio primogenito insistette e infine ottenne il consenso di suo padre, pensando che a missione compiuta avrebbe ereditato il suo regno. Il principe inforcò il suo robusto destriero e si mise in cammino. Cavalcò giorni e giorni, allorquando incontrò un nano che sembrava lo stesse aspettando.
- Dove vai così in fretta bravo cavaliere? - gli chiese il nano.
- Sei molto indiscreto, villano di un nano. - gli rispose il principe correndo come un lampo.
Il nano molto offeso, gli lanciò un sortilegio. Ben presto il cavaliere entrò nella gola di una montagna che si chiuse alle sue spalle impedendogli sia di andare avanti, che di retrocedere. Si trovò quindi prigioniero con il suo cavallo come in una fortezza. Durante questo tempo il re ammalato si disperava aspettando il suo ritorno. Il secondo dei figli chiese allora il permesso a suo padre di andare in cerca dell'Acqua dell'Eterna Giovinezza. Il re fece qualche difficoltà, ma finì per cedere. Il principe fece la stessa strada del fratello maggiore. Anch'egli incontrò il nano che gli fece la stessa domanda:
- Questo non ti riguarda maleducato di un nano. - rispose il principe proseguendo il cammino senza nemmeno degnarsi di voltarsi. Il nano, furioso, lanciò anche a lui un sortilegio. Il cavaliere entrò nella gola e fece la stessa fine di suo fratello e non ritornò. Ben presto il figlio minore pregò suo padre di lasciar partire anche lui alla ricerca dell'Acqua dell'Eterna Giovinezza. Il re acconsentì. Il giovane principe incontrò a sua volta il nano che gli chiese il motivo del suo viaggio.
- Mio padre sta per morire ed io sto tentando di trovare l'Acqua dell'Eterna Giovinezza per poterlo salvare - rispose il principe gentilmente.
- Sai almeno dove si trova? - gli chiese il nano.
- Ahimè! No - rispose il principe con rimpianto.
- Tu non sei orgoglioso come i tuoi fratelli, quindi t'indicherò dove trovarla. Quest'acqua miracolosa si trova nel cortile di un castello incantato, dove sgorga da una fontana. Ecco una bacchetta magica con la quale busserai tre volte alla porta del castello. Questa si aprirà e tu vedrai all'interno due leoni che fedelmente fanno la guardia. Getterai loro queste due forme di pane ed essi ti lasceranno passare. Vai dritto alla fontana e raccogli in una coppa l'Acqua dell'Eterna Giovinezza. Ma stai attento, bisogna che tu venga via prima che suonino i dodici colpi di mezzogiorno, in caso contrario rimarrai prigioniero nel castello.
Il principe ringraziò il nano e proseguì il cammino portando con se la bacchetta magica e le due pagnotte. Arrivò al castello e fece quello che gli aveva detto il nano. Mentre attraversava una magnifica sala incontrò una bella ragazza che l'abbracciò e gli diede una spada e un pane, poi l'accompagnò alla fontana.
- Tu mi hai liberata dall'incantesimo che sovrasta questo castello - gli disse - tra un anno celebreremo le nostre nozze e questo regno ti apparterrà. Ma ora bisogna fare in fretta, poiché stanno per suonare i dodici colpi di mezzogiorno.
Il principe riempì una coppa d'Acqua dell'Eterna Giovinezza, poi se ne andò prima che scoccasse l'ora prevista. Sulla via del ritorno incontrò il nano che l'aspettava.
- La spada, che è magica, ti permetterà di combattere i tuoi nemici ed il pane non si esaurirà mai - gli disse.
- Aiutami a trovare i miei fratelli - implorò il principe.
- Quando ti avvicinerai alle montagne blu, saranno liberati. Io li ho tenuti prigionieri per punire il loro orgoglio. Diffida della loro perfidia - disse il nano.
Il giovane ritrovò i suoi fratelli e raccontò loro tutto quello che gli era capitato. Tutti e tre i fratelli fecero insieme il viaggio di ritorno verso il castello del loro padre, ma durante il cammino attraversarono tre paesi dove imperversava la guerra e la carestia.
Il principe prestò la sua spada a ciascuno dei tre sovrani ed inoltre il pane magico. Li aiutò fino a quando non tornò la pace. Dopo un lungo viaggio e molte peripezie, i principi arrivarono finalmente al capezzale del loro padre.
L'ultimo dei tre fratelli tese la sua coppa al re che ne bevve il contenuto. Sfortunatamente la sua malattia si aggravò. Allora gli altri due fratelli presentarono al loro padre la coppa che avevano portato e che conteneva l'acqua che avevano sottratto al suo fratello sostituendola con quella salata.
Il sovrano, non solo guarì subito, ma si trovò anche ringiovanito. I due fratelli intriganti accusarono il più giovane di aver voluto avvelenare il loro padre allo scopo di ereditare il regno.
Poi lo presero anche in giro:
- Tu sei coraggioso, ma molto ingenuo, caro fratello. Noi abbiamo scambiato le coppe. Tra un anno uno di noi sposerà la principessa di cui tu ci hai parlato. Ma non parlare se non vuoi morire.
Nel frattempo il re era molto irritato. Poiché credeva che il suo giovane figlio avesse voluto attentare alla sua vita, lo fece condannare a morte dalla corte ed incaricò uno dei suoi cacciatori di eseguire la sentenza. Costui non ebbe il coraggio, poiché conosceva il principe sin dalla più tenera infanzia. Gli confessò l'incarico che aveva ricevuto, poi l'aiutò a fuggire nella foresta. Qualche tempo dopo arrivarono al castello tre carri pieni d'oro e di pietre preziose. Erano regalati dai tre re che aveva aiutato. Il vecchio re allora subodorò la verità e poco dopo venne a conoscenza dal cacciatore che suo figlio era ancora vivo.
Passò un anno.
La principessa nel frattempo aveva fatto costruire un viale pavimentato d'oro sino al cancello del suo castello e ordinò ai suoi servitori di lasciar entrare soltanto quel cavaliere che l'avesse attraversato senza esitazione, poiché sarebbe stato quello che lei aspettava.
Ben presto i principi più anziani si presentarono al castello, ma nessuno dei due osò calpestare il pavimento d'oro con il suo cavallo.
Al contrario il giovane principe che aveva finalmente lasciato la foresta, non ci fece nemmeno caso: cieco d'amore, galoppo dritto verso il castello fin davanti alla porta della principessa che l'accolse teneramente.
Le nozze furono celebrate tra la gioia di tutti.
Un giorno il principe venne a sapere che suo padre desiderava rivederlo. Andò quindi a trovarlo e gli raccontò la perfidia dei suoi fratelli. Allora il re volle castigarli, ma essi se n'erano fuggiti per sempre.

di Jacob e Wilhelm Grimm

Roberto - Giovedì, 19 Ottobre 2006, 13:07
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Argonauta ha scritto: 
Ok.... ti ho scoperto: tu scrivi favole!
Sparane qualcuna sul forum e falla finita! Very Happy
Forza! Non aver paura! Scrivi! Stasera mi voglio fare due risate! Very Happy Very Happy
.....scherzo! Mi piacerebbe anche a me scrivere favole......quasi quasi ci provo!

Ehemmm.........mmmhhmmm.....
C'era una volta...
-Un re!-diranno subito i miei piccoli lettori.
-No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.

Mi sembra un buon inizio! Very Happy Che dite? Wink


Ci ricorda qualcosa... )

Roberto

Beowulf - Venerdì, 20 Ottobre 2006, 20:52
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Cappuccetto Rosso

C'era una volta una cara ragazzina; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna, che non sapeva piu' cosa regalarle. Una volta le regalò un cappuccetto di velluto rosso, e, poichè le donava tanto ch'essa non volle più portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto Rosso.
Un giorno sua madre le disse:
- Vieni, Cappuccetto Rosso, eccoti un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino, portali alla nonna; è debole e malata e si ristorerà. Mettiti in via prima che faccia troppo caldo; e, quando sei fuori, va' da brava, senza uscir di strada; se no, cadi e rompi la bottiglia e la nonna resta a mani vuote. E quando entri nella sua stanza, non dimenticare di dir buon giorno invece di curiosare in tutti gli angoli.
-Farò tutto per bene, - disse Cappuccetto Rosso alla mamma e le diede la mano.
Ma la nonna abitava fuori, nel bosco, a una mezz'ora dal villaggio. E quando giunse nel bosco, Cappuccetto Rosso incontrò il lupo. Ma non sapeva che fosse una bestia tanto cattiva e non ebbe paura.
- Buon giorno, Cappuccetto Rosso, - egli disse.
- Grazie, lupo.
- Dove vai cosi presto, Cappuccetto Rosso?
- Dalla nonna.
- Cos 'hai sotto il grembiule?
- Vino e focaccia: ieri abbiamo cotto il pane; così la nonna, che è debole e malata, se la godrà un po' e si rinforzerà.
- Dove abita la tua nonna, Cappuccetto Rosso?
- A un buon quarto d'ora di qui, nel bosco, sotto le tre grosse querce; là c'è la sua casa, è sotto la macchia di noccioli, lo saprai già, - disse Cappuccetto Rosso.
Il lupo pensava: " Questa bimba tenerella è un grasso boccone, sarà piu' saporita della vecchia; se sei furbo, le acchiappi tutt'e due". Fece un pezzetto di strada vicino a Cappuccetto Rosso, poi disse:
- Vedi, Cappuccetto Rosso, quanti bei fiori? perché non ti guardi intorno? Credo che non senti neppure come cantano dolcemente gli uccellini! Te ne vai tutta contegnosa, come se andassi a scuola, ed è così allegro fuori nel bosco!
Cappuccetto Rosso alzò gli occhi e quando vide i raggi di sole danzare attraverso gli alberi, e tutto intorno pieno di bei fiori, pensò: " Se porto alla nonna un mazzo fresco, le farà piacere; è tanto presto, che arrivo ancora in tempo ". Dal sentiero corse nel bosco in cerca di fiori. E quando ne aveva colto uno, credeva che più in là ce ne fosse uno più bello e ci correva e si addentrava sempre più nel bosco.
Ma il lupo andò difilato alla casa della nonna e bussò alla porta.
- Chi è?
- Cappuccetto Rosso, che ti porta vino e focaccia; apri. - Alza il saliscendi, - gridò la nonna: - io son troppo debole e non posso levarmi.
Il lupo alzò il saliscendi, la porta si spalancò e, senza dir molto, egli andò dritto a letto della nonna e la ingoiò.
Poi si mise le sue vesti e la cuffia, si coricò nel letto e tirò le coperte .. Ma Cappuccetto Rosso aveva girato in cerca di fiori, e quando n'ebbe raccolti tanti che più non ne poteva portare, si ricordò della nonna e S'incamminò. Si meravigliò che la porta fosse spalancata ed entrando nella stanza ebbe un'impressione cosi strana che pensò:
" Oh, Dio mio, oggi, che paura! e di solito sto cosi volentieri con la nonna! " Esclamò:
- Buon giorno! - ma non ebbe risposta.
Allora s'avvicinò al letto e scostò le cortine: la nonna era coricata, con la cuffia abbassata sulla faccia e aveva un aspetto strano.
- Oh, nonna, che orecchie grosse!
- Per sentirti meglio.
- Oh, nonna, che occhi grossi!
- Per vederti meglio.
- Oh, nonna, che grosse mani!
- Per meglio afferrarti.
- Ma, nonna, che bocca spaventosa!
- Per meglio divorarti!.
E subito il lupo balzò dal letto e ingoiò il povero Cappuccetto Rosso.
Saziato il suo appetito, si rimise a letto, s'addormentò e cominciò a russare sonoramente.
Proprio allora passò li davanti il cacciatore e pensò: " Come russa la vecchia! devo darle un'occhiata, potrebbe star male ".
Entrò nella stanza e, avvicinatosi al letto, vide il lupo.
- Eccoti qua, vecchio impenitente, - disse, - è un pezzo che ti cerco.
Stava per puntare lo schioppo, ma gli venne in mente che il lupo avesse mangiato la nonna e che si potesse ancora salvarla: non sparò, ma prese un paio di forbici e cominciò a tagliare la pancia del lupo addormentato. Dopo due tagli, vide brillare il cappuccetto rosso, e dopo altri due la bambina saltò fuori gridando:
- Che paura ho avuto! com'era buio nel ventre del lupo!
Poi venne fuori anche la vecchia nonna, ancor viva, benché respirasse a stento. E Cappuccetto Rosso corse a prender dei pietroni, con cui riempirono la pancia del lupo; e quando egli si svegliò fece per correr via, ma le pietre erano cosi pesanti che subito s'accasciò e cadde morto.
Erano contenti tutti e tre: il cacciatore scuoiò il lupo e si portò via la pelle; la nonna mangiò la focaccia e bevve il vino che aveva portato Cappuccetto Rosso, e si rianimò; ma Cappuccetto Rosso pensava: " Mai più correrai sola nel bosco, lontano dal sentiero, quando la mamma te l'ha proibito ".

Raccontano pure che una volta Cappuccetto Rosso portava di nuovo una focaccia alla vecchia nonna, e un altro lupo volle indurla a deviare. Ma Cappuccetto Rosso se ne guardò bene e andò dritta per la sua strada, e disse alla nonna di aver incontrato il lupo, che l'aveva salutata, ma l'aveva guardata male:
- Se non fossimo stati sulla pubblica via, mi avrebbe mangiato.
- Vieni, - disse la nonna, - chiudiamo la porta, perché non entri.
Poco dopo il lupo bussò e gridò:
- Apri, nonna, sono Cappuccetto Rosso, ti porto la focaccia.
Ma quelle, zitte, non aprirono; allora Testa Grigia gironzolò un po' intorno alla casa e infine saltò sul tetto, per aspettare che Cappuccetto Rosso, la sera, prendesse la via del ritorno; l'avrebbe seguita di soppiatto, per mangiarsela al buio. Ma la nonna si accorse di quel che tramava. Davanti alla casa c'era un grosso trogolo di pietra, ed ella disse alla bambina:
- Prendi il secchio, Cappuccetto Rosso, ieri ho cotto le salsicce, porta nel trogolo l'acqua dove han bollito.
Cappuccetto Rosso portò l'acqua, finché il grosso trogolo fu ben pieno.
Allora il profumo delle salsicce sali alle narici del lupo, egli si mise a fiutare e a sbirciare in giù, e alla fine allungò tanto il collo che non poté più trattenersi e cominciò a sdrucciolare: e sdrucciolò dal tetto proprio nel grosso trogolo e affogò.
Invece Cappuccetto Rosso tornò a casa tutta allegra e nessuno le fece del male.

di Jacob e Wilhelm Grimm

Beowulf - Domenica, 05 Novembre 2006, 17:53
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
La fanciulla senza mani

Un mugnaio era caduto in miseria e gli erano rimasti soltanto il suo mulino e, dietro il mulino, un grande melo.
Una volta, che era andato nel bosco a far legna, gli si avvicinò un vecchio che non aveva mai visto e gli disse:
“Perché ti stanchi a spaccar legna! Ti farò ricco se mi prometti di darmi quello che sta dietro il tuo mulino”.
“Che cos’altro può essere se non il mio melo?”, pensò il mugnaio e disse: “Sì”, e per iscritto s’impegnò con lo sconosciuto.
Quello rise beffardamente e disse: “Fra tre anni verrò a prendermi quello che è mio” e se ne andò.
Quando il mugnaio arrivò a casa, sua moglie gli andò incontro e gli disse:
“Dimmi, mugnaio, da dove viene questa improvvisa ricchezza in casa nostra? In un attimo tutte le cassapanche e gli armadi si sono riempiti, eppure non è entrato nessuno; non so da dove venga”.
Il mugnaio rispose: “Da uno sconosciuto che ho incontrato nel bosco e che mi ha promesso grandi tesori, in cambio gli ho dato per iscritto quello che sta dietro al mulino – il vecchio melo glielo possiamo ben dare”
“Ah, marito mio! Quello era il diavolo, non all’albero di mele pensava, ma a nostra figlia, che spazzava il cortile proprio dietro il mulino”.
La figlia del mugnaio era una fanciulla bella e pia che visse quei tre anni nel timor di Dio e senza peccato. Quando il tempo fu trascorso, il giorno in cui il diavolo, il maligno, doveva venire a prenderla, si lavò bene e, col gesso, fece attorno a sé un cerchio.
Il diavolo arrivò di buonora, ma non poté avvicinarla. Arrabbiato disse al mugnaio:
“Porta via tutta l’acqua in modo che non possa più lavarsi, perchè io non ho più potere su di lei”.
Il mugnaio si spaventò e obbedì.
Il mattino seguente tornò il diavolo, ma lei aveva pianto sopra le proprie mani che erano pulite. Di nuovo non poté avvicinarsi a lei, e furioso replicò al mugnaio:
“Tagliale le mani, altrimenti non posso averla”.
Il mugnaio si spaventò e disse: “Come potrei mai tagliare le mani alla mia figliola?”.
Allora il maligno lo minacciò e disse. “Se non lo farai sarai mio e prenderò te”.
Il padre, spaventato, promise di obbedire. Andò dalla fanciulla e le disse:
“Cara figlia, se non ti taglio tutte e due le mani, il diavolo mi porterà via e nello spavento gliel’ho promesso. Salvami da questa angoscia e perdonami il male che ti faccio”.
Lei rispose: “Caro padre, fate di me quello che volete, io sono vostra figlia”.
Porse le mani e se le lasciò tagliare.
Il diavolo venne per la terza volta, ma lei intanto aveva pianto sui suoi moncherini che erano tutti puliti. Allora il diavolo dovette andarsene: aveva perso ogni diritto su di lei.
Il mugnaio disse alla figlia: “Per merito tuo ho guadagnato tante ricchezze, per tutta la vita ti tratterò da regina”.
Ma lei rispose: “Qui non posso più restare, me ne andrò. Gente pietosa mi darà quanto mi sarà necessario”. Si fece legare le braccia tagliate dietro la schiena, e al levar del sole si mise in cammino e camminò tutto il giorno fino a che venne notte. Giunse al giardino di un re, al chiaro di luna vide alberi carichi di frutta; ma non poteva entrare perché il giardino era circondato dall’acqua. E poiché aveva camminato tutto il giorno senza nemmeno un boccone, e la fame la tormentava, pensò: “Potessi entrare là dentro e mangiare un po’ di quella frutta, altrimenti morrò di fame”. Si inginocchiò, invocò il Signore Dio e pregò. Ad un tratto venne un angelo che costruì una chiusa nell’acqua, così che il fosso si asciugò e lei poté attraversarlo. Così entrò nel giardino e l’angelo la seguì.
Videro un albero pieno di frutta, erano pere belle, ma tutte contate. Lei si avvicinò e per saziare la fame ne prese una sola, staccandola con la bocca. Una e non di più. Il giardiniere la vide, ma siccome le stava vicino l’angelo, ebbe paura e pensò che la fanciulla fosse uno spirito. Finita la pera, fu sazia e si nascose fra i cespugli.
Il re, padrone del giardino, scese il mattino seguente, contò le pere e vide che ne mancava una e domandò al giardiniere dove fosse finita. Sotto l’albero non c’era. Il giardiniere rispose:
“La scorsa notte venne uno spirito, non aveva mani e ne ha mangiata una staccandola con la bocca”.
Il re disse: “E come è venuto lo spirito passando sopra l’acqua? E dov’è andato dopo aver mangiato la pera?”
Il giardiniere rispose: “E’ arrivato uno con un abito bianco come la neve, ha abbassato la chiusa e arrestato l’acqua, perché lo spirito potesse entrare nel giardino. Doveva essere un angelo, così ho avuto paura, non ho chiesto niente né ho chiamato. Quando lo spirito ebbe mangiato la pera, se ne è andato di nuovo”.
Il re disse: “Se è andata proprio come dici, io veglierò con te questa notte”.
Quando si fece notte, il re andò nel giardino e portò con sé un prete che doveva rivolgere la parola allo spirito. Tutti e tre se ne stettero sotto l’albero in attesa.
A mezzanotte venne la fanciulla dai cespugli, si avvicinò all’albero e mangiò un’altra pera staccandola con la bocca, accanto a lei c’era l’angelo con il vestito bianco. Allora il prete si avvicinò e disse:
“Sei venuta dal cielo o dalla terra? Sei uno spirito o una creatura umana?”
Lei rispose: “Non sono uno spirito, ma una povera creatura, abbandonata da tutti, ma non da Dio”.
E il re disse: “Se tutti ti hanno abbandonata, io non lo farò”.
La prese con sé al castello reale, e perché era tanto bela e buona, la amò con tutto il cuore, le fece costruire delle mani d’argento e la prese in sposa.
Un anno dopo, il re dovette partire per la guerra, affidò la giovane sposa a sua madre dicendole:
“Quando sarà l’ora del parto abbiatene cura e scrivetemi subito una lettera”.
La regina diede alla luce un figlio. La vecchia madre s’affrettò a scrivere al re la bella notizia.
Per la strada il messo si riposò accanto a un cespuglio e, stanco della lunga via, s’addormentò. Allora venne il diavolo, che sempre cercava di fare del male alla buona regina, e cambiò la lettera con un’altra, in cui era scritto che la regina aveva partorito un mostro.
Quando il re lesse la lettera, si spaventò e si rattristò molto, ma rispose che avesse cura della regina fino al suo ritorno.
Il messo tornò con la lettera, si riposò nello stesso luogo e s’addormentò di nuovo. Tornò il diavolo e gli scambiò la lettera in tasca. La lettera ordinava che venissero uccisi sia la regina che il bambino.
La vecchia madre si spaventò leggendo questa lettera e, non potendo crederci, scrisse di nuovo al re. Ma non ricevette altra risposta, perché ogni volta il diavolo dava al messo una falsa lettera. Nell’ultima c’era scritto di conservare la lingua e gli occhi della regina, come prova.
Ma la vecchia madre piangeva all’idea di dover fare uccidere quelle creature innocenti, e di notte mandò a prendere una cerva, le strappò la lingua e gli occhi e li conservò. Poi disse alla regina:
“Non posso farti uccidere come vuole il re, ma non puoi più rimanere qui a lungo; va col tuo bambino nel vasto mondo e non fare più ritorno!”
Le legò il bimbo sulla schiena e la povera madre se ne andò con gli occhi pieni di lacrime.
Arrivò in un bosco, s’inginocchiò a pregare e le apparve l’angelo del Signore e la portò in una piccola casa. Sulla casetta c’era un cartello che diceva: “Qui ognuno può abitare e non pagare”.
Dalla casa uscì una fanciulla bianca come la neve che disse: “Benvenuta, regina”, e la condusse dentro.
Le tolse il bimbo dalla schiena e glielo sorresse al petto, così che potesse succhiare, poi lo mise in un lettino già bello e pronto. Alla povera fanciulla rispose:
“Sono un angelo di Dio mandato qui per avere cura di te e del tuo bambino”.
Sette anni ella visse in quella casa e fu accudita e, per la sua bontà, il Signore le fece la grazia e le ricrebbero le mani che le erano state tagliate.
Finalmente il re tornò dalla guerra e chiese subito di vedere la moglie e il bambino. Allora la vecchia madre si mise a piangere e disse:
“Perché, tu, uomo malvagio, mi hai scritto di uccidere due innocenti!”, e gli mostrò le lettere, che il maligno aveva falsificato e continuò: “Ho fatto come mi hai ordinato” e gli fece vedere le prove: lingua e occhi.
Allora il re pianse, e molto più amaramente, sulla sua povera regina e sul figlio, tanto che la vecchia madre ne ebbe pietà e gli disse:
“Calmati, datti pace, è ancora viva! Di nascosto ho fatto uccidere una cerva e da questa ho preso le prove. A tua moglie ho legato il bimbo sulla schiena e le ho detto di andare per il mondo e di non tornare più, perché tu eri così adirato con lei”.
Allora il re disse: “Andrò fino a dove il cielo è azzurro, non mangerò e non berrò fino a che non avrò ritrovato la mia cara moglie e il mio bambino, se nel frattempo non sono morti di fame o di altro”.
Ed errò in quei sette anni e la cercò per rupi e caverne, ma non la trovò e pensò che fosse morta di stenti. In tutto quel tempo non bevve e non mangiò, ma Dio lo mantenne in vita.
Alla fine giunse in un grande bosco e trovò la casetta e sopra il cartello con le parole famose. Uscì una fanciulla bianca, lo prese per mano, lo fece entrare e lui le raccontò:
“Sono quasi sette anni che vago cercando mia moglie e mio figlio, ma non sono riuscito a trovarli”.
L’angelo gli offrì da mangiare e da bere, ma egli rifiutò e volle solo riposare un poco. Si mise a dormire, e si coprì il viso con un fazzoletto.
Allora l’angelo andò nella stanza dove c’erano la regina e il bambino, che lei chiamava Doloroso, e le disse:
“Va con tuo figlio, il tuo sposo è arrivato.”
E lei andò dove era sdraiato il re e il fazzoletto gli cadde dal viso.
Allora lei disse: “Doloroso, raccogli il fazzoletto a tuo padre e coprigli il volto”.
Il bambino lo raccolse e coprì il volto dell’uomo. Il re, nel dormiveglia udì e, apposta, fece di nuovo cadere il fazzoletto. Allora il bambino si spazientì e disse:
”Cara mamma, come posso coprire il volto a mio padre! Io non ho padre sulla terra. Ho imparato la preghiera che dice: “Padre nostro che sei nei cieli”, e tu mi hai detto che mio padre era in cielo e che era il buon Dio. Come potrei riconoscere un uomo così selvaggio? Non è mio padre!”
Quando il re udì ciò si drizzò a sedere e chiese alla donna chi fosse.
Ella rispose: “Sono tua moglie e questo è tuo figlio Doloroso”.
Ed egli vide le sue mani vive e vere e disse: “Mia moglie aveva mani d’argento”.
Ella rispose: “Le mie vere mani me le ha fatte ricrescere Dio misericordioso”, e l’angelo andò nella stanza, prese quelle d’argento e gliele mostrò.v Allora vide con certezza che quelli erano proprio la sua cara moglie e il suo caro bambino, e fu felice e li baciò e disse:
”Un gran peso mi è caduto dal cuore”.
L’angelo di Dio di nuovo diede loro da mangiare, poi andarono a casa della vecchia madre.
Dappertutto ci fu gran gioia e il re e la regina celebrarono un’altra volta le nozze e vissero felici fino alla loro santa morte.

di Jacob e Wilhelm Grimm

Beowulf - Sabato, 25 Novembre 2006, 22:21
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Il fedele Giovanni

C'era una volta un vecchio re che era malato e pensava: «Questo sarà il mio letto di morte!».
Allora disse: «Fate venire il mio fedele Giovanni».
Il fedele Giovanni era il suo servo prediletto e si chiamava così perché gli era stato fedele per tutta la vita. Quando fu al suo capezzale, il re gli disse:
«Mio fedelissimo Giovanni, sento che la mia fine si avvicina e temo solo per mio figlio. È ancora in un'età in cui spesso non si sa che via scegliere, e se tu non mi prometti di insegnargli tutto quello che deve sapere, e di essere il suo tutore, non posso chiudere gli occhi in pace».
Il fedele Giovanni rispose: «Non lo abbandonerò e lo servirò con fedeltà, dovesse costarmi la vita».
Allora il vecchio re disse: «Muoio contento e in pace». E aggiunse: «Dopo la mia morte devi mostrargli tutto il castello: tutte le stanze, le sale, i sotterranei e i tesori che in esso vi sono. Solo una camera devi nascondergli: quella dove c'è nascosto il ritratto della principessa dal Tetto d'oro; se per caso la vedesse, proverebbe per lei un amore ardente, cadrebbe svenuto e correrebbe gravi pericoli; devi salvarlo».
E dopo che il fedele Giovanni ebbe rinnovata la promessa, il vecchio re tacque, adagiò la testa sul cuscino e morì.
Quando il re fu seppellito, il fedele Giovanni raccontò al giovane quello che aveva promesso a suo padre sul letto di morte e disse:
«Lo manterrò certamente e ti sarò fedele, dovesse costarmi la vita».
Il giovane piangendo esclamò: «Io pure non dimenticherò mai la tua fedeltà».
Finito il lutto, il fedele Giovanni gli disse: «È tempo che tu veda i tuoi beni; voglio mostrarti il castello di tuo padre».
Lo condusse in giro da ogni parte, su e giù, e gli fece vedere tutti i tesori e le splendide stanze; soltanto la camera che racchiudeva il ritratto non aprì. Il ritratto era posto in modo che aprendo la porta lo si vedesse subito; era dipinto con tanta arte da sembrare vivo e non vi era al mondo nulla di più soave e di più bello. Ma il giovane re si accorse subito che il fedele Giovanni passava sempre davanti a questa porta senza fermarsi e disse:
«Perché questa non la apri?».
«Vi è qualcosa dentro che ti spaventerebbe», rispose il servo.
Ma il re replicò: «Ho visto tutto il castello; voglio sapere anche che cosa c'è qua dentro».
Andò alla porta e cercò di aprirla con forza. Allora il fedele Giovanni lo trattenne e disse:
«Prima di morire, ho promesso a tuo padre che non avresti visto quello che vi è nella stanza: potrebbe causare ad entrambi grande sventura».
«No», rispose il giovane re, «se non entro è la mia rovina: non avrò pace né di giorno né di notte, finché non l'avrò visto; non me ne andrò di qui finché non avrai aperto.»
Il fedele Giovanni vide allora che non vi era più nulla da fare e, col cuore grosso e molti sospiri, cercò la chiave nel grosso mazzo. Poi aprì la porta della stanza ed entrò per primo pensando che il re non potesse vedere il ritratto; ma questi era troppo curioso, si mise sulla punta dei piedi e guardò al di sopra della sua spalla. E quando vide l'immagine della fanciulla, così bella e splendente d'oro, cadde a terra svenuto. Il fedele Giovanni lo sollevò, lo portò a letto e pensò preoccupato: «La disgrazia è avvenuta; Signore, Iddio, che avverrà mai?». Poi lo rianimò con del vino, ma la prima cosa che il giovane disse quando si riebbe fu:
«Ah, di chi è quel bel ritratto?».
«È la principessa dal Tetto d'oro», rispose il fedele Giovanni.
Allora il re disse: «Il mio amore per lei è così grande che se tutte le foglie degli alberi fossero lingue, non potrebbero esprimerlo. Pur di ottenerla in sposa rischierei la vita; tu sei il mio fedelissimo Giovanni e devi aiutarmi».
Il fedele servitore rifletté a lungo su come agire, poiché giungere al cospetto della principessa era cosa assai difficile. Alla fine escogitò un sistema e disse al re:
«Tutto ciò che la circonda è d'oro: tavoli, sedie, piatti, bicchieri, scodelle e ogni altra suppellettile. Fra i tuoi beni vi sono cinque tonnellate d'oro: fanne lavorare una dagli orefici del regno, che ne facciano ogni sorta di vasellame e di utensile, ogni sorta di uccelli, fiere e mostri, con queste cose tenteremo la fortuna».
Il re fece radunare tutti gli orefici e li fece lavorare giorno e notte, finché furono pronti gli oggetti più splendidi. Il fedele Giovanni fece allora caricare il tutto su di una nave, indossò abiti da mercante e così fece pure il re in modo da rendersi irriconoscibile. Poi salparono e navigarono a lungo finché giunsero alla città nella quale abitava la principessa dal Tetto d'oro.
Il fedele Giovanni disse al re di rimanere sulla nave e di aspettarlo.
«Forse», disse, «porterò con me la principessa, per questo abbiate cura che tutto sia in ordine: esponete il vasellame d'oro e fate adornare tutta la nave.»
Poi radunò nel grembiule ogni sorta di oggetti d'oro, sbarcò e andò dritto al castello reale.
Quando giunse nel cortile del castello c'era alla fonte una bella fanciulla, che aveva in mano due secchi d'oro e attingeva l'acqua. Quand'ella si volse per portar via l'acqua dai bagliori dorati, vide lo straniero e gli domandò chi fosse. Allora egli rispose:
«Sono un mercante» e aprì il grembiule, perché potesse guardarvi dentro.
Allora ella esclamò: «Oh, che begli oggetti d'oro!»; depose i secchi e si mise ad esaminarli uno dopo l'altro.
Poi disse: «Deve vederli la principessa, gli oggetti d'oro le piacciono tanto che ve li comprerà tutti».
Lo prese per mano e lo condusse fino alle stanze superiori, poiché era la cameriera.
Quando la principessa vide la merce, tutta contenta disse: «È così ben lavorata che voglio comprarti tutto».
Ma il fedele Giovanni disse: «Io sono soltanto il servo di un mercante; ciò che ho qui è nulla in confronto a quello che il mio padrone ha sulla sua nave; là vi è quanto di più artistico e di più prezioso sia mai stato lavorato in oro».
Lei voleva che le portassero tutto al castello, ma lui disse:
«Per fare questo occorrono molti giorni, perché vi è moltissima merce; ci vogliono tante sale per esporla che la vostra casa non basterebbe».
Così la curiosità e il desiderio crebbero in lei sempre di più, finché disse:
«Conducimi alla nave: voglio andare io stessa a vedere i tesori del tuo padrone».
Tutto contento, il fedele Giovanni la condusse sulla nave e il re, quando la vide, credette che il cuore gli scoppiasse e poté trattenersi a fatica. Lei salì sulla nave e il re la condusse all'interno, ma il fedele Giovanni rimase presso il timoniere e ordinò che la nave salpasse:
«Spiegate le vele, che voli come un uccello nell'aria!».
Intanto all'interno il re le faceva vedere tutti gli oggetti d'oro uno per uno: i piatti, i bicchieri, le ciotole, gli uccelli, le fiere e i mostri. Passarono diverse ore e lei rimirava ogni cosa con tale gioia da non accorgersi che la nave era partita. Quando ebbe esaminato l'ultimo oggetto, ringraziò il mercante e volle ritornare a casa; ma, giunta sul ponte, vide che la nave correva a vele spiegate in alto mare, lontano da terra.
«Ah», gridò spaventata, «sono stata ingannata, rapita; sono nelle mani di un mercante: preferirei morire!»
Ma il re la prese per mano e disse: «Non sono un mercante ma un re, non inferiore a te per nascita. Se ti ho rapita con l'astuzia è stato solo per il grande amore che ti porto. Quando vidi il tuo ritratto la prima volta, caddi a terra svenuto».
All'udire queste parole, la principessa dal Tetto d'oro si consolò; e fu così spinta ad amarlo, che accettò volentieri di diventare sua moglie.

Ma, mentre navigavano in alto mare, il fedele Giovanni, che sedeva a prua e suonava, scorse in aria tre corvi che si avvicinavano in volo. Smise di suonare e ascoltò quel che dicevano, perché li capiva bene.
Uno gracchiò: «Ah, si porta a casa la principessa dal Tetto d'oro!».
«Sì», rispose il secondo, «ma non l'ha ancora!»
E il terzo disse: «Ma sì, è con lui sulla nave!».
Allora il primo riprese a dire: «A che giova questo? Quando sbarcheranno, gli balzerà incontro un cavallo sauro: allora vorrà cavalcarlo e, se lo farà, il cavallo correrà via con lui e si alzerà in volo, cosicché lui non vedrà mai più la sua fanciulla».
Il secondo disse: «Non ha modo di salvarsi?».
«Oh sì, se colui che è in sella estrae il fucile che è infilato nella cavezza del cavallo e lo uccide, il giovane re è salvo; ma chi può saperlo? E chi sapendolo glielo dicesse diventerebbe di pietra dalla punta dei piedi alle ginocchia.»
Allora il secondo disse: «Io so di più, anche se il cavallo viene ucciso, il giovane re non serba la sua sposa! Quando entreranno nel castello troveranno su di un vassoio una camicia nuziale che sembrerà intessuta d'oro e d'argento, ma non si tratterà che di pece e zolfo. Se lui la indosserà brucerà fino al midollo».
Il terzo disse: «Non ha modo di salvarsi?».
«Oh sì», rispose il secondo, «se uno afferra la camicia con dei guanti e la getta nel fuoco, in modo che bruci, il giovane re è salvo. Ma a che giova? Chi sapendolo glielo dicesse diventerebbe di pietra dal ginocchio al cuore.»
Allora il terzo disse: «Io so di più: anche se bruciasse la camicia nuziale, il giovane re non avrebbe ancora la sua sposa. Quando, dopo le nozze, incomincerà il ballo e la giovane regina danzerà, impallidirà all'improvviso e cadrà come morta. E se qualcuno non la solleva e non succhia tre gocce di sangue dalla sua mammella destra e non le risputa, lei morirà. Ma se qualcuno lo sa e lo rivela, diventerà tutto di pietra, dalla testa fino alla punta dei capelli».
Quando i corvi si furono scambiati queste parole, volarono via: il fedele Giovanni aveva capito tutto; ma da quel momento in poi fu triste e taciturno: infatti se avesse taciuto al suo signore ciò che aveva udito, questi sarebbe stato infelice, e se glielo avesse rivelato avrebbe dovuto sacrificare la sua stessa vita.
Infine si disse: «Voglio salvare il mio signore, anche se questo dovesse causare la mia rovina».
Quando giunsero a terra, accadde quello che il corvo aveva predetto e uno splendido sauro balzò loro incontro.
«Oh», esclamò il re, «mi porterà al mio castello» e volle montare in sella; ma il fedele Giovanni lo precedette, balzò velocemente in sella, estrasse l'arma dalla cavezza e uccise il cavallo. Allora gli altri servi del re, che non amavano il fedele Giovanni esclamarono:
«Che cosa ignobile, uccidere quel bell' animale che doveva portare il re al castello!».
Ma il re disse: «Tacete e lasciatelo fare: è il mio fedelissimo Giovanni, avrà un buon motivo».
Poi andarono al castello e nella sala c'era il vassoio sul quale era posata la camicia nuziale, che sembrava tutta d'oro e d'argento. Il giovane re si fece avanti per prenderla, ma il fedele Giovanni lo spinse via, afferrò la camicia con i guanti, la gettò nel fuoco e la bruciò.
Gli altri servi ricominciarono a mormorare e dissero: «Guardate, ora brucia persino la camicia nuziale del re!».
Ma il giovane re disse: «Avrà un buon motivo, lasciatelo fare, è il mio fedelissimo Giovanni».
Poi si celebrarono le nozze; il ballo incominciò e anche la sposa vi prese parte. Il fedele Giovanni stava attento e la guardava in viso. D'un tratto impallidì e cadde a terra come morta. Allora egli corse da lei e la portò in una stanza; qui la distese, si inginocchiò, succhiò le tre gocce di sangue dalla sua mammella destra e le sputò.
Subito lei riprese a respirare e si riebbe, ma il giovane re aveva visto tutto e, non sapendo perché il fedele Giovanni lo avesse fatto, andò in collera e gridò: «Gettatelo in prigione!».
Il mattino dopo il fedele Giovanni fu condannato e condotto al patibolo e quando fu lassù e stava per essere giustiziato, disse:
«Chi deve morire, può parlare ancora una volta prima della sua fine; ho anch'io questo diritto?».
«Sì», rispose il re, «ti sia concesso.»
Allora il fedele Giovanni disse: «Sono condannato ingiustamente e ti sono sempre stato fedele». E gli raccontò come avesse udito sul mare il discorso dei corvi e deciso di salvare il suo signore; per questo aveva dovuto fare tutto quello che aveva fatto.
Allora il re esclamò: «Oh mio fedelissimo Giovanni! Grazia! Grazia! Portatelo giù».
Ma il fedele Giovanni, appena aveva pronunciato l'ultima parola, era caduto senza vita ed era diventato di pietra.
Il re e la regina se ne afflissero molto e il re diceva: «Ah, come ho mai ricompensato tanta fedeltà!».
Fece sollevare la statua di pietra e la fece mettere nella sua stanza accanto al suo letto.
Ogni volta che la guardava piangeva e diceva: «Ah, potessi ridarti la vita. mio fedelissimo Giovanni!».
Passò qualche tempo e la regina partorì due gemelli, due maschietti, che crebbero ed erano la sua gioia. Un giorno che la regina era in chiesa e i due bambini giocavano accanto al padre, il re guardò la statua di pietra con grande tristezza, sospirò e disse:
«Ah, potessi ridarti la vita, mio fedelissimo Giovanni!».
Allora la statua incominciò a parlare e disse: «Sì, puoi ridarmi la vita se sarai disposto a dare ciò che ti è più caro».
Allora il re esclamò: «Per te darò tutto quello che ho al mondo!».
La statua di pietra proseguì: «Se di tua mano tagli la testa ai tuoi due bambini e mi ricopri con il loro sangue, allora riavrò la vita».
Il re inorridì quando udì che doveva uccidere egli stesso i suoi diletti figli, ma pensò alla grande fedeltà del fedele Giovanni, che era morto per lui: trasse la spada e di sua mano tagliò la testa ai bambini. E quando ebbe ricoperto la statua con il loro sangue, essa si animò e il fedele Giovanni gli stette di nuovo innanzi, fresco e sano. Ed egli disse al re:
«Voglio ricompensare la tua lealtà» e prese le teste dei bambini, le rimise sul busto e spalmò le ferite col loro sangue. In un attimo i bambini tornarono sani e ripresero a saltare e a giocare come se nulla fosse accaduto.
Il re era felice e, quando vide venire la regina, nascose il fedele Giovanni e i due bambini in un grande armadio.
Quando lei entrò le disse: «Hai pregato in chiesa?».
«Sì», rispose la regina, «ma ho sempre pensato al fedele Giovanni che è stato così sventurato per colpa nostra.»
Allora egli disse: «Cara moglie, noi possiamo ridargli la vita, ma a prezzo del sacrificio dei nostri figlioletti».
La regina impallidì e le si gelò il sangue, ma disse: «Glielo dobbiamo per la sua grande fedeltà».
E il re si rallegrò che pensasse come lui; andò ad aprire l'armadio e ne uscirono i bambini e il fedele Giovanni.
Il re disse: «Grazie a Dio egli è libero dall'incantesimo e abbiamo ancora i nostri figlioletti».
E le raccontò tutto quello che era successo. Poi vissero felici insieme fino alla morte.


di Jakob e Wilhelm Grimm

Beowulf - Lunedì, 27 Novembre 2006, 14:34
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Rosabianca e Rosarossa

C'era una volta una povera vedova, che viveva sola nella sua capannuccia, e davanti alla capanna c'era un giardino con due piccoli rosai; l'uno portava rose bianche, l'altro rose rosse. E la donna aveva due bambine, che somigliavano ai due rosai: l'una si chiamava Rosabianca, l'altra Rosarossa.
Erano così buone e pie, diligenti e laboriose, come al mondo non se n'è mai viste; soltanto, Rosabianca era piu' silenziosa e piu' dolce di Rosarossa. Rosarossa preferiva correre per campi e prati, coglier fiori e prendere farfalle; Rosabianca se ne stava a casa con la mamma, l'aiutava nelle faccende domestiche, o, se non c'era niente da fare, le leggeva qualcosa ad alta voce. Le due bambine si amavano tanto, che si prendevano per mano tutte le volte che uscivano insieme; e se Rosabianca diceva:
- Non ci separeremo mai! - rispondeva Rosarossa:
- No, mai, per tutta la vita! - e la madre soggiungeva: - Quel che è dell'una, dev'esser dell'altra -.
Spesso le due bambine andavan sole per il bosco a raccoglier bacche rosse; gli animali non facevan loro alcun male, ma si avvicinavano fiduciosi: il leprotto mangiava una foglia di cavolo dalle loro mani, il capriolo pascolava al loro fianco, il cervo saltava allegramente li vicino, e gli uccelli restavano sui rami e cantavano tutte le loro canzoni. Alle due sorelle non capitava nulla di male: quando si erano attardate nel bosco, e le sorprendeva la notte,si coricavano sul muschio, l'una accanto all'altra, e dormivano fino alla mattina. La mamma lo sapeva e non stava mai in pensiero.
Una volta, che avevano pernottato nel bosco, quando l'aurora le svegliò, videro un bel bambino seduto accanto a loro, con un bianco vestito scintillante. Il bimbo si alzò e le guardò amorevolmente, ma non disse nulla e s'addentrò nel bosco. E quando si guardarono intorno, s'accorsero di aver dormito sull'orlo di un abisso, dove sarebbero certo cadute se avessero fatto altri due passi al buio. Ma la mamma disse che certo quello era l'angelo che veglia sui bambini buoni.
Rosabianca e Rosarossa tenevan così' pulita la capannuccia dellamadre, che era una gioia vederla. D'estate Rosarossa sbrigava faccende di casa e ogni mattina, prima che la mamma si svegliasse le metteva vicino al letto un mazzo di fiori, con due rose dei due alberelli. D'inverno Rosabianca accendeva il fuoco e appendeva paìolo; il paiolo era d'ottone, ma brillava come oro, tant'era lustro. La sera, quando nevicava, la mamma diceva:
- Va', Rosabianca metti il catenaccio -. Poi sedevano accanto al focolare, la mamma prendeva gli occhiali e leggeva ad alta voce un librone; e le due fanciulle stavano a sentire, filando; per terra, accanto a loro, e sdraiato un agnellino, e dietro, su un bastone, c'era un piccioncino bianco con la testa nascosta sotto l'ala.
Una sera, mentre se ne stavano tutt'è due insieme, qualcuno bussò alla porta, come se volesse entrare. La madre disse:
- Svelta, Rosarossa, apri: sarà un viandante che cerca ricovero-.
[orso ] Rosarossa andò a levare il catenaccio e pensava che fosse un povero; ma invece era un orso, che sporse dall'uscio la sua grossa testa nera. Rosarossa strillò e fece un salto indietro, l'agnellino belò, il piccioncino svolazzò, e Rosabianca si nascose dietro il letto della mamma. Ma l'orso si mise a parlare e disse:
- Non abbiate paura, non vi farò niente di male; sono mezzo gelato e voglio soltanto scaldarmi un po' con voi.
- Povero orso, - disse la madre, - mettiti vicino al fuoco e bada soltanto di non bruciarti il pelo -. Poi gridò: - Rosabianca, Rosarossa, venite fuori! L'orso non vi farà niente, non ha cattive intenzioni .
Allora s'avvicinarono entrambe; e a poco a poco si accostarono anche l'agnellino e il piccioncino, e non ne avevano più paura.
L'orso disse: - Bambine, scuotetemi un po' di neve dalla pelliccia! -
ed esse andarono a prender la scopa e gli spazzarono il pelo; e l'orso si sdraiò accanto al fuoco, e mugolava, contento e soddisfatto.
Non andò molto che fecero amicizia, e le bimbe si misero a fare il chiasso con l'ospite maldestro. Gli tiravano il pelo con le mani, gli mettevano i piedini sulla schiena e lo spingevano di qua e di là; o prendevano una verga di nocciolo e lo picchiavano, e quando mugolava ridevano. L'orso s'adattava a tutto; soltanto, quando passavano il segno, gridava:

- Lasciatemi vivere, bambine!
O Rosabianca, e tu, Rosarossa,
al pretendente scavi la fossa.

Quando fu tempo di dormire e le bimbe andarono a letto, la madre disse all'orso;
- Resta qui, accanto al fuoco, in santa pace: cosi sei protetto dal freddo e dal brutto tempo .
Appena albeggiò, le due bambine lo fecero uscire ed egli entrò nel bosco, trottando sulla neve.
E poi, tornò ogni sera, alla stessa ora: si sdraiava accanto al focolare e permetteva alle bambine di prendersi spasso di lui fin che volevano; ed esse ci si erano così abituate, che non mettevano il catenaccio prima che fosse arrivato il loro nero amico.
Quando giunse la primavera e fuori era tutto verde, una mattino l'orso disse a Rosabianca:
- Adesso devo andar via, e per tutta l'estate non posso più tornare.
- Dove vai dunque, caro orso? - domandò Rosabianca.
- Devo andare nel bosco a difendere i miei tesori dai cattivi nani:d'inverno, quando la terra è gelata, devono stare sotto e non possono farsi strada, ma adesso che il sole ha sgelato e riscaldato la terra, l'aprono a forza, risalgono, frugano e rubano. Quel che finisce nelle loro mani, nascosto nelle loro caverne non torna tanto facilmente alla luce -.
Rosabianca era tutta triste per quell'addio; e quando gli aprì la porta, l'orso, passando in fretta, restò attaccato all'arpione e gli si lacerò un pezzo di pelle; a Rosabianca parve che ne trasparisse dell'oro, ma non ne fu ben sicura. L'orso corse via in fretta e ben presto sparì dietro gli alberi.
Dopo qualche tempo, la madre mandò le bambine nel bosco a coglier la stipa. Fuori videro, disteso al suolo, un grande albero, era stato abbattuto, e presso il tronco, nell'erba, qualcosa saltava su e giù, ma non potevano distinguere cosa fosse. Avvicinandosi, videro un nano con una vecchia faccia grinzosa e una candida barba lunga un braccio. La punta della barba era incastrata in una fessura dell'albero e il nano saltava di qua e di là, come un cagnolino al guinzaglio, e non sapeva come cavarsela. Egli fissò le fanciulle sbarrando i suoi rossi occhi di fuoco, e strillò:
- Cosa state a fare non potete avvicinarvi e darmi una mano?
- Cos'hai fatto, omino? - domandò Rosarossa.
- Stupida curiosaccia, - rispose il nano - volevo spaccar l'albero, per avere legna minuta in cucina; i ceppi grossi quei due bocconcini che occorrono a noialtri bruciano subito; noi non buttiamo mica giù tanta roba come voi, ingordi zoticoni! Ero già riuscito a ficcarci il cuneo, e tutto mi sarebbe andato benone; ma quel maledetto pezzo di legno era troppo liscio e saltò fuori all'improvviso, e l'albero si richiuse così in fretta, che non ho più potuto tirar fuori la mia bella barba bianca: adesso è lì dentro, e io non posso andarmene. Guarda come ridono quelle due poppanti! stupide facce pelate! Puh, come siete brutte! -
Le bambine ci si misero d'impegno, ma non riuscirono a tirar fuori la barba: era troppo ben incastrata.
- Correrò a chiamar gente! -disse Rosarossa.
- Stupide pazze, - squittì il nano, - non ci mancherebbe altro! Siete gia troppe in due: non avete niente di meglio da inventare?
- Non essere impaziente! - disse Rosabianca - ci penserò io -.
Trasse di tasca le sue forbicine e gli tagliò la punta della barba. Appena il nano si senti libero, afferrò un sacco pieno d'oro, che era nascosto fra le radici dell'albero, lo tirò fuori, borbottando:
- Che villanzone, tagliarmi un pezzo della mia magnifica barba! Il diavolo vi porti! -
Si gettò il sacco sulle spalle e se ne andò, senza neanche voltarsi a guardarle.
Dopo qualche tempo, Rosabianca e Rosarossa pensarono di andarsi a pescare con la lenza un bel piatto di pesce. Quando furono vìcino al ruscello videro qualcosa che somigliava a una grossa cavalletta saltellar verso l'acqua, come se volesse buttarcisi. Accorsero e conobbero il nano.
- Dove vuoi andare? - disse Rosarossa: - non vuoi mica gettarti in acqua?
- Non sono così pazzo! -strillò il nano - Non vedete? quel maledetto pesce vuol tirarmi dentro! - L'omino si era seduto a pescare, e disgraziatamente, per il vento, la barba gli si era intricata con la lenza; subito dopo abboccò un grosso pesce e la debole creatura non riuscì a sollevarlo. Il pesce aveva il sopravvento e trascinava giù il nano. Certo, egli si teneva a tutti gli steli e ai giunchi, ma serviva a ben poco: doveva seguire i movimenti del pesce e rischiava continuamente d'esser tirato in acqua.
Le fanciulle erano arrivate in tempo, lo tennero fermo e cercarono di districar la barba dalla lenza, ma invano: barba e lenza erano strettamente aggrovigliate. Non restò che tirar fuori le forbicine e tagliar la barba, sacrificandone un pezzettino.
A quella vista, il nano si mise a strillare: - E' questa, brutti rospi, la maniera di sconciar la faccia a un individuo? Non bastava avermi spuntato la barba, adesso me ne tagliate via la parte più bella! Non posso più farmi veder dai miei! Possa vedervi correre, senza più suole ai piedi! -
Poi andò a prendere un sacco di perle, nel canneto, e, senza più dir parola, se lo trascinò via e scomparve dietro una pietra.
Or avvenne che, poco tempo dopo, la madre mandò le due bambine in città a comprar filo, aghi, stringhe e fettuccia. La strada le condusse attraverso una piana, sparsa di grossi macigni. Là videro un grande uccello librarsi nell'aria, roteare lentamente sulle loro teste, poi calar sempre più basso, finché atterrò poco lontano, presso una rupe. Subito dopo udirono uno strillo acuto e doloroso. Accorsero, e videro con terrore che l'aquila aveva ghermito il loro vecchio conoscente, il nano, e stava per portarlo via. Le bimbe pietose tennero stretto l'omino; e tira di qua, tira di là, alla fine l'aquila dovette abbandonar la sua preda.
Quando il nano si fu riavuto dal primo spavento, gridò con la sua voce stridula:
- Non potevate trattarmi con più riguardo? Avete tirato tanto il mio giubbetto sottile che adesso è tutto lacero e bucato, sciattone e balorde che siete.
Poi prese un sacco di pietre preziose e si cacciò di nuovo nella tana, sotto le rupi. Le fanciulle erano già avvezze alla sua ingratitudine, proseguirono il cammino e sbrigarono le loro faccende in città.
Al ritorno, ripassando per la piana, sorpresero il nano, che aveva rovesciato il suo sacco di pietre preziose in un bel posticino senza pensare che a ora così tarda potesse ancora venir qualcuno.
Il sole al tramonto batteva sulle splendide gemme, che scintillavano e sfolgoravano in mille colori, così meravigliosamente che le bambine si fermarono a guardarle.
- Cosa fate lì, a bocca aperta- strillò il nano, e la sua faccia color della cenere diventò paonazza dalla collera.
Stava per lanciare altre ingiurie, quando si udì un cupo brontolio, e un orso nero uscì trottando dal bosco.
Il nano balzò in piedi, atterrito, ma non poté più raggiungere il suo nascondiglio: l'orso era già li. Allora gridò affannosamente:
- Caro signor orso, risparmiatemi! Vi darò tutti i miei tesori! guardate, belle pietre preziose! Fatemi grazia, che v'importa di un piccolo striminzito come me? Non mi sentite neanche sotto i denti! Prendete piuttosto quelle due malnate ragazze, per voi son bocconi prelibati, grasse come giovani quaglie! mangiate quelle, in nome di Dio!
L'orso non badò alle sue parole, non gli dette che una zampata, e quel malvagio non si mosse più.
Le fanciulle eran scappate via, ma l'orso le chiamò, gridando:
-Rosabianca, Rosarossa, non abbiate paura! aspettate, vengo con voi-.
Allora esse riconobbero la sua voce e si fermarono; e quando la bestia le raggiunse, la pelle d'orso cadde all'improvviso, ed ecco, egli era un bel giovane tutto vestito d'oro.
- Sono il figlio di un re - disse - e il perfido nano, che aveva rubato i miei tesori, mi aveva stregato e dovevo correr per il bosco sotto forma d'orso selvaggio, finché la sua morte non mi avesse liberato. E così egli ha avuto il meritato castigo.
Rosabianca sposò il principe, e Rosarossa suo fratello, e si spartirono quei gran tesori che il nano aveva ammassato nella sua caverna. La vecchia madre visse ancora molti anni presso le figlie, tranquilla e felice. Ma portò con sé i due rosai, che davanti alla sua finestra davano ogni anno le più belle rose, bianche e rosse.

Zarevich - Martedì, 12 Dicembre 2017, 21:14
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
«LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM» In 2 volumi
«СКАЗКИ БРАТЬЕВ ГРИММ» В 2 томах
Casa Editrice «Knizhnyj Klub Knigovek» Mosca 2016 (Pagine 1144)
Издательство «Книжный Клуб Книговек» Москва 2016

In quest’edizione in due volumi entrano le fiabe leggendarie fiabe di Jacob Ludwig Grimm (1785-1863) e Wilhelm Karl Grimm (1786- 1859), meglio noti come i Fratelli Grimm, furono due linguisti e filologi tedeschi, ricordati come i «padri fondatori» della germanistica.

Zarevich - Venerdì, 22 Gennaio 2021, 13:39
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Jacob Grimm e Wilhelm Grimm
Якоб Гримм и Вильгельм Гримм
«LE FIABE PER BAMBINI E PER CASA» In 2 volumi
«ДЕТСКИЕ И ДОМАШНИЕ СКАЗКИ» В 2 книгах
Collana: «I Monumenti letterari» («Литературные памятники»)
Casa Editrice «Nauka» Mosca (Pagine 872+440)
Издательство «Наука» Москва 2020

L'edizione in due volumi comprende fiabe e leggende raccolte dai famosi folcloristi tedeschi, i fratelli Grimm. Le fiabe in traduzione in russo sono integrate da un articolo del filologo-germanista E.Dmitrieva e da un commento profondo e capiente che permette di tracciare il percorso di ogni singola opera e il suo posto nella tela generale del folklore mondiale. Il vantaggio dell'edizione in due volumi è il ricco materiale illustrativo: fotografie, litografie, incisioni... La pubblicazione è stata pubblicata con il sostegno finanziario dell'Agenzia federale per la stampa e le comunicazioni di massa ed è destinata a una vasta gamma di lettori.

Zarevich - Giovedì, 24 Febbraio 2022, 00:16
Oggetto: «LE FIABE DEI FRATELLI GRIMM»
Il filologo e folclorista tedesco Wilhelm Grimm nacque il 24 febbraio 1786. Insieme a suo fratello Jakob, entrarono nella cerchia dei romantici di Heidelberg, che cercavano di far rivivere l'interesse per l'arte popolare. Nelle loro raccolte «Racconti per bambini e famiglie», i fratelli Grimm hanno raccolto circa duecento dei più brillanti campioni di folclore. Si sono sforzati di registrare i testi in modo accurato, preservando l'originalità della fantasia popolare e del linguaggio orale. I fratelli narratori divennero i fondatori degli studi tedeschi, la scienza della lingua e della letteratura tedesca. Wilhelm Grimm prestò servizio come bibliotecario presso l'Università di Gottinga e in seguito iniziò a insegnare lì. Nel 1833, gli esperti scrissero la «Legge fondamentale dello Stato» per il re di Hannover, Guglielmo IV. L'erede del monarca, Ernst August I, dopo essere salito al trono, annullò prima di tutto questa Costituzione. Sette professori universitari, tra cui Grimm, hanno protestato, ripresa dalla stampa. Il re represse severamente la ribellione dei professori. A tre partecipanti, tra cui Wilhelm Grimm, fu ordinato di lasciare immediatamente il territorio del Regno di Hannover e di non tornare qui per il resto della loro vita.


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